Continuo a non essere un virologo. Però non ho nemmeno l’anello al naso, quindi direi che possiamo sostenere con sufficiente certezza che non ci troviamo di fronte a un’influenza un po’ più aggressiva del solito. Per tre ragioni. Primo, la rapidità e facilità esponenziale dei contagi, un bollettino di guerra giornaliero. Secondo, il numero di pazienti – non solo anziani o con gravi patologie pregresse – che necessitano del ricovero in terapia intensiva, tanto da aver fatto scattare l’emergenza in quei reparti. Terzo, il fatto che il Quirinale si sia sentito in obbligo di parlare direttamente alla nazione.



Detto questo, come se ne esce? Sento invocare da più parti la Bce, quasi il mondo avesse avuto bisogno di una pandemia di questo genere per rendersi conto del livello di divisione e inazione che sta prendendo piede all’Eurotower dall’addio di Mario Draghi. Benvenuti. Il problema, però, è altro. La Fed ha tagliato i tassi di 50 punti base, ma il mercato non ha gradito. E non mi riferisco alla reazione pavloviana da casinò degli algoritmi che sovrintendono le equities di Wall Street, bensì alle prezzature euro-dollaro in vista del prossimo Fomc previsto per il 18 marzo: a ieri, il segnale era quello di un’aspettativa implicita per un altro mezzo punto. Il tutto, con il decennale Usa che contemporaneamente toccava un nuovo record al ribasso di rendimento: 0,9120%.



Vi rendete conto della follia implicita di questa situazione? Il benchmark globale continua ad aggiornare sempre nuovi minimi, segnalando chiaramente qualcosa che andrà a ripercuotersi in maniera drastica ovunque – indici azionari in testa -, ma il mondo chiede altri tagli dei tassi: a quando il Treasury a zero o sotto zero a livello di yield? L’America punta dritta alla sua giapponesizzazione? Albert Edwards, l’uomo che da tutti veniva definito un pessimista cosmico, il perma-bear, sta ridendo di gusto.

Ecco dove siamo finiti signori miei. E con qualche piccolo problemino in più, come mostra questo grafico: gli spread del credito stanno letteralmente esplodendo, essendo in modalità di decompressione da 9 sedute su 11, la striscia più lunga dal 2013 e oggi sono al massimo di divaricazione dal 2016.



Sapete cosa significa quel dato, nemmeno troppo in codice? Segnala tempesta in arrivo sul mercato azionario. Un po’ come fa questo altro grafico, dal quale desumiamo che l’asta term tenutasi alla Fed di New York giovedì ha visto una sovra-iscrizione della domanda pari a 3.6x, ovvero richiesta per 72 miliardi di dollari a fronte di solo 20 disponibili. Scusate, ma il problema sul mercato repo overnight che lo scorso settembre fece ritornare in campo la Federal Reserve dopo dieci anni in panchina, non era solo temporaneo e dovuto alle scadenze del terzo trimestre?

Cari lettori, occorre che ci rendiamo conto di una cosa: ciò che le Banche centrali potranno fare, di fatto servirà solo a stabilizzare il casinò equities ed evitarne il crollo totale. Come minimo – e ripeto, minimo – la sovra-valutazione degli assets cui si era arrivati prima della correzione, implicitamente richiederebbe un altro 15% di calo: le banche, commerciali e di investimento, possono permetterselo? A quale livello di VaR hanno iscritto a bilancio la gran parte degli assets gonfiati dai buybacks, voi lo sapete? E se per caso quei livelli saltassero del tutto, forzando un pre-pricing di massa di quell’immondizia classificata come oro, avete idea di quale tsunami partirebbe sulla catena del rischio di controparte?

Prepariamoci quindi a una recessione che sarà a dir poco feroce, soprattutto in Europa. Perché la Bce che tanto viene invocata, di fatto per l’economia reale non potrà che aumentare la quota parte degli acquisti obbligazionari corporate, sostenendo così il comparto privato tedesco e francese, beneficiari storici del programma Pspp. Per il resto, ogni intervento sui tassi – leggi, liquidità – servirà soltanto a tamponare le perdite a bilancio di banche che ancora oggi hanno guai seri con esposizione a derivati o leveraged loans (il blocco del Nord) o con sofferenze ed eccessiva esposizione al debito sovrano (il blocco Med, italiane in testa): all’economia reale arriveranno le briciole. E ci vorrà tempo, molto tempo prima che la situazione si stabilizzi. Ben più a lungo del 2011. Nel frattempo, serviranno riforme. Drastiche. Strutturali. Addirittura copernicane, per quanto riguarda un Paese come il nostro.

Manca poco e arriverà il nuovo Timoniere a palazzo Chigi, l’uomo chiamato a portarci fuori dalla tempesta, dopo averlo fatto nel 2012 con l’intera eurozona. Non sarà un pasto gratis, mettiamocelo in testa. Penso che il senatore Mario Monti verrà ricordato come un buontempone incline all’indebitamento allegro, in confronto. Ma signori, coronavirus o meno, ce lo siamo cercati. Come Paese, come Europa e come sistema globale. Per quanto tempo vi ho detto che a colpi di continuo indebitamento saremmo arrivati alla fase dell’indigestione, dalla quale si esce soltanto con una drastica lavanda gastrica? Per mesi e mesi. Mi davano del pessimista, del catastrofista a oltranza, mi dipingevano come quello che dice che va sempre tutto male e che quindi, per la legge dei grandi numeri, prima o poi ci azzecca. Peccato che, articoli alla mano, io abbia sempre descritto quali fossero le dinamiche fuori contesto e quale sarebbe stato il potenziale rischio reale che questo comportava. Stranamente, i problemi che oggi stiamo affrontando arrivano proprio da quei settori. E molti critici e detrattori, sempre oggi, tacciono. O invocano la Bce, ovviamente a sproposito.

Signori, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità dal 2011 in poi, tutti quanti. Abbiamo accettato la follia keynesiana del Qe strutturale come panacea a ogni male ed eccoci oggi al redde rationem: non prendetevela con il coronavirus o con i cinesi o con chissà chi altro, perché non è colpa del detonatore se la bomba esplode. Il problema, è la bomba. E la forca economica e finanziaria a cui stanno per impiccarci, ce la siamo costruita da soli. Giorno dopo giorno, spacciandola per ripresa.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori