Il tasso di contagi in California è salito del 17% nelle due ultime due settimane. Ovviamente, a menare le danze è la variante Delta. La Gran Bretagna sfonda un record al giorno con numeri che non si registravano dal picco della seconda ondata, lo scorso inverno. Israele rimette l’obbligo di mascherina al chiuso.
Il Portogallo da ieri ha riattivato il coprifuoco notturno: tradotto, in piena stagione turistica, si obbligano i vacanzieri a stare in stanza d’albergo invece che andare a divertirsi. La Russia è in piena caos da vaccini, scontando anche in questo caso tassi di positività e decessi molto alti. Signori, senza quasi che ce ne accorgessimo, siamo in pieno nella terza ondata. Anzi, no. Siamo entrati ufficialmente nella prima ondata di endemia. Il primo stress test di coabitazione con un virus che difficilmente verrà battuto, sconfitto, distrutto.
Avete notato, al netto della minor presenza di talk-show politici per la pausa estiva (la quale, in Italia dura tre mesi abbondanti, alla faccia dei parlamentari che lavorano poco), come siano quasi totalmente spariti dal video i virologi mediatici? Come mai, forse la variante Delta ha fatto saltare tutte le previsioni ottimistiche da Nobel per la medicina di questi assoluti protagonisti del palinsesto? Prima o poi, quando la convivenza con la pandemia sarà stata accettata, occorrerà porre delle domande. Ed esigere delle risposte. Perché, per quanto l’Italia se la sia fin ora cavata con il capro espiatorio assoluto del ministro Speranza o del commissario Arcuri, sono tante le domande che affollano i pensieri a freddo riguardo questa stagione senza precedenti. E vale per tutti. Anche quotidiani che fino alla scorsa settimana parevano l’house organ di Boris Johnson e della superiorità dell’approccio libertario-aperturista del Regno Unito, da qualche giorno hanno deciso di togliere dalla prima pagina il Covid. Puntano su altro. E fanno bene. Perché questo grafico ci mostra cosa stia arrivando, solitamente con un ritardo di ciclo di tre mesi: i principali mercati di produzione asiatici – Taiwan, Malaysia, Vietnam – stanno già patendo pesanti interruzioni dell’operatività e netti cali dell’output a causa delle restrizioni da variante Delta.
E se il caso della Giochi Preziosi e dei suoi carichi di giocattoli bloccati in Cina, causa richiesta di cinque volte il pattuito per la spedizione (ma l’inflazione è transitoria e la supply chain ha resistito bene), mostra quanto la catena di fornitura globale sia stata devastata dall’ultimo anno di emergenza, quel tracollo di Taiwan deve dirci altro: in un mondo industriale che già fa pesantemente i conti con forniture insufficienti e prezzi aumentati del 20%, la produzione di microchip e semiconduttori viene ulteriormente rallentata. Tradotto, in autunno le industrie principali dell’eurozona – in testa, l’automotive – sconteranno la dinamica rappresentata in quel grafico.
Occorre fare i conti con questo outlook. E parlando all’Accademia dei Lincei, Mario Draghi lo ha fatto. A differenza dei politici di piccolo cabotaggio che rappresentano il 90% abbondante della classe parlamentare italiana, il presidente del Consiglio è uomo di mercato. E proprio perché è stato il padre del Whatever it takes sa benissimo che quella logica non può durare in eterno. Semplicemente perché, prima o poi, qualcuno suona la campanella e chiede conto di quell’indebitamento strutturale e sistemico.
