Per la prima volta dal 2011 il rendimento del decennale giapponese ha superato l’1% dopo essere stato in territorio negativo per lunghe fasi in questi tredici anni. La notizia è molto più di un aggiornamento su un angolo esotico dei mercati finanziari. I risparmi dei giapponesi da molti anni alimentano i mercati finanziari globali e le aste delle obbligazioni statali sia negli Stati Uniti che in Europa. La politica di tassi a zero e continue immissioni di liquidità ha condannato i giapponesi a cercare all’estero rendimenti impossibili da ottenere in patria. Il rialzo dei rendimenti delle obbligazioni statali del Giappone, se dovesse proseguire, diminuirà la domanda per le emissioni di obbligazioni degli Stati europei e degli Stati Uniti. Più il rendimento sale, più i giapponesi avranno un incentivo a investire in patria.



Saremmo alla vigilia di una fase di rallentamento economico, e quindi di taglio dei tassi, ma il rendimento delle obbligazioni sale. La valuta giapponese è ai minimi contro il dollaro dalla metà degli anni ’80 e questo significa importare inflazione in uno scenario in cui le spinte inflazionistiche ci sono per tutti a prescindere dai tassi di cambio. Uscire dall’angolo in cui si è infilato il Giappone, senza ipotizzare una nuova fase di deflazione globale, è complicato. Se salgono i tassi va in crisi il mercato obbligazionario; in alternativa la valuta continua a indebolirsi e questo significa inflazione. Questo è un monito per soluzioni apparentemente facili e indolori; perdere il controllo della valuta è molto più facile che recuperarlo.



Anche il rendimento del decennale americano è salito dopo una pessima asta, sulle obbligazioni a due e cinque anni, lunedì e una non esaltante su quelle a sette anni ieri. Il Governo americano deve piazzare più di 200 miliardi di nuovo debito a trimestre e non si nota alcuna intenzione di rallentare il deficit americano. In questo scenario gli investitori, soprattutto sulle scadenze lunghe, sono obbligati a chiedersi quale sia il nuovo livello di inflazione sia nel caso che il rallentamento non si manifesti, o si manifesti in misura minore, sia nel caso arrivi un rallentamento o, peggio, una recessione. In questo secondo caso è inevitabile chiedersi quale sarebbe il livello di deficit di uscita dalla recessione partendo da quello record attuale in cui non c’è alcuna recessione. Una crisi è solo una soluzione di breve periodo all’inflazione e per le esigenze dei Governi che devono emettere obbligazioni.



Il mercato obbligazionario giapponese diventa un punto di osservazione privilegiato per valutare le conseguenze delle politiche economiche degli ultimi tre decenni. Queste possono essere lette solo avendo presente la spinta deflattiva della globalizzazione e della produzione cinese che oggi non ci sono più lasciando senza difese i Governi di molti Paesi occidentali che, da un lato, non possono lasciare che i tassi salgano troppo e, dall’altro, devono contenere l’inflazione senza compromettere la crescita. È difficile immaginare che si possa uscire da questa situazione senza una qualche forma di ristrutturazione del debito. Nel frattempo lo scenario rimane politicamente complicato perché tutti tentano di posticipare il momento della verità, a ogni costo o quasi, e nessuno vuole accollarsi l’onere di iniziare pagando prima e più di tutti.

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