Volete la riprova sul livello di cialtroneria, assolutamente bipartisan, che ammanta la campagna elettorale? Bene, prendete lo spread e il suo calo di questi giorni. Non esiste parte politica che non lo stia festeggiando, quasi fosse un risultato a lei ascrivibile. Chi sosteneva il Governo Draghi e avrebbe voluto che quell’esperienza proseguisse, come il Pd o Italia Viva, sottolinea come sia proprio la ferma determinazione con cui il Premier dimissionario sta spingendo sull’acceleratore degli affari correnti a operare da garanzia verso i mercati, quantomeno a livello di rispetto delle scadenze per i due punti in agenda più importanti. Ovvero, Nadef e Pnrr. Chi invece, a vario titolo, ha fatto in modo che il Governo Draghi cadesse dopo averlo sostenuto, vende all’elettorato il trionfo della democrazia, ovvero il fatto che il Paese e la sua classe politica siano sufficientemente ben percepiti dai mercati da potersi permettere il lusso del voto anticipato, scongiurando l’arrivo delle cavallette vaticinato da qualcuno. Infine, chi al Governo Draghi ha sempre fatto opposizione, sta utilizzando il calo del differenziale fra Btp e Bund come incoronazione de facto ed ex ante a palazzo Chigi, tanto che qualche simpaticone addirittura parla di Meloni spread. Tutte idiozie, a 360 gradi. E ce lo conferma plasticamente questo grafico, dal quale si evince quale sia il breakdown per Paese del primo mese di reinvestimento titoli del Pepp operato dalla Bce dopo la fine, il 30 giugno scorso, dell’operatività dell’App con i suoi 20 miliardi di disponibilità mensile.
L’Italia ha beneficiato di 9,8 miliardi di controvalore nel concambio con il Bund, venduto per 14 miliardi. E anche Spagna e Grecia hanno respirato grazie alle vendite su Oat francesi e titoli olandesi. Ma non basta. Perché al netto della palese deroga ad libitum dal principio di capital key e acquisto pro quota che si configura in quanto sta compiendo l’Eurotower, gioverebbe sottolineare all’opinione pubblica che l’ormai certezza di una recessione in arrivo sull’Eurozona sta schiacciando al ribasso da giorni tutti i rendimenti sovrani. Tutti. Compresi quelli dei Btp. Insomma, stiamo beneficiando di acquisti mirati per 10 miliardi al mese e di un trend di mercato che opera da booster ulteriore di quella dinamica di contrazione dei rendimenti: cosa ci sarebbe, di preciso, da festeggiare? Il fatto che, se solo si mettesse un argine al principio di deroga alla capital key, saremmo già a 300 punti base?
Signori, nonostante un combinato ciclico che avviene una volta ogni venti anni, comunque sia il nostro spread resta in area 220. Non 50. E nemmeno 100 punti base. È drammatico. Invece, la classe politica e i giornali – ignoranti o complici, poco cambia – festeggiano. Scendono idealmente in piazza sventolando il tricolore della sovranità nazionale che si sublima nel rito sacro dell’urna, pur sapendo che il Paese è ormai irrimediabilmente commissariato dalla Bce. Quindi, dall’Europa. Chiunque vinca, perché le condizionalità messe al Tpi, il mitologico scudo anti-spread, garantiranno a Bruxelles sonni tranquilli anche in caso di vittoria del centro-destra. Al primo deficit eccessivo, alla prima promessa di scostamento, al minimo accenno di barricata su temi esiziali come pensioni o catasto, state certi che lo spread tornerà a impennarsi. Perché quell’essere totalmente avulso dalla realtà è un’arma a doppio taglio.
C’è chi è felice, perché significa che le nostre croniche criticità macro non rappresentano più una sentenza di condanna aprioristica attraverso il premio di rischio. Ma c’è anche chi guarda il bicchiere mezzo vuoto e si rende conto che se la Bce smettesse di comprare o rallentasse o diminuisse fermando le deroghe alla capital key, il nostro Paese sarebbe in rampa di lancio verso il Tpi, ovvero il Mes mascherato. Vi pare un caso che l’unico politico lucido nel suo cinismo che l’Italia possa vantare, Matteo Renzi, già oggi parli di necessità di accedere ai 37 miliardi del Mes sanitario? Può piacere o non piacere, può irritare nei modi e nelle posture, ma l’ex Premier è l’unico ad avere una visione. E a muoversi in punta di realismo, girando attorno a quel motore immobile che gli altri invece ancora negano: l’Italia non può più operare come se fosse un Paese indipendente nelle scelte di politica economica. È andata troppo oltre, ha giocato le sue ultime carte con il Covid e il banchetto di sostegni e sussidi a esso legati. Adesso, crisi dell’energia o meno, tocca rimettersi in riga.
Fateci caso: all’ultimo Cdm, quello con Mario Draghi già passato dal Quirinale per formalizzare le dimissioni dopo lo showdown al Senato, miracolosamente si sono moltiplicati i fondi per il Dl aiuti, quelli indirizzati – ad esempio – a contrastare il caro-bollette. Sono saliti a 14 miliardi e qualcosa, dai poco più di 6 che si pensava di avere in dote solo poche settimane prima. Miracolo? Ultimo tocco di bacchetta magica del Premier? O magari certezza che, liquidati i soggetti che rientravano nell’erogazione di luglio, il bonus 200 euro in realtà andrà in cavalleria per tutti gli altri, liberando fondi? Tanto ci vorrà poco: la scadenza di settembre verrà spostata a ottobre per ragioni tecniche o meramente elettorali, salvo poi scaricare la patata bollente sul Governo che uscirà dalle urne. E anche sul Pil, cerchiamo di essere seri. Non ci siamo scottati abbastanza con il 6,6% da doping edilizio e con i riconoscimenti dell’Economist?
Signori, partiamo da un presupposto: per quanto ci abbiano venduto chiacchiere, l’Italia non ha alternative al gas russo. Quantomeno per i prossimi due anni. E se davvero Vladimir Putin decidesse di dire la sua sul voto italiano ma ex post, ovvero attendendo il nuovo esecutivo e – stante il carattere russofobo che avrà, a prescindere dal vincitore – salutarlo con uno stop totale dei flussi verso Eni? Che inverno avremmo? O avremo, perché qui il tempo verbale non rappresenta questione di lana caprina. Anzi. Pensate di poter passare, come Paese e come sistema economico, la stagione autunno/inverno solo con le riserve stoccate finora? Auguri. Perché lo spread, in quel caso, tornerà in gran forma a far parlare di sé. E il Tpi sarà alle porte. Non sarebbe quasi dantesco il contrappasso di un Governo di centrodestra che corre a Bruxelles accettando di buon grado ogni condizione, pur di non perdere l’accesso ai mercati?
Direte voi, impossibile. Lo dicono anche del ritorno di Mario Draghi a palazzo Chigi. Fossi in voi, aspetterei un paio di mesi.
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