Non so se quello di farvi prendere per i fondelli sia sport in cui puntate a eccellere, ma io l’ho sempre trovato insopportabile, quasi come il golf. Quindi, vediamo di dire le cose come stanno. Il piano Colao è il corrispettivo politico-economico della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria, nel senso che merita la stessa definizione che del capolavoro sovietico diede dal palcoscenico l’esasperato e umiliato ragioniere. Vi pare normale che un Governo ingaggi una pletora infinita di tecnici e questi, dopo settimane di duro lavoro, se ne escano con oltre 100 proposte per far ripartire il Paese? Praticamente tutto lo scibile umano, dall’alta velocità fino in Tunisia all’ampliamento della platea di prodotti che beneficiano dei Punti Fragola all’Esselunga. Se contatto e recluto un super-manager, voglio che alla fine del suo lavoro arrivi al tavolo non con l’Enciclopedia Britannica, ma con dieci paginette al massimo e 5-6 punti fondamentali per la ripartenza. Un programma agile, snello, smart come dicono quelli che parlano bene: detto fatto, si parte.
Quello presentato dall’ex ad di Vodafone è il frutto di un guazzabuglio di idee che in gergo viene definito brainstorming per evitare di ammettere che trattasi in realtà di un minestrone ontologicamente impraticabile di riforme buone per tutte le stagioni, parole d’ordine che dalla Legge Biagi in poi sentiamo ripetute ciclicamente. Non a caso, persino il senatore Matteo Salvini ha detto che all’interno del piano c’erano buone intuizioni. Penso che qualsiasi partito dell’arco parlamentare possa dire lo stesso, perché con oltre 100 proposte a disposizione, qualcosa che accontenta tutti si trova sempre. Affidarsi al piano Colao equivale a optare per la pizzata con gli amici, non sapendo come organizzare una rimpatriata: piace sempre, anche a quelli con i gusti più difficili. L’ennesima pagliacciata all’italiana, insomma. Il cui epilogo – non a caso – sarà sancito in pompa magna da un’altra pantomima: gli Stati Generali dell’economia a villa Pamphili, fulgido esempio di come si tenti di mettere rossetto su un maiale, come dicono gli anglosassoni. Ovvero, utilizzo la splendida sede di rappresentanza del Governo per cercare di nobilitare quella che sarà una sorta di enorme sliding door da cui passeranno tutti, dai sindacati alle associazioni di categoria, dai partiti di governo a quelli di opposizione, come in un casting del Grande Fratello. Penso che mancheranno all’appello solo il generale Pappalardo e Fedez, gli altri saranno tutti presenti, grisaglia d’ordinanza e ciuffo ben sistemato per la photo-opportunity. Un enorme ballo collettivo sul ponte del Titanic. Forse, l’ultimo. Perché, grazie al cielo, questo scempio chiamato Governo sta per terminare, i giorni ormai sono contati.
C’è un problema, però, certificato dall’ultimo sondaggio di Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, la sondaggista italiana più seria e politicamente preparata in assoluto, a mio modo di vedere: gli italiani, scottati nel portafoglio dal lockdown, tendono a non farsi più prendere troppo per i fondelli. Infatti, la maggioranza degli interpellati – pur ammettendo di non riporre più fiducia nel Governo in carica – ha dichiarato di non ritenere l’attuale opposizione di centrodestra un’alternativa credibile per un nuovo esecutivo. Ma guarda, chi lo avrebbe detto? E signori, chiunque abbia sentito il senatore Matteo Salvini intervistato a diMartedì da Giovanni Floris e abbia un minimo di conoscenza dell’economia, oggi sarebbe quasi tentato di votare per Colao, piuttosto che per le ricette fantasmagoriche partorite dai responsabili economici del fu Carroccio e ripetute a macchinetta dal leader. Il segretario leghista, infatti, ha operato in base al suo mantra del momento: emettere Btp. Qualsiasi domanda gli si faccia, anche se ha dormito bene o se di attenda pioggia o sole, lui riesce sempre a trovare il modo di sviare e buttarla sul refrain del Tesoro che deve operare in modalità giapponese. Ovvero, emettere con finalità autarchica di possesso del debito. Tradotto, visto che gli investitori esteri ci scaricano da mesi ormai, puntiamo tutto sulla clientela retail interna. Vendendo ovviamente l’operazione come qualcosa non solo di patriottico ma anche di remunerativo, l’affarone del secolo.
