Non so per quale ragione, ma sono pervaso da una sensazione di inguaribile ottimismo. Continuo a non temere affatto un armageddon nucleare. Una cosa è certa, però. Dall’altro giorno, si sta decisamente scherzando con il fuoco. Più che altro, perché non si sa quali siano i reali equilibri interni al Cremlino. E quanto pesino i falchi del militarismo anti-occidentale in seno ai corpi intermedi del potere russo. Ma circolano strane voci. E arrivano strani messaggi. Ad esempio, quello che vedrebbe la Turchia pronta ad abbandonare la Nato fra 6-7 mesi.



Strategia elettorale? Probabile, perché dopo la messa in circolo del medesimo rumors, i sondaggi in vista del voto di luglio hanno visto le quotazioni di Recep Erdogan volare alle stelle. Come l’inflazione. Da quelle parti non amano le mezze misure. In compenso, il warfare scoppia di salute. L’audizione del ministro Crosetto al Copasir lo ha confermato in maniera quasi inquietante, perché dai mezzi Lince si è passati prima agli obici e ora si parla addirittura di scudo italiano sui cieli ucraini, almeno stando ai toni da giornalismo con l’elmetto di Repubblica.



Volete un elemento per decodificare quanto sta accadendo? Eccone uno, ad esempio. Ci mostra l’andamento della spesa militare statunitense in relazione al Pil nell’intervallo storico da partire dal 1930, prima cioè del Secondo conflitto mondiale.

Già oggi, il trend mostrato nella grafica è stato archiviato. Gli Usa vedono la spesa militare abbondantemente sopra il 3,5%. E la macchina bellica, quantomeno in grande stile, non è ancora partita. Certo, il Pentagono ha confermato come la fabbricazione di munizioni sia cresciuta di 6 volte, sia per venire incontro alle esigenze di export che per quelle interne. Ma solo ora pare essere arrivato il via libera alla grande rottamazione. Perché per quanto si voglia ammantare l’accaduto delle ultime 72 ore con significati salvifici della stessa democrazia mondiale, per i mezzi Abrams che Washington invierà a Kiev vale la stessa logica che ha garantito soldi a valanga alla Fiat, rottamando le vecchie Uno e godendo di incentivi statali per l’acquisto di nuove Punto. E sono cronaca solo del mese scorso, le tragicomiche performance dei Leopard 2 nel corso di un’esercitazione dell’esercito tedesco, prima pietra tombale sulla carriera dell’ormai ex ministra della Difesa, travolta dalle critiche per quei continui intoppi sul campo degni delle Sturmtruppen.



Gli stessi analisti, d’altronde, sono concordi: ci vorranno mesi per vedere schierati quei mezzi sul campo. Mesi che potrebbero risultare troppi, se davvero – come afferma Washington per giustificare l’escalation in atto – Mosca prepara un’offensiva di primavera. Ma se la logica è invece quella del warfare di lungo periodo, allora cambia tutto. Se serve una Guerra Fredda 2.0 per generare un moltiplicatore del Pil globale senza precedenti, allora l’operazione in atto è perfetta. Con margini di errore ristrettissimi, certo. Ma perfetta. Soprattutto nel timing e nella capacità di ricatto, stante le strane capriole cui è stato costretto proprio Olaf Scholz nell’arco di meno di una settimana. Dal veto a Bruxelles al via libera ai Leopard via Polonia: cosa hanno promesso a Berlino? O, più facilmente, di cosa è stato minacciato il Cancelliere, stante il precedente del sabotaggio di Nord Stream 2 che ancora oggi rimane avvolto nella nebbia svedese?

E casualmente, mentre da Istanbul arrivano voci di addio alla Nato, il campione mondiale del riposizionamento conosciuto come Recep Erdogan blocca strategicamente proprio il processo di ingresso di Stoccolma nell’Alleanza con la scusa di un Corano bruciato in piazza dal deficiente scandinavo di turno. Come al solito, coincidenze a bizzeffe. Sapete in realtà qual è l’unica domanda da porsi e l’unico timore da nutrire? Quanto è grave la crisi finanziaria sottostante, per rendere necessaria un’escalation così repentina e chiassosa nei risvolti di comunicazione? Perché arrivare a giocare a dadi con l’ipotesi di un conflitto fra Nato e Russia pur di generare sufficiente emergenza globale da operare un off-setting del rialzo dei tassi e garantire ai Level 3 di non esplodere a colpi di margin calls, equivale ad ammettere un gioco a somma zero dal quale non esiste più una scorciatoia indolore. Inviare Abrams e contestualmente sottolineare come quell’atto non è da considerarsi un’aggressione verso la Russia, dice tutto.

Joe Biden nella sua senile e inquietante ingenuità pare aver svelato il bluff che sta truccando il banco ex ante, prima ancora che inizi la partita. Quanta fretta nel dar vita a questa escalation, quasi ci fosse una scadenza che necessiti di una copertura. Di una cortina fumogena. Magari sostituendo quella che un tempo era di Ferro con l’epicentro di uno scontro fra paradigmi democratici che sostanzi la seconda fase dell’esportazione di democrazia. Alla fine, è solo business. Ciclico. E sempre più estremo. Ma quando mezza Corporate America licenzia, occorre dissimulare in grande stile. O la guerra rischi di trovartela in casa. E l’Europa seguirà a ruota, perché i segnalatori di rischio reale parlano chiaro.

E poi, finiamola una volta per tutte. Era il 24 aprile 2014 e alla Casa Bianca risiedeva ancora quel Premio Nobel in fieri di Barack Obama. Ed ecco a quale argomento Newsweek dedicava la prima pagina e un corposo servizio di copertina: The art of financial warfare: how the West is pushing Putin’s buttons. Dentro c’è tutto, raccontato nella formula dell’inside job sull’operatività dell’intelligence Usa. La missione? Spingere, attraverso le armi della finanza e delle sanzioni su gas e petrolio, la Russia verso un’escalation militare che costringa l’Occidente a un intervento. Come in Iraq. Come in Siria. Ma di portata strategicamente epocale. Tutto scritto, nero su bianco. E con toni entusiastici, perché si rivendicava un’attività destinata a colpire il cuore del potere anti-democratico del Cremlino e la sua arma di ricatto verso le democrazie europee. Tutto con otto anni di anticipo rispetto all’esplosione dell’affaire Ucraina. Scritto su Newsweek e non su un blog complottista. E con il campione di democrazia Barack Obama ancora al potere.

La finiamo almeno con l’ipocrisia, adesso? Prendete esempio dal ministro Crosetto e dal suo entusiasmo degno del miglior e più ispirato Giorgio Mastrota: la guerra è bella e crea Pil, venghino siore e siori… In effetti, sia la Eminflex che Leonardo o Alenia sono aziende. E missili e carri armati sono merce, proprio come i materassi in memory foam. A fine giornata, poi, basta andare tutti sui social a stracciarsi le vesti per i civili ucraini al freddo e al buio. Il nuovo rito di penitenza laica che pulisce anima e coscienza.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI