Emmanuel Macron esterna con frequenza quasi parossistica. E in maniera pavloviana, i nostri media operano da ufficio stampa dell’Eliseo. Soprattutto quando i toni bellicisti solleticano certe tentazioni da deficit spending ed emissioni comuni garantite da elicotteri e cannoni. L’unica volta in cui il Presidente francese ha detto qualcosa di realmente interessante, silenzio.



E cos’ha detto, esattamente due giorni fa? Ha infranto un tabù post-Brexit senza precedenti. Intervistato da Bloomberg TV, l’inquilino dell’Eliseo si è detto aperto alla scalata di una banca francese da parte di un competitor europeo, se questo servisse come leva per una maggiore integrazione. Ma non basta. Sempre millantando uno spirito da Ventotene 2.0, il Presidente francese si è scagliato contro il nanismo industriale europeo, sollecitando fusioni e nascita di soggetti in grado di competere contro i grandi player Usa e cinesi. Ora, quest’ultimo punto appare paradossale, quantomeno se tratteggiato come auspicio da parte del campione mondiale del nazionalismo corporate. Ma il primo punto fa riflettere. Quale banca francese vede il suo Level3 a tal punto di ebollizione da necessitare un cavaliere bianco che la salvi?



Perché parliamoci chiaro, di questo si tratta. Di inviare un segnale. Quasi certamente, alla tenutaria connazionale della Bce. Altrimenti, nessuno nella Francia che ha cannibalizzato ogni prerogativa finanziaria in sede Ue abbandonata da Londra dopo l’addio all’Unione, arriverebbe ad auspicare l’onta di una colonizzazione bancaria. Magari da parte degli italiani. E un certo entusiasmo negli acquisti del titolo di uno nostro primario istituto nella tarda mattina di martedì, ha fatto drizzare parecchie antenne. Perché una cosa è comprare, un’altra muoversi a blocchi da 1-2 milioni.



Insomma, Emmanuel Macron pare deciso a preparare la sua opinione pubblica al sacrificio di parte della grandeur nazionale. Per sopravvivere. Perché la ratio debito/Pil d’Oltralpe comincia a preoccupare. E non poco. E il carico di derivati che grava sugli istituti francesi è il best kept secret dell’intero comparto. Tutti sanno, tutti tacciono. Almeno fino a quando, come oggi, l’orizzonte della politica monetaria non appare decisamente insondabile.

Cosa farà la Fed? Cosa farà la Bce, di conseguenza? Nessuno lo sa. Il dato sui prezzi alla produzione statunitense pubblicato martedì ha parlato molto chiaro: il trend è in rialzo e i futures hanno subito prezzato un calo delle possibilità di un doppio taglio dei tassi da qui a fine anno. Ora date un’occhiata a questa tabella, ci mostra le conclusioni principali dell’ultimo sondaggio sul sentiment economico dell’Università del Michigan (UMich), il quale appare decisamente poco roseo nel delineare lo scenario.

Crescita in calo, inflazione in rialzo e soprattutto un vero e proprio tracollo del sentiment, il peggior calo in assoluto da quando si registrano le serie storiche. Uno scenario da stagflazione. Ovvero, il peggior combinato che si possa dover affrontare in questo momento. Perché una crescita che langue richiederebbe politiche espansive. Ma un’inflazione che rialza ancora la testa, le escluderebbe. E, anzi, rimetterebbe sul tavolo l’opzione di tassi quantomeno fermi ai massimi per un periodo prolungato. Se non addirittura in predicato di salire ancora.

Ora date un’occhiata a quest’altro grafico, il quale ci mostra come i tassi di interesse sulle carte di credito negli Usa oggi siano più alti che negli anni Ottanta. Ovvero, quando i Fed Funds erano addirittura in doppia cifra. E, nonostante questo, l’indebitamento su carta negli Stati Uniti continua a macinare nuovi record. Praticamente, un circolo vizioso da cui non si può uscire. Se non con uno shock.

Questo è lo scenario in cui si muove la Fed. E questo è lo scenario che vede la Bce costretta ad attendere nella speranza di poter operare a specchio della Banca centrale Usa, poiché – al netto delle panzane sull’indipendenza d’azione di Francoforte -, nessuno è così pazzo da correre il rischio di trovarsi sulla sponda sbagliata del fiume monetario.

Ed ecco che in Spagna si accende il risiko bancario. In Italia il ministro Giorgetti arriva a minacciare dimissioni per difendere la linea Maginot dello stop al Superbonus e alle sue degenerazioni elettorali. E in Francia, Emmanuel Macron apre all’ipotesi di un’acquisizione estera per un soggetto creditizio nazionale. La Francia. La stessa che ha fatto incetta di istituti e filiali nel Nord Italia negli ultimi dieci anni. Tanto per farvi capire quale potrebbe essere il sottostante di rischio che ha costretto l’inquilino dell’Eliseo a scoperchiare il vaso di Pandora di una fragilità sistemica che rischia di esplodere con una Bce totalmente incapace di reagire prontamente. Perché gli indici che continuano a salire, spinti da buybacks e algoritmi settati sui cieli sempre azzurri di Wall Street, stanno soltanto distraendo la gente dal reale dipanarsi delle criticità.

Al Mef stanno preparando un’altra emissione obbligazionaria. Questa volta green e sindacata. Tutto fumo. Perché in contemporanea, il suo titolare ha detto chiaro e tondo che chi difende il Superbonus e tenta di sabotarne le politiche di contenimento – come avvenuto martedì in Senato – non ha idea dello stato dei conti pubblici. Non un concetto da poco. Né tranquillizzante. Eppure fino a ieri tutto era bellissimo. Crescevamo più della Germania. Ora, invece, dobbiamo blindare il blindabile. E se il rinvio della Sugar tax è servito appunto ad addolcire la pillola dello spalma-crediti per Forza Italia e l’Abi, sottotraccia cominciano a muoversi gli iceberg. Gli stessi che Emmanuel Macron vorrebbe evitare. Aprendo a scalate bancarie. E addirittura auspicando fusioni industriali.

Pessimo segnale. Perché Oltralpe hanno cominciato a spacciare le loro rogne sistemiche come necessità di maggior integrazione europea. Significa che la sabbia nella clessidra scende sempre più velocemente. E il conto alla rovescia va a sovrapporsi con quello verso le Europee. Capito perché sarà Mario Draghi a guidare la Commissione Ue? Servono i cavalieri dell’Apocalisse per governare il caos. E la Bce ne sa qualcosa.

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