Draghi è stato chiaro: si è dovuto scegliere fra recessione e depressione da Covid e l’aver optato giustamente per la prima ha portato in dote il debito. Che proseguirà. Ma che prima o poi va ripagato. E, soprattutto, non scompare. Lo ha detto chiaro, Mario Draghi. Utilizzando proprio quel verbo. E ieri, a strettissimo giro di posta, Christine Lagarde in persona ha sentito il bisogno di rimarcare ulteriormente il concetto. Interpellata sull’ipotesi di cancellazione del debito contratto dai governi in risposta alla pandemia, la numero uno della Bce è stata lapidaria: «È un’ipotesi che non ha senso a livello economico. Equivale prendere i prestito soldi da Paolo per pagare il debito che si ha con Pietro». Verissimo. Ma è la base stessa dell’operatività dell’Eurotower da oltre un anno! Perché al netto degli acquisti obbligazionari per liberare i bilanci bancari e immettere liquidità, la Bce è andata ben oltre: deroghe sulla capital key, il limite per emittente, l’accettazione del debito greco come collaterale, l’ampliamento della platea di securities eligibili per le operazioni di rifinanziamento anche ai junk bonds. La Bce ha permesso al mercato, per mesi e mesi, di prendere in prestito non solo da Paolo, ma anche da Mario, Luca, Alessandro, Michele, Antonio e tutto l’elenco telefonico di Roma e provincia. Per pagare cosa? Gli investitori che acquistano debito sul mercato, garantendo il finanziamento dei governi a tassi artificialmente bassissimi.
Forse inconsciamente, forse perché ormai il ghiaccio sotto i piedi sta sciogliendosi, Christine Lagarde ieri ha ammesso questa distorsione strutturale. Paradossalmente, al fine di negare la possibilità che venga cancellata con un colpo di bacchetta magica contabile. Dove sono finiti i sacerdoti del debito che non esiste, del denaro che si crea dal nulla con un tasto e un impulso elettronico, delle passività che possono essere sterilizzate ex ante o ex post? Erano gli stessi che gridavano contro le criticità del Mes e invitavano il Tesoro a emettere con il ciclostile, forti del fatto che la Bce garantiva copertura a tutto e tutti. Christine Lagarde in persona ha appena detto che non durerà per sempre. E che non ci saranno moratorie. Mario Draghi è andato oltre: il debito c’è ed è stato giusto farlo, ne faremo ancora. Ma non sparirà. Tradotto, finita questa endemia necessaria a ristrutturare un mondo post-globalizzazione andato totalmente fuori controllo sui fondamentali, occorrerà prendere la mannaia da macellaio. Anzi, l’accetta da boscaiolo.
Vi pare un caso che, almeno stando ad alcune cronache politiche, Matteo Salvini si sia convertito a una scelta che vedrebbe l’attuale presidente del Consiglio restare a palazzo Chigi fino al 2024, salvo poi candidarlo al ruolo di Ursula von der Leyen? Forse no. Forse l’unica testa raziocinante a livello economico e finanziario che alberga in casa Lega ha fatto notare al segretario che arriverà il tempo delle lacrime e del sangue: meglio non esprimere il primo ministro, quindi, quando lo spread tornerà a dettare l’agenda del Governo e del Parlamento.
Pensavate che davvero esistessero i pasti gratis del debito che non esiste? Mario Draghi e Christine Lagarde vi hanno appena riportato con i piedi per terra. Se ora volete chiedere conto a certi Nobel mancati per le loro irresponsabili teorie degli ultimi tre anni, i nomi li conoscete molto bene. Sembra paradossale dirlo, ma siamo entrati nel periodo storico del finché c’è variante, c’è speranza. Poi toccherà tornare alla realtà. Settimana prossima il board Bce terrà una riunione straordinaria, da martedì a giovedì, ufficialmente per discutere i nuovi criteri di classificazione della politica di stabilità dei prezzi. Molto più facilmente, si tenterà di trovare l’ennesimo accordo emergenziale per comunicare al mercato che il Pepp durerà fino a quando necessario, togliendo dall’agenda la data cerchiata in rosso del 31 marzo 2022 e sventolando la bandiera dell’envelop. Sarà l’ultima, disperata mossa possibile per guadagnare tempo. Poi, inizierà il conto alla rovescia.
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