Probabilmente, Giuseppe Conte è davvero un po’ nervoso in questi giorni di fine estate. Ma il Premier potrebbe avere un asso nella manica. Un qualcosa che va al di là e oltre l’attaccamento fisiologico alla poltrona di Pd e M5s, limite ontologico di libertà politica che presuppone infatti come come conditio sine qua non la sua permanenza a palazzo Chigi (non so quanto gli italiani, infatti, potrebbero accettare un altro Premier nominato a maggioranza variabile e senza passare dalle urne, soprattutto con il redde rationem delle regionali alle porte e dopo lo tsunami del Covid). Per capire cosa si agita in quello che potremmo definire il Deep State de noantri, occorre leggere il bell’articolo di Federico Fubini pubblicato sabato scorso sul Corriere della Sera. Nelle pieghe del Decreto agosto, di fatto, si agita un’anima indemoniata da provvedimento omnibus. Con mangiatoia annessa per appetiti bipartisan da saziare attraverso l’elargizione di fondi, la creazione di enti ad hoc, una pioggia di assunzioni e un diluvio di sgravi.



Doveva essere lo sprint alla ripartenza, la composizione armonica di mosse di politica economica frutto di 100 miliardi di scostamento di bilancio e quasi 30 di fondi Sure, mentre in realtà si è tramutato in una compilation di varie ed eventuali che permette a molti di incassare. Tutto legale, ci mancherebbe altro. Meglio sottolinearlo, visto che in questo periodo fioccano sui giornali ricostruzioni stile Spectre dell’attività di governo. Ma resta un po’ il retrogusto amaro in bocca, al netto del capitolo sulla cassa integrazione che ancora necessiterebbe qualche chiarimento in merito. Soprattutto, da parte dell’apparentemente intoccabile capo dell’Inps. E in attesa dell’attivazione del Mes, giustificata dall’aumento dei contagi e della contemporanea necessità di mettere in sicurezza le scuole per garantire la riapertura il 14 settembre, ecco che un dubbio sorge sotto forma di articolo di giornale. Precedente di un giorno rispetto a quello di Federico Fubini ma altrettanto interessante.



Lo ha pubblicato il quotidiano di Napoli, Il Mattino, e fin dal titolo mostrava i crismi del messaggio in codice, stante la lapalissiana scoperta dell’acqua che sostanziava nel merito: il grosso delle Fondazioni bancarie è al Nord, dove si concentrano quindi il grosso dei fondi. Se vi fosse sfuggito, Cristoforo Colombo ha scoperto l’America e normalmente quando piove, in assenza di un ombrello, camminando per strada ci si bagna. Come mai, però, questo fulmine a ciel sereno, questa riproposizione di un tema vecchio almeno di venti anni, proprio ora? Dopo un Decreto agosto in stile bazar (o suk, fate voi) e soprattutto dopo l’indicazione della Commissione Ue di utilizzo di una parte integrante e qualificante dei mitologico 209 miliardi del Recovery Fund per il Mezzogiorno e il suo sviluppo?



Ecco il nodo fondamentale, la potenziale agenda nascosta del Premier che potrebbe renderlo molto meno fragile di quanto si pensi. Anche alla faccia di quei partiti come Pd e Italia Viva che, almeno a parole, sembrerebbero sempre sul punto di staccare la spina, in punta di distinguo e mal di pancia politici seriali. Cos’ha promesso Giuseppe Conte al Sud, inteso più come sistema autoreferenziale di potere e rappresentanza che come mera area geografica di sofferenza socio-economica? Cosa c’è, se c’è, dietro al timing di quello strano memento rispetto al carattere discriminatoriamente settentrionale delle Fondazioni bancarie? Lo abbiamo chiesto a chi dentro quel mondo ci ha vissuto per anni. Decenni, più che altro. E da posizione tutt’altro che laterale. E le sue risposte, se messe insieme come tessere di un mosaico e collegate come puntini della Settimana enigmistica, compongono un quadro che dovrebbe far riflettere.

“Le Fondazioni bancarie al Sud sono pochissime, perché le Casse di Risparmio del Sud erano state gestite male, sono state assorbite da banche del Nord e quindi il valore relativo si è trasferito. Non mi pare vi sia nulla di complottistico o discriminatorio in questo: se fai male il tuo lavoro e vieni assorbito, appare quantomeno bizzarro che tu voglia continuare operativamente ciò che hai mandato in malora. Con questo meccanismo, ovviamente, si è interrotto il rapporto con gli enti locali del Sud, visto che i consigli di indirizzo delle Fondazioni sono espressione delle realtà locali. Insomma, non è per una maledizione divina che i fondi vengono distribuiti prevalentemente al Nord”.

Fin troppo logico, in effetti, per questo Paese dai mille complotti e soprattutto dall’ontologica assenza di responsabilità. Spesso entrambi interessati. O forse vogliamo negare anche l’evidenza di passate vanaglorie bancarie del Mezzogiorno, terminate con ingloriose acquisizioni di ciò che era stato precedentemente spolpato e reso incapace di camminare con le proprie gambe? Perché allora un’uscita simile, quasi a freddo? “L’articolo mi pare un tentativo di rimettere la politica nazionale sulla pista delle Fondazioni. Ora, intendiamoci: che si possano redistribuire meglio le risorse ci sta, ci mancherebbe altro. Ma al di là della Fondazione per il Sud, occorrerebbe individuare dei meccanismi collegati a progetti ben chiari. Altrimenti tutto andrebbe a finire come con i fondi europei. Che il Sud ha dimostrato plasticamente e continuativamente di non saper spendere”.

