Nel mio articolo dell’altro giorno vi raccontavo delle vere e proprie bombe politiche che stavano esplodendo negli Usa, tali da spingere Joe Biden a un atteggiamento di aggressività senza precedenti sulla questione dell’Ucraina. Al centro di tutto, appunto, il Paese che dopo il golpe di Maidan è divenuto seconda casa del figlio del Presidente, Hunter, entrato nel Cda di quel vero e proprio collettore di tangenti che è il colosso energetico statale, Burisma, capace di trasformare l’Enimont della maxi-tangente in un esempio di trasparenza contabile. Dalle Corti di giustizia uscivano rivelazioni-bomba sull’intero impianto del cosiddetto Russiagate, ovvero il tentativo dei Democratici di screditare Donald Trump inventandosi di sana pianta rapporti inconfessabili con il Cremlino.



Dopo i sospetti, ora fioccano le conferme. Ai massimi livelli. Perché al centro della macchinazione c’erano i più stretti collaboratori della campagna elettorale di Hillary Clinton. Uno dei quali, oggi, è nientemeno che responsabile per la Sicurezza nazionale di Joe Biden. Ovvero, di fatto delegato anche alla questione ucraina. Eco sui giornali? Zero. Anzi, no. Un plauso in tal senso va a un cavallo di razza del giornalismo come Pierluigi Magnaschi, poiché questa è l’unica prima pagina di quotidiano in edicola giovedì a riportare la notizia. Con tanto di bandone rosso per renderla visibile. Punto.



Ora, al netto della pantomima ucraina e del solito bollettino terroristico sul Covid, quali notizie di vitale importanza possono aver monopolizzato le prime pagine di tutti i quotidiani italiani? Le stesse, tra parentesi, che quando scoppiò il Russiagate furono interamente dedicate per giorni al tema, visto che permetteva la character assassination di Donald Trump. Signore e signori, ecco Matrix. Ci siete dentro e nemmeno lo sapete. Leggete il titolo scelto da Magnaschi per dare la notizia: non usa mezzi termini, parla di Russiagate come fake news dietro la quale c’è Hillary Clinton. Diretto. Come i grandi giornalisti sanno fare, quando occorre dire la verità e dirla chiara.



È grave, cari lettori. Una cosa simile è gravissima. Non tanto per l’omissione di verità scomoda, ormai un piatto del giorno dell’informazione italiana, bensì per la nonchalance con cui ormai i media cosiddetti autorevoli occultano le notizie o pompano le veline che fanno comodo ai loro referenti, più o meno occulti. Non si preoccupano nemmeno più di usare il bilancino, scaricano tonnellate di nulla e falsità senza sentire la necessità di una spolverata di fatti. Perché la gente non è interessata alla verità. Vuole essere rassicurata. O spaventata. Viviamo nel mondo delle emozioni forti e primordiali, tanto che se fosse ancora vivo Guy Debord ci regalerebbe certamente un secondo capolavoro dopo La società dello spettacolo.

Il potere è di suo arrogante. Oggi lo è in maniera che fa tremare le vene ai polsi. Guardate la questione dei referendum. Su otto, gli unici tre che contavano qualcosa sono stati cassati con motivazioni a dir poco da regime. In compenso, i cinque più astrusi e inutili diverranno materia di un dibattito infinito in primavera, quando si andrà alle urne. Anzi, quando non si andrà, come posso tranquillamente anticiparvi fin da ora. Perché gli italiani, notoriamente, dei quesiti referendari se ne fregano. L’importante era creare una cortina fumogena preventiva rispetto al passaggio spartiacque più delicato: la primavera, appunto. Quando la Bce terminerà il programma di acquisto e il Governo dovrà decidere cosa fare con lo stato di emergenza e le sue restrizioni accessorie, green pass in testa. I giornali, gli stessi che hanno stranamente omesso di comunicarvi come la vera fake news sia quella che loro hanno spacciato come verità assoluto e gravissima per interi trimestri rispetto al Russiagate, ci sguazzeranno nella fanghiglia da Palazzi romani dei referendum. In modo da non dover disturbare troppo il manovratore di palazzo Chigi. Perché comincia a tirare proprio brutta aria.

Per la prima volta dal maggio 2020, il rendimento del decennale ha toccato di nuovo quota 2%. Eppure, ricordo nitidamente – anche su queste pagine, prima che tutti si convertissero all’allarme inflazione e ai rischi connessi al Qe – come l’arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi dovesse garantire al nostro spread la permanenza finalmente strutturale in doppia cifra verso il Bund. Non solo siamo in tripla cifra, ma abbiamo varcato al rialzo il Rubicone di quota 150 punti base. E con la Bce che non solo sta ancora comprando, ma sta facendolo con il badile, da metà gennaio in poi. E tutto con deviazione di capital key casualmente focalizzata sul nostro Tesoro. Insomma, nonostante un supporto a dir poco spudorato dell’Eurotower, il nostro spread continua a salire. E ora c’è davvero da preoccuparsi. Per due motivi.

Primo, l’intervento di Francoforte si è tramutato da booster al ribasso in tampone, ovvero opera unicamente come off-set dei rialzi per evitare che vadano fuori controllo su spirali auto-alimentanti di aumento. Secondo, il momento in cui quel sostegno verrà a mancare o sarà clamorosamente ridimensionato nei controvalori si sta avvicinando a larghe falcate. Al 31 marzo manca sempre meno e le dinamiche inflattive non fanno ben sperare a favore di un prolungamento degli acquisti tramite l’App per ammontare sufficienti a evitare uno shock sui rendimenti. Occorrerebbe una Fed che blocchi del tutto il percorso di rialzo, affinché l’intera curva si placasse. Difficile che lo faccia, poiché l’America ha i suoi bei guai da affrontare e certamente guarderà solo all’interesse interno. Se il morphing del programma di acquisti si limiterà a 40 miliardi nel secondo trimestre e 20 nel terzo, per poi terminare del tutto, preparatevi a un autunno non caldo, bensì bollente.

In compenso, quell’ipotesi comporterà la fine delle restrizioni in primavera, poiché il popolo va blandito con una bella estate da liberi tutti, prima di essere tosato in nome delle condizionalità del Recovery Fund. Ma tranquilli, per allora avrete votato cinque quesiti referendari totalmente inutili e innocui per il potere. E avrete anche metabolizzato il sussulto di orgoglio che potrebbe determinare in voi l’aver preso atto di come i media vi abbiano bellamente preso in giro per anni, salvo ora nascondere il contenuto del vaso di Pandora. Perché se riusciranno a tramutare lo scandalo Russiagate in una non notizia, come pare essere l’impostazione scelta, allora la colpa sarà interamente vostra.

È ora di finirla con le scuse, con la necessità di leggerezza dopo due anni di pandemia: volete capirlo che continuano a prendervi in giro, lanciandovi ciclicamente un nuovo bastone – sia esso Sanremo, il campionato di calcio, i referendum, il pericolo no-vax – come si fa con il cane per ammansirlo e farlo stancare? Se non lo capite, allora vi meritate quanto sta per arrivare. Fatevi una sola domanda, se non ci credete: com’è stato possibile passare da un clima di euforia da Pil al 6% al grigiore recessivo da crisi inflattiva attuale senza soluzione di continuità, quasi senza accorgersi dello sbalzo? L’inflazione è forse cresciuta nottetempo sugli alberi attorno a Natale? O forse vi hanno raccontato una valanga di balle? E, spiace dirlo, voi ve le siete bevute tutte. Quantomeno, spero, solo per quieto vivere.

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