Lo capite che è una patrimoniale indotta senza il coraggio di dichiararla? Lo capite che questa ricetta si basa sull’assalto al patrimonio privato degli italiani, avendo ormai raschiato tutti i barili di pubblico e di mercato possibili? Certo (per il momento) l’acquisto di Btp patriottici resta facoltativo, ma, con l’aria che tira, siete certi che resterà tale, in caso il centrodestra ancora a trazione maggioritaria leghista torni al potere? Anche perché, nella sua infinita parzialità, Giovanni Floris è stato malignamente geniale nel porre la questione, anteponendo alle ricette economiche la conditio sine qua non esiziale: con lei al Governo, la permanenza italiana nell’euro tornerà in discussione? Ovviamente, il senatore ha giocato la carta del prima gli italiani, citando a modello di buongoverno quella sciagura di allegro indebitamento alluvionale che furono gli anni Ottanta e anteponendo la felicità del popolo al mantenimento della moneta unica. Insomma, non ha sgombrato il campo dagli equivoci. Perché chi ha ricette economiche simili, non può permetterselo: deve campare sugli equivoci e i giochi di specchi, altrimenti è fritto al primo turno di regionali che si palesano all’orizzonte.
Perché la ratio nemmeno troppo nascosta di questa strategia pare molto chiara e molto riconducibile al teorema Ricucci sull’utilizzo di terga altrui per finalità proprie: spingo il Governo attuale a emettere come un pazzo oggi che gode dello schermo forza quattro della Bce, in modo da incamerare il più possibile. Poi, arrivato in campagna elettorale con le casse piene e le esigenze di finanziamento a posto fino alla fine del 2021, ricomincio a sparare cazzate sull’euro e l’Italiexit, in modo da garantirmi il mio bel profilo di statista che antepone il bene della Patria alle burocrazie europee. Sperando in questo modo di arrivare a palazzo Chigi, in punta di numeri interni alla coalizione e tagliando le gambe alla concorrenza sempre più spietata di Fratelli d’Italia, prima che si tramuti in un pericolo reale di “aggancio”.
Il problema è che chi nel frattempo avrà sottoscritto i Btp a buone condizioni garantite dalla Bce (quindi, dalla stessa Europa brutta e cattiva) pagherà direttamente il costo di questa strategia un po’ vigliacca sulla permanenza nell’euro, perché appena si paleseranno i prodromi di un nuovo scontro con Bruxelles, lo spread magicamente ricomincerà a salire. E il valore di quella carta patriottica che avete in portfolio, a scendere. Anche perché, per quanto sia stato ampliato nell’ammontare e prolungato nella durata, il Pepp non sarà eterno e nel 2021, se non terminerà del tutto, certamente vedrà calare e di parecchio i controvalori di acquisto. Quindi, firewall meno potente a protezione del nostro debito.
E il Governo? Attaccherà l’Europa, gli speculatori, i poteri forti e, sostanzialmente, se ne fregerà: primo perché non avrà esigenze stringenti per nuove emissioni, secondo perché la maturity media del debito che stiamo emettendo ora è certamente più lunga delle aspettative di vita politica di certi personaggi.
È un po’ la ricetta turca, cari signori, come ci mostra questo grafico. Dopo l’ennesimo, folle taglio dei tassi da parte della Banca centrale, a cui è ovviamente corrisposto un ritorno in doppia cifra delle dinamiche inflazionistiche, l’autarchia del debito turco pare entrata infatti nel suo stadio terminale. Stando a dati ufficiali della Banca centrale di Ankara di fine maggio, ai detentori esteri di bond sovrani di Ankara fa capo un controvalore totale di soli 7,1 miliardi di dollari, il minimo da quando sono cominciate le serie storiche nel 2012.
