Nel 2005 lavoravo a Tempi. E cominciai a scrivere alcuni articoli nei quali mi ponevo il problema relativo alla tenuta dell’euro. Per l’epoca, roba da TSO. Ma Tempi è sempre stato un rifugio accogliente per personalità culturalmente borderline. Nell’accezione migliore e giussaniana del termine. Angelo Guerini lesse quegli articoli. E mi propose di tramutarli in un libro per la sua casa editrice. C’era anche il titolo: 2025, fine dell’euro. Almeno, mi ricordo fosse questo. Non se ne fece nulla, alla fine. Chiaramente per colpa mia. Ho molto difetti ma non sono né un mitomane, né uno che sfugge alle responsabilità. Magari ci metto un po’. Ma chiedere scusa non mi ha mai generato la sindrome Fonzie.



Ho risentito quel galantuomo di Angelo Guerini non molto tempo fa ed è stato lui ha ricordarmi quel progetto: Peccato non averlo fatto, ci avevi visto giusto. Già, uno dei tanti rimpianti. Ma la questione di fondo è altra: l’Europa sta per saltare. Le elezioni francesi rappresentano soltanto uno degli ultimi esempi di accanimento terapeutico. Farsesco ormai come dimostra la reazione del Cac40 alla nuova Vichy che qualcuno millantava alle porte. Ora possono dar vita a tutti i pastrocchi repubblicani che vogliono. Tanto siamo abituati. Primo turno improntato alla creazione artificiale della paura, secondo turno con la soluzione rassicurante dell’ammucchiata a garantire altri quattro anni di pacchia allo status quo. E debito come se piovesse, essendo la spesa pubblica il placebo della pace sociale. Penso che persino Marine Le Pen sia ormai conscia del giochino. E ci si presti per quieto vivere.



Il problema, oggi, sta tutto qui.

Questa dinamica raccoglie in sé tutti gli spauracchi fascisteggianti che leggiamo ogni giorno sui giornali. In Germania cresce la disoccupazione. E cresce la richiesta di sussidi. In Germania. Per questo la gente vota AfD, certamente non perché abbia nostalgia di Himmler. Certo, quest’ultima lettura evita sgradevoli prese d’atto rispetto a politiche migratorie e di deflazione salariale che Karl Marx ha ben spiegato qualche annetto fa. E che la sinistra finge di non conoscere, ammesso e non concesso che abbia mai letto Karl Marx. E, soprattutto, lo abbia capito. Questa dinamica spiega la guerra lampo messa in campo dagli sherpa tedeschi prima della nascita della nuova Commissione Ue, la stessa che ho raccontato la scorsa settimana. Prodromica. Via dal tavolo ogni emissione comune di debito. E via dal tavolo l’idea che l’instabilità politica in seno all’eurozona venga curata a colpi di acquisti della Bce.



D’altronde, la guerra ai populismi, la caccia alle streghe russe a cosa servono, se non a garantire che gli spread vengano tamponati dalla Bce? O pensate davvero che Vladimir Putin abbia rispolverato il vecchio obiettivo sovietico del far abbeverare i cavalli nelle fontane di Roma? La Germania sa che per sopravvivere occorre far terminare quanto iniziato da Mario Draghi con il Whatever it takes. La Germania sa di poter battere l’inflazione con armi ordinarie di bilancio, mentre questo grafico ci dimostra come Italia e Francia non possano.

Senza uno straccio di surplus di bilancio, Parigi e Roma possono restare nell’euro solo se la Bce continua a stampare e sostenere artificialmente. A cosa pensate che siano serviti i vari cicli di Qe dal 2012 in poi, forse a garantire sostegno macro alle economie? Finanziariamente hanno servito interessi privati riconducibili ai corsi azionari delle Borse. Politicamente hanno reso sostenibile ciò che sostenibile non è più. E operato da campagna elettorale perenne a colpi di spesa pubblica, dove invece c’era da razionalizzare e tagliare sprechi e mangiatoie.

