Almeno per la settimana di Natale, avrei voluto darvi qualche buona notizia. O, quantomeno, un segnale di cambiamento in positivo, una prospettiva. Difficile. Soprattutto in questo Paese. Prendete le ultime ore di lavoro in Parlamento, il classico tour de force per evitare l’esercizio provvisorio e varare la manovra. Ogni anno, la stessa storia. Il Governo pone la fiducia, l’opposizione grida alle Camere esautorate e la pantomima prosegue. Il 2019, come avrete notate, non fa differenza. Stessa storia, stesso copione. Ma davvero la politica – il Governo, la maggioranza e l’opposizione, senza distinzione alcuna – ha capito cosa ci aspetta da qui a qualche mese?



Io temo di no, temo navighino decisamente a vista. E, in alcuni casi, con gli occhi bendati. D’altronde, è molto più semplice riassumere e sintetizzare il tutto utilizzando i vecchi e ritriti schemi della propaganda di parte, come ad esempio il mantra in stile cileno della “sospensione della democrazia”. Sostenuto, oltretutto, da qualcuno che non più tardi di cinque mesi fa, fra un mojito e l’altro, chiedeva al cosiddetto e sedicente popolo i “pieni poteri”. Il centrodestra denuncia una manovra tutta di tasse che massacra cittadini e imprese, l’esecutivo si trincera dietro al disinnesco della clausole Iva che, di fatto, ha reso le scelte obbligate, stante la coperta corta delle coperture e il dogma – più formale che sostanziale – dei saldi invariati da rispettare. Là fuori, però, c’è una crisi che sta montando, come cavalloni spinti dal libeccio di fine estate.



Guardate questo grafico, perché racchiude in sé tutto il senso di ciò che dovremo affrontare da qui alla primavera. Mostra come in Germania, di fatto ancora l’economia benchmark dell’eurozona, sia in atto una divaricazione che non ha precedenti. La percezione di miglioramento salariale e la fiducia economica della popolazione in generale è ai minimi da 6 anni, mentre la propensione al risparmio è ai massimi record. Praticamente, la fotografia della stagnazione.

E attenzione, perché il dato del risparmio non deve far paura per il semplice fatto che questo comporta, automaticamente, una devastante contrazione dei consumi. La vera cartina di tornasole della gravità contingente della situazione è data dal fatto che questo mood fra la popolazione tedesca, questo stato d’animo, va a innestarsi in un contesto che vede i tassi negativi incidere sempre più pesantemente sulla profittabilità bancaria, soprattutto proprio in Germania e Francia. E dato che la Bce ha confermato che il costo del denaro e dei depositi non si muoverà minimamente al rialzo per un lungo periodo di tempo, gli istituti cominciano a scaricare – in maniera più o meno occulta – i costi di quella “tassa sui depositi” direttamente sui correntisti. Per ora, solo i più facoltosi. Ma se davvero non si vedrà una prospettiva di cambiamento e, anzi, la crisi economica si avviterà su se stessa nei primi due trimestri del 2020, state certi che in qualche modo quel carico verrà spalmato su tutti i risparmiatori. In Germania, lo sanno.



La riprova è il fatto che alle ultime amministrative, Alternative fur Deutschland ha abbandonato il cavallo di battaglia della lotta all’immigrazione per puntare tutto proprio sulla denuncia di una Bce, all’epoca della decisione ancora a guida italiana, che succhia i risparmi dei tedeschi: nemmeno a dirlo, un pieno di voti. Ora, al netto della propaganda, il problema è serio. Molto serio. Per due ragioni. La prima è nota, quantomeno fra i miei lettori più assidui. Le economie di Germania e Italia vivono da anni un interscambio record, quasi simbiotico in seno all’eurozona e il comparto della subfornitura del Nord Italia verso l’industria tedesca, automobilistica in testa, rappresenta un vero e proprio volano del Pil e un salvagente per l’occupazione. E se quel sondaggio avesse ragione, se fosse davvero rivelatore di una brutta aria che i cittadini tedeschi stanno già subodorando per il futuro prossimo?

Dinamiche salariali ferme o addirittura in contrazione come non le si temeva dal 2013, quando ancora il grande spavento della crisi dei debiti sovrani aleggiava nell’aria dell’eurozona, rappresentano un pessimo viatico, un campanello d’allarme che la Confindustria tedesca ha più volte fatto presente al governo di Angela Merkel. Non più tardi di venerdì scorso, il DIW Berlin, il più importante think tank di analisi economica tedesca, ha reso noto che – in base ai suoi modelli econometrici – nel quarto trimestre di quest’anno, il tasso di crescita della Germania tornerà a contrarsi dello 0,1%, dopo il brodino del terzo trimestre che ha evitato solo frazionalmente l’ingresso in recessione ufficiale.