Insomma, il paradiso dei sovranisti. Ma, potenzialmente, anche un bersaglio facilissimo, quasi il proverbiale elefante nella stanza, in caso di volontà speculativa da parte di qualcuno che al mero interesse di profitto unisca anche quello di destabilizzazione sociale e politica del Paese, colpendo al cuore il risparmio retail. È questo l’unico risultato che otterrebbe il senatore Salvini con la sua mossa: fare il pieno di consensi populisti, esponendo però il Paese al rischio di una speculazione di massa sui titoli. E sull’indice principale di Piazza Affari. Il quale, per ora, ancora non è nei sogni autarchici del leader leghisti, ma penso che le due menti economiche che lo ispirano potrebbero presto arrivare a suggerirgli anche questa ulteriore deriva giapponese, tanto per giocare un po’ a pettinarsi l’ego.
Ecco spiegato, a mio avviso, il senso dell’ultimo sondaggio presentato da Euromedia Reserach: gli italiani per quanto esasperati e magari anche affascinati da certe derive patriottiche un po’ retrò, non sono del tutto impazziti. Soprattutto, quando si tratta dei loro soldi. Ed eccoci al punto finale: signori, i soldi sono finiti. Ma finiti al punto che in inverno potrebbero cominciare ad arrivare in ritardo o rateizzate pensioni e stipendi del pubblico. Siamo a questo punto. Perché altrimenti, qualcuno dovrebbe spiegarmi la ratio di far affidamento su un piano formalmente monstre e ambizioso come quello presentato da Colao, pietra filosofale della ripartenza e contemporaneamente concentrare a settembre tutte le tasse sospese nei mesi di aprile, maggio e giugno. Un’unica mega scadenza, un bel tax-day nel pieno del tentativo di resurrezione: penso che anche Lazzaro si arrenderebbe, figuratevi un barista.
Stanno solo cercando il modo più onorevole ed elettoralmente favorevole per uscire di scena, per il semplice fatto che tre quarti di ciò che il Governo sta promettendo non è fattibile, stante l’assenza di coperture. In compenso, ci vendono la possibilità di andare al mare in Grecia come un capolavoro di politica estera, la Baia dei Porci declinata in tempo di uno vale uno. Siamo ridotti a chiedere gli “anticipi” sul Recovery Fund, quando questo ancora di fatto non esiste e a dire no ai 37 miliardi del Mes (che invece Pd e Forza Italia vorrebbero attivare subito, proprio per incamerare benzina necessaria a tirare ancora un po’ in lungo la pantomima e sperare così in un ridimensionamento/logoramento di M5S da un lato e di Salvini e Meloni dall’altro), per evitare lo stigma politico, la lettera scarlatta del cedimento alla dittatura europea che si pagherebbe in termini di voti, una volta tornati alle urne.
Signori, siamo ai titoli di coda. Possono dirvi ciò che vogliono ma la riapertura in fretta e furia del Paese l’hanno imposta Inps e Inail, non buonsenso o virologi. Si contano i singoli euro, ormai. E lo si fa con il terrore dell’arrivo dell’estate, perché a quel punto l’attività politica europea sarà in “ghiaccio” per almeno due mesi – probabilmente senza alcun accordo raggiunto sul Recovery fund, debolezza che i mercati prezzeranno immediatamente – e occorrerà guadare il fiume da soli, speculazione permettendo nei bassi volumi di trading agostani. Non a caso, Mario Draghi si è ben guardato dall’aprire bocca in questo periodo. E ha declinato l’invito del Governo agli Stati Generali dell’economia.
Manca solo il casus belli, l’incidente controllato. Ma è questione di poco, ormai. E non abbiate paura di cosa ci aspetta, dell’Europa e del commissariamento: peggio di questa classe politica non c’è nulla. Da qualsiasi angolazione ideologica la si guardi. Quantomeno, la Troika e i suoi pretoriani domestici non mentono con il sorriso stampato sulla faccia. E non si nascondono dietro acronimi come Btp o Cig.