Una bella sottolineatura, in punta di indicazione di indirizzo dei miliardi del Recovery fund partita – non si sa su ispirazione di chi o in forza di quale do ut des politico (magari l’ok al Mes?) – direttamente da Bruxelles. Insomma, davvero nessuna discriminazione? Nessun carattere nordista delle Fondazioni, tale da operare come freno sullo sviluppo del Mezzogiorno e della sua necessità di investimenti diretti sul territorio a livello locale e non mediati forzatamente dallo Stato? “Io non percepisco come un limite che le Fondazioni del Nord siano vicine ai loro territori. Sono state ben gestite, i fondi erogati ben impiegati. Questo non si può dimenticarlo, altrimenti si parte da un presupposto di negazione della realtà che apre la strada a ‘revisionismi’ di ogni genere. Soprattutto, platealmente rivendicativi su chiara impostazione politica. Non vorrei che alla fine si attivasse il solito discorso gné gné, per dirla in maniera brutale, il classico piagnisteo basato non sulle cifre e sui risultati ottenuti in punta di operatività degli enti che operano nel settore ma meramente fondato sull’assioma sempre di impatto del Nord predone che colonizza il Sud e lo depreda dei suoi tesori. Occorre essere sinceri, come molte storie di cronaca economica e bancarie ci ricordano: questo Paese è annegato per anni e anni nella melassa a presa elettorale rapida della solidarietà al povero Sud, alla logica redistrubutiva del Soldi anche per noi, Non potete dimenticarci, eccetera eccetera. Il tutto, senza mai affrontare l’enorme divario di efficienza e produttività e senza mai fare autocritica sulle proprie inefficienze. Non vorrei che qualcuno pensasse che dopo la Cassa per il Mezzogiorno si dovesse costituire una Fondazione per il Mezzogiorno”.

Boom! Vuoi vedere che abbiamo dato – con una sola, lapidaria frase dal carattere solo formalmente interrogativo – un nome all’asso nella manica che Giuseppe Conte si preparerebbe a mettere sul tavolo da gioco, nella sua ultima e decisiva mano? E attenzione, perché qui si va al di là della mera gestione della crudele agonia in atto nell’esecutivo, dell’eutanasia di un amore mai nato che ogni giorno rischia di veder staccata la spina. L’indicazione diretta giunta dalla Commissione Ue rispetto alla destinazione proritaria dei fondi legati al Recovery fund rappresenta un chiaro framework legale e politico, di mandato, che il Premier può far valere come uno stigma nella fase preparatoria e di elaborazione operativa del Recovery Plan da presentare a Bruxelles come “pezza giustificativa” ex ante dell’utilizzo di quel tesoretto miliardario ottenuto al Vertice di giugno. Di fatto, una dote pesantissima e ricchissima con cui Giuseppe Conte potrebbe presentarsi sull’altare del matrimonio elettorale con gli italiani di un suo ipotetico Partito del premier.

Cassa europea da spendere che andrebbe a generare non solo cassa diretta per il Mezzogiorno – con la benedizione di Ursula Von der Leyen -, ma anche, almeno stando alla strana logica redistributiva e rivendicativa sulla punta della quale potrebbe apparire scritto l’articolo de Il Mattino, una chiara messa in discussione dell’attuale assetto del sistema delle Fondazioni. L’ossatura del sistema, esattamente come le assicurazioni sono la cassaforte del debito. Leggi, la possibilità di nuovi vincoli legali che impongano scelte, limiti e assetti centralisti imposti dall’alto e non mera osservazione ed eventuale regolazione delle dinamiche di mercato e di reale operatività sul territorio degli enti di Fondazione.

Conclude il nostro interlocutore: “La verità è che gli imprenditori non crescono come l’insalata. E l’efficienza non si trova al bordo della strada. Ci vogliono educazione, formazione, determinazione. E quindi cambiamento profondo. I soldi da soli non risolvono nulla. I giovani scappano dal Sud, ormai fanno l’università al Nord in maniera quasi sistematica e non rientrano. Vogliono una vita normale, possibilità di lavoro e di crescita personale. Altro che nuovi carrozzoni”. Ma nel Paese del reddito di cittadinanza, del navigator come nuovo status symbol e di Quota 100 come cortocircuito elettorale alle reali necessità del mercato del lavoro, quanto può fare presa elettoralmente un richiamo alla necessità di cambiamento profondo e di mea culpa? Soprattutto, a fronte del facile alibi della mancanza di fondi causa depredazione nordista sistematica che accompagnerebbe come slogan una proposta politica dichiaratamente territoriale, guarda caso proprio nel feudo di riferimento del Movimento 5 Stelle?

Non a caso, un paio di bizzarri quotidiani che appaiono più nelle rassegne stampa che nelle edicole stanno da tempo tirando la volata al profilo politico-territoriale meridionalista dell’azione di governo del Premier, quasi a voler suggerire la nascita di una Lega Sud improntata al redistributivismo solidale da contrapporre all’egoismo nordista (e un po’ confindustriale, da qualche mese a questa parte). Il senatore Matteo Salvini, fra un selfie e un bagno di folla senza mascherina, si sta accorgendo di quanto pare in rapido movimento sotto il pelo dell’acqua della politica economico-finanziaria romana o vuole davvero perdere del tutto l’elettorato di riferimento del Nord, suicidandosi poi nel derby centralista contro Fratelli d’Italia?

Certo, se alle regionali davvero Luca Zaia dovesse doppiare con la sua lista il risultato del fu Carroccio, qualche contincino potrebbe essere regolato. Almeno in parte. E su mandato territoriale.