Il capo economista del gruppo, Claus Michelsen, non ha usato giri di parole per commentare il dato: “Nella migliore delle ipotesi, possiamo sperare nella stagnazione”. Sperare. E attenzione, perché come avrete letto e sentito, Donald Trump è passato alle vie di fatto, imponendo sanzioni alle aziende coinvolte nel consorzio Nord Stream 2. Se per caso, colto da delirio patriottico-propagandistica in avvio di campagna elettorale, a quel provvedimento dovesse seguirne uno di imposizione di dazi e tariffe sull’import di automobili europee negli Usa, la situazione dell’economia tedesca rischierebbe di precipitare. In fretta. Non a caso, come ho scritto qualche tempo fa, nella prima tornata di acquisti obbligazionari in seno al nuovo Qe, la Bce ha acquistato due bond della Daimler direttamente in asta, ovvero sul mercato primario. Non un bel segnale, anzi. E oggi, alla luce dei nuovi dati e degli sviluppi sul campo geopolitico ed economico internazionale, capiamo anche il perché.

Insomma, Bce matrigna per i tassi di deposito negativi ma anche cavaliere bianco per quanto riguardo costi e capacità di finanziamento sul mercato delle aziende tedesche più in difficoltà congiunturale, come quelle dell’automotive. Il tutto, poi, al netto della questione bancaria, visto che Deutsche Bank rimane ancora troppo sistemica per essere affondata, quantomeno fino a quando non verrà depotenziato pesantemente il rischio di controparte globale contenuto nel suo book dei derivati. E, soprattutto, fino a quando non si capirà lo status legale di quei contratti, visto che tutto ciò che fa riferimento all’euro/dollaro vede ancora oggi la City di Londra come clearing house ma il Brexit potrebbe creare un vulnus molto pericoloso, un precedente che nessuno vuole dover affrontare. E infine, attenzione anche all’effetto collaterale delle mosse percepite come benigne da parte dell’Eurotower, la quale sta destinando il 25% delle sue risorse di acquisto mensile sul ramo corporate, un qualcosa di cui le aziende tedesche e francesi stanno beneficiando parecchio (e non da ora).

Questo secondo grafico ci mostra infatti come la politica di tassi bassissimi posta in essere da tutte le Banche centrali del mondo abbia generato un mostro proprio all’interno del comparto corporate, ovvero il proliferare delle cosiddette zombie firms o zombie companies, cioè aziende incapaci di far fronte al proprio servizio del debito attraverso il normale flusso di cassa. Bene, il grafico ci mostra come a crescere a dismisura in questa poco onorevole e poco rassicurante categoria siano le aziende piccole e medie in base al loro valore di mercato, rappresentante dalle linee rossa e arancione.

Il loro aumento è stato vertiginoso e quell’indebitamento strutturale che le mantiene artificialmente in vita, come un polmone d’acciaio, viene garantito unicamente dal costo del denaro a zero o sottozero imposto artificialmente dalle Banche centrali. Ma, al netto delle promesse e dell’obbligo forzato di mantenimento a lungo di quei livelli, il mercato ha ancora ambiti nei quali a fare le regole sono gli interessi e i profitti degli investitori. I quali – Fed o non Fed, Bce o non Bce – quando prezzano un rischio da abuso di azzardo morale in arrivo, scaricano posizioni. E con mezzo universo dell’obbligazionario corporate nell’area di investment grade composto da aziende con rating BB o BBB, ovvero a un passo dal downgrade nel livello spazzatura, ci vuole poco perché quella riprezzatura arrivi: il classico effetto palla di neve, tanto inaspettato quanto rapido e devastante. Se risalgono i rendimenti, anche di poco, saranno in molti a non sopravvivere.

Cosa farà la Bce, salverà tutti? Espanderà di tre, quattro, dieci volte il controvalore degli acquisti mensile e farà salire dal 25% al 50% la quota destinata al comparto corporate? Difficile. E, comunque, una mossa del genere potrebbe essere giustificata solo dall’emergenza, fattispecie che nel nostro caso significa qualche default così eclatante da riempire le prime pagine dei giornali e ridurre al silenzio e in minoranza i cosiddetti rigoristi in seno al board, i famosi “falchi del Nord”. Chi cadrà? In quanti cadranno? E il nostro spread, stante un’economia reale che ancora oggi nel nostro Paese è a dir poco moribonda, come reagirà?

Meglio prepararsi, perché le notizie che giungono dalla Germania non fanno propendere per una primavera di rinascita europea. Anzi. I nostri politici, di tutti gli schieramenti, ne saranno consapevoli? Ne dubito. Per ora, buon Natale a tutti. Di cuore.