Chissà che non sia finalmente arrivato il momento di smetterla con il prendersi per i fondelli elevato a categoria dello spirito. Chissà che, con la sabbia nella clessidra che comincia davvero a scarseggiare e a scendere sempre più velocemente, qualcuno non sia preso da un estremo sussulto di onestà intellettuale. Anche perché, piaccia o meno, a brevissimo sarà la realtà a imporcelo. E, vi assicuro, non indosserà i guanti bianchi per farlo. Ma da pugile.



Volete un quadro rapido ed esauriente della situazione, tanto per farvi un’idea senza bisogno di troppe parole e troppi numeri, almeno di sabato e dopo una settimana pesante? Guardate questi tre grafici e avrete il quadro esatto della condizione in cui stiamo. Il primo mostra il livello dei licenziamenti negli Stati Uniti, alla faccia della retorica molto diffusa dei miracoli compiuti da Fed e Treasury nel tutelare lavoratori e cittadini Usa, a differenza della Bce sotto ricatto tedesco. Certo, sui giornali finiscono ciclicamente soltanto gli esuberi delle aziende con un nome roboante, quelle degne di un titolo. Ad esempio, i 28.000 mandati a casa dalla Disney per la crisi dei suoi parchi a tema. Ma quotidianamente negli Stati Uniti assistiamo a una vera e proprio Spoon River di posti di lavoro in ditte di ogni tipo: grandi, piccole e medie. Negozi che chiudono e non riapriranno più, intere aree di Manhattan (ho detto Manhattan, non Parabiago) che appaiono ghost-town, tappezzate di cartelli con la scritta affittasi o travi di legno a sigillare quelle che fino a pochi mesi fa erano entrate.



Basta leggere la stampa statunitense, basta leggere qualche report delle associazioni di categoria o qualche studio universitario: certo, se si leggono solo i tweets di Donald Trump o le statistiche del Bureau of Labor state freschi, in confronto l’Istituto Luce del Ventennio era un fulgido esempio di indipendenza. Il secondo grafico ci mostra il tracollo intraday patito il 1 ottobre dal rame, il proxy dei proxy a livello di attività industriale reale: il tonfo peggiore dallo scorso marzo, esattamente quando la pandemia fece il suo drammatico e roboante ingresso negli Stati Uniti, anticipando di poco il lockdown che ha schiantato il Pil (ma riattivato alla grande la stamperia della Fed, il tutto per la gioia di Wall Street). E attenzione, perché negli ultimi sei mesi la narrativa delle ripresa mondiale post-Covid è stata tale – alimentata dalle balle delle Banche centrali – da aver spedito le posizioni speculative long sul rame a livelli di record assoluto: tanti auguri a chi ora si ritrova a dover gestire quei contratti.



Ed eccoci arrivati al terzo grafico, il quale ci mostra plasticamente come il volume di trading sui futures legati al petrolio Wti oggi sia al livello dello scorso dicembre, in piena stagione di vacanza. Praticamente, zero. Ora, per quanto la vulgata ambientalista possa venirci incontro con i suoi wishful thinking, continuo a pensare che il mondo produca ancora bruciando petrolio e utilizzando combustibili fossili. Cosa ci dice quell’encefalogramma piatto rispetto al mercato petrolifero, a vostro modo di vedere? Solo che ci si è stancati di speculare sul prezzo del barile, accennando passi sempre più sgraziati nella danza macabra del not-delivering? O forse che il mondo è fermo a livello economico, in stagnazione totale e a forte rischio di ingresso in recessione/depressione?

Signori, siamo ridotti come a marzo. A livello globale, non certo in Italia o in Europa. Per quanto la Cina possa inventarsi statistiche in modalità Fausto Tonna, è tutto fermo. Evito per carità di Patria e per non rovinarvi del tutto il fine settimana di citare il dato del Baltic Dry Index, ma, fidatevi, siamo alla frutta. E il porto di Los Angeles ormai sta affittando anche le toilette per stipare merci e cargo, tristemente ferme a contemplare la banchina. Economia ferma, incertezza politica ai massimi, tensione geopolitica ormai a macchia di leopardo (ora è il turno del Caucaso, ma, vista la dinamica legata al petrolio, aspettiamoci una sortita dalle parti di Iran o Iraq a breve), disoccupazione di massa come prospettiva dietro l’angolo, società basate unicamente e giocoforza sui sussidi a pioggia per evitare guerre civili: ecco il mondo cosiddetto post-Covid.

Il problema è che non siamo nel post, bensì nel pieno di un’ondata che non abbiamo saputo né capire, né gestire. O che, forse, chi di dovere ha gestito e continua a gestire anche troppo bene. In nome dei suoi interessi. E sapete perché? Perché ormai siamo monotematici: qualsiasi sia il problema, qualunque natura abbia, sappiamo solo stampare denaro e monetizzare debito. E la Borsa festeggia. La ragione? Non stupidità, bensì necessità di perpetuazione e auto-conservazione dello status quo. Alla faccia di economia, libero mercato, lavoratori, intere società. Hanno creato un mondo di debito e leverage, di eccessi e distorsioni e ora devono tenerlo sui binari: capite da soli che non si tratta di un gioco a somma zero, questa volta. Qualche milione di vittime sacrificali è necessario. Così come qualche migliaio di miliardi di Pil che vanno in fumo.

Vi rendete conto che il Qe non solo non serve a niente, ma, anzi, sta drammatizzando e incancrenendo una situazione di per sé già senza precedenti? Vogliamo vivere in un caos organizzato e basato sull’helicopter money, sull’assegno garantito dal Sistema, mentre tutt’intorno il mondo brucia? È questa la ricetta degli adoratori del deficit, l’entropia da Banca centrale?

E tornando un attimo al nostro orticello, avete idea di cosa aspetta l’Italia nel momento in cui ci si renderà conto che l’unico nostro respiratore è quello della Bce, di fatto utile solo per lo spread sui Btp e non certo per riattivare il meccanismo del credito reale, perché il Recovery fund semplicemente non esiste? E peggio ancora, cosa accadrà quando finirà la moratoria sui licenziamenti? Avete presente il grafico sugli esuberi Usa pubblicato all’inizio? Ecco, temo il nostro trend sarà peggiore. Molto peggiore. E tutto di colpo, stante l’aver procrastinato il blocco così a lungo a fronte di nessuna soluzione strutturale. ma, unicamente, ricorrendo al tampone di una Cig che in molti casi non è stata nemmeno erogata.

Quando ci diranno la verità? Pensate che sia un caso che Giuseppe Conte, out of the blue, abbia potuto comunicare in maniera così leggera la volontà di prolungare lo stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021? Non vi pare strano che, a parte qualche stanca protesta di rito simile ormai a una cantilena, stavolta il centrodestra non sia insorto in modalità Cile 1973, gridando al golpe e alla delegittimazione del Parlamento? Lorsignori lo sanno cosa ci sta attendendo sul pianerottolo di casa, semplicemente continuano a prendere tempo sull’uscio e con la mano sulla maniglia. Sperando in un miracolo, forse. Ma ripeto, se non apriamo noi la porta alla realtà, sarà lei a sfondarla. In modalità squadra speciale di Chicago PD. Vi avevo detto che il redde rationem, questa volta, sarebbe arrivato. Eccolo. La October surprise. Anzi, soltanto il suo antipasto. Già indigesto.