Meglio tornare un po’ con i piedi per terra dall’iperuranio dell’AI che negli ultimi giorni sta catalizzando tutta l’attenzione. Meglio sparigliare un po’ le carte. Perché sottotraccia la vecchia Europa sta inviando e ricevendo segnali tutt’altro che confortanti.
A volte basta una frase. E le antenne si drizzano. Questa: If bond sell-offs sparking references to the mini-budget crisis of 2022 become a more regular feature of UK capital markets, this may suggest the safe-haven status is becoming less assured…. Tradotto, se esplosioni incontrollate dei rendimenti obbligazionari sulla falsariga di quelle del 2022 dovessero diventare una ciclica norma sui mercati di capitali britannici, allora lo stesso status rifugio di quella carta potrebbe essere meno garantito. E la sterlina certamente non ne uscirebbe indenne.
Concetti poco concilianti. Espressi da chi certe questioni le conosce. Dennis Shen è infatti un top analyst. E lavora per Scope Ratings, l’unica grande agenzia di valutazione con sede in Europa. E questo è il suo giudizio relativamente ai Gilts, i titoli di Stato britannici. Espresso la scorsa settimana, il giorno precedente all’intervento del ministro delle Finanze, Rachel Reeves, a Davos. Ma nello stesso giorno in cui l’asta settimanale di Short Term Repo della Bank of England segnava altri 46,4 miliardi di sterline di allotment. Dopo che soli due giorni prima si era resa necessaria un’asta supplementare. Un miliardo ulteriore. Sete di liquidità. Oggi nuova asta. Il giovedì ormai è l’appuntamento con il collaterale fra i denti per le banche di Sua Maestà. Come i cani che portano le ciabatte al padrone. Tanto per dimostrare come certe facilities temporanee diventino silenziosamente strutturali. Ma nessuno sembra preoccuparsi. A nessuno pare strano che ogni sette giorni le banche britanniche necessitino di una cifra variabile fra i 40 e i 50 miliardi di sterline dalla Banca centrale. Tutto bene. Tanto, il Ftse100 sta lottando con il Dax tedesco per il titolo di indice europeo più performante.
Ora mettiamo in ulteriore prospettiva lo scenario. Prima della crisi finanziaria del 2008, la ratio debito/Pil del Regno Unito era al 45%. Oggi sta per varcare la soglia psicologica della tripla cifra. Fin qui, l’ennesimo allarme a bocce ferme sulla questione legata al debito britannico e alle detenzioni di Gilts della Bank of England che potrebbero essere congelate e non più vendute sul secondario per cercare di raffreddare i rendimenti. Ma martedì scorso, parlando a un evento organizzato a Londra da Bnp Paribas SA, ecco che un adviser della medesima Bank of England, salta fuori con quella che tutti – lui per primo – si affrettano a definire come una pura opinione personale. Non richiesta. Non in agenda degli argomenti trattati. Ma, soprattutto, decisamente rivelatrice. A detta di Thomas Jones, infatti, quando e se la Old Lady metterà mano alla regolamentazione bancaria, dovrebbe escludere i bond AT1 dal calcolo di capitale. Insomma, i convertibili tornati tanto in voga dopo essere costati la ghirba a Credit Suisse, a detta di un full-time policy adviser at the Bank of England, andrebbero esentati da ogni struttura revisionata di capitale, la quale dovrebbe comprendere unicamente common equity tier 1 capital and bail-in debt.
La Bank of England ha subito negato che un tale tipo di riforma sia attualmente allo studio. Né che lo diverrà a breve. Lo stesso Thomas Jones, interpellato per chiarimenti da Bloomberg, si è negato. Forse l’atmosfera da panel della City ha giocato un brutto scherzo all’adviser, spingendolo a rivelare ciò che invece doveva restare nascosto, almeno fino alla prossima crisi stile 2022 o al prossimo regime di aste Repo tri-settimanali per evitare nuove Northern Rock? Questa è l’aria che tira. E in questo contesto, l’Italia diviene palcoscenico di quello che ancora la stampa si ostina a definire con elegante eufemismo Risiko bancario.
La reazione a caldo della Borsa sul titolo Mps pare dar ragione a chi ha ammassato shorts contro il titolo di Rocca Salimbeni lo scorso dicembre, in effetti. E dal Consiglio di Mediobanca l’altro giorno sono usciti toni e determinazioni ultimative nei confronti di un’offerta senese, definita non solo ostile ma soprattutto fortemente distruttiva di valore. Come dire, c’è voluto poco prima che il mercato ridimensionasse a colpi di vendite quel valore lunare di 13,3 miliardi che Mps si attribuiva in sede di scambio azionario. In realtà, si viaggia attorno a 8,8 miliardi. In un giorno, il premio del 5% offerto da Mps si è tramutato in uno sconto del 9% rispetto ai titoli di controvalore di Mediobanca. Roba da richiesta di dimissioni del Cda senese. A meno che qualcuno abbia gettato un sasso nello stagno, quasi si cercasse una price discovery che rimettesse tutto al punto di partenza. E offrisse al tempo stesso uno stress test di percezione, ma, soprattutto, lauti guadagni per chi deteneva anche azioni Mediobanca, oltre a quelle di Rocca Salimbeni.
Di certo, qualcuno ha perso: il Tesoro. Ovvero, noi. Fossi Giorgia Meloni mi fermerei, farei un lungo respiro e mi chiederei se il rischio di essere fatta fuori politicamente sia più probabile in relazione a quell’avviso di garanzia o a qualche azzardo bancario/assicurativo di troppo, stante il rapporto incestuoso fra quel settore e sostenibilità del nostro debito pubblico. La prima parte di questo articolo parla chiaro, in tal senso. A Londra cominciano già ad accatastare sacchi di sabbia per le trincee. O, quantomeno, operano stress test di percezione come in un laboratorio di Stanford negli anni Settanta. Occhio a sottovalutare certe opinioni personali.. Non a caso, proprio l’altro giorno il gigante britannico Hsbc ha comunicato l’intenzione di chiudere alcune unità dell’investment banking in Europa e Stati Uniti, concentrando tutto il suo core business sul mercato di riferimento storico, l’Asia. Non filiali. Unità di investimento. E per quanto riguarda casa nostra, occhio anche a sottovalutare la capacità di autotutela dei pochi poteri realmente forti rimasti in questo Paese. Generali è la cassaforte del Paese. E il vero obiettivo dell’intera operazione Mps-Mediobanca. Pensare di trattare il Leone di Trieste come fosse una cassa di risparmio è decisamente più grave e pericoloso che espellere un boia dal Paese. L’affaire Abu Omar non fece cadere Governi. Lo spread, sì. E il reinvestimento titoli della Bce ora diverrà vendita dei medesimi Btp sul mercato secondario. Chi compra, tutto il Signor Rossi?
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