Guardate questo terzo grafico: il patto renano è saltato. Le dinamiche debitorie di Francia e Germania non convergono più. In compenso, quelle di Italia e Francia cominciano a somigliarsi pericolosamente. L’asse del Qe perenne che unisce Parigi a Roma.

Capite da soli che, se davvero il Patto di stabilità dovesse applicarsi in base alle norme condivise sulla carta, l’intero castello crollerebbe in un attimo. Capite da soli, quindi, perché tanti strepiti attorno all’Autonomia differenziata. Semplice anche se pare eversivo dirlo chiaramente. Milano andrebbe con Berlino, Roma con Parigi. Nei fatti. Senza bisogno di moderne Versailles che impongano spartizioni o risarcimenti. Basta l’interscambio commerciale. Basta la percezione di rischio-Paese, di fatto il motore dell’andamento dello spread in un regime di mark-to-market che non sia manipolato in nuce degli acquisti della Bce. Se prevale la logica tedesca di queste ultime due settimane, non a caso un qualcosa di cui la stampa italiana si è ben guardata dal parlare, si apre una divaricazione che nessuna crociata antifascista o pro-gender potrà sanare. Semplicemente, l’insostenibilità dei conti porterà con sé un nuovo regime di mercato. E nuovi assetti.

Dobbiamo prendere atto del fatto che non esistono pasti gratis, né debiti che non vadano onorati. Il Qe alla fine è debito. Il Pnrr è debito. Inutile agitare lo spettro del Mes, di fatto il nostro Paese sta già oggi facendo i conti con almeno 7 anni di manovre correttive da una quindicina di miliardi l’anno, solo per tamponare il deficit al 7,2% regalatoci dal Superbonus di Grillo e soci. Capite da soli che la macelleria sociale diviene realtà non negoziabile. O alzi le tasse o tagli la spesa. Perché l’Italia da qui al 2030 dovrà mettere in conto almeno 30 miliardi l’anno di interventi, fra ordinario e correttivo. E dove trova le risorse? Dalla lotta al fascismo? Dagli scoop di Fanpage? Dalle emissioni di Btp indicizzati anche alle previsioni del tempo, pur di riuscire a irretire la clientela retail di turno?

Signori, il tempo sta terminando. Siamo quasi ai supplementari. Certo, l’Inghilterra contro la Slovacchia ci ha insegnato che non occorre mai arrendersi, almeno fino a quando l’arbitro non fischia. Ma quello è un gioco. Nessuno ha voglia di giocare con i nostri conti pubblici. I quali, inutile che lo ribadisca per l’ennesima volta, finora sono stati tenuti insieme dalla colla della Bce. Ora il passaggio obbligato per restare in questa Eurozona è la ristrutturazione più o meno ufficiale e graduale del nostro debito. E la Francia sta nemmeno troppo lentamente seguendo la nostra china. La Germania può sempre compensare le dinamiche inflattive con il surplus estero. La Francia no. E l’aggiustamento si paga con deflazione salariale, reddituale e dei costi. Ovvero, la benzina che tiene in vita Marine Le Pen da un decennio. Senza nemmeno dover cambiare slogan. Una partita di giro. E anche la favola della compressione al ribasso tramite l’esercito industriale di riserva dell’immigrazione sta per tramutarsi in incubo. Perché anch’esso garantisce ossigeno ai populismi strutturalmente necessari allo status quo per generare mostri da vendere all’opinione pubblica.

Ora si sta entrando in una fase nuova. Se la Germania davvero sceglie le politiche monetarie e fiscali restrittive, la vera austerity e non quella contrabbandata un tanto al chilo, mentre l’Eurotower si ingozza di Btp, il banco salta. Perché una casa costruita senza fondamenta, resiste soltanto in piano. Al primo scossone, crolla. Siamo oltre la metà del 2024. Al 2025 manca meno di quanto si possa pensare. E quei grafici ci mostrano quale sia la china.

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