Premessa doverosa: questa è l’ultima volta in cui mi occupo di Ucraina. Per quanto mi riguarda, nei prossimi giorni su Kiev possono piovere missili o dollari o coriandoli, la cosa non mi interessa. E non ne parlerò. La ragione è semplice: al riguardo ho già detto tutto. In assoluta minoranza di analisi e palese condizione di marginalizzazione. Ne prendo atto. E va benissimo così. Ero solo anche a criticare il Qe globale, mettere in guardia dall’inflazione e avvisare sul ritorno stile zombie del Mes, d’altronde.



Detto questo, scusate ma non ho voglia di essere mio malgrado parte attiva nella grancassa mediatica di unidirezionale condanna della Russia, garantendo un paradossale contributo a quella disinformazione che trae forza propria dalla falsa legittimazione dei fuori linea e delle opinioni non ortodosse. Si impicchino pure al cappio delle loro bugie, preferisco guardare il patibolo dalla piazza. Quindi, mi chiamo fuori. Non prima, però, di avervi detto che la Nato non si schiererà mai al fianco della presunta resistenza ucraina, se i russi dovessero restare nel Paese. E non solo perché Mosca non ha intenzione di rimanere, bensì solo di ripulire il Governo. Ma perché sono dei codardi. E non lo dico io, lo ha detto nella notte fra giovedì e venerdì – quando ormai Kiev era sotto assedio e Chernobyl già in mano russa – un personaggio che certamente non è ascrivibile alla schiera dei detrattori dell’Alleanza, il presidente Zelensky.



Queste le sue parole, riportate dalla stampa Usa e decisamente sottostimate da quella italiana, già imbandierata a stelle e strisce come fosse il 4 luglio: We are left alone in defense of our State. Who is ready to fight with us? I don’t see it. Who is ready to guarantee Ukraine’s accession to Nato? Everyone is afraid. I asked the 27 leaders of Europe whether Ukraine should be in Nato. I asked directly. They are all afraid. And we are not afraid. Ecco il vero volto della Nato: hanno tutti paura, ci hanno lasciati soli, ci negano assistenza e ingresso nell’Alleanza. Perché altrimenti, scatterebbe l’articolo 5, quello di mutuo soccorso. E finirebbero le chiacchiere.



Se questa vicenda mi fa così arrabbiare è perché nel 1999 ero in Serbia e i traccianti li ho visti disegnare i loro orrendi origami, gli aerei li ho sentiti rombare sopra la testa. Quando ero al confine croato di Lipovac, tentando di rientrare, ho visto il mondo diviso in due da un semplice posto di blocco e da una sbarra metallica che si alzava. E lo scenario di propaganda era identico: quando gli Usa decisero che andava eliminato l’ultimo ostacolo alla trasformazione dei Balcani in protettorato statunitense, il duo Albright-Holbrooke si inventò la strage di Racak per scatenare 72 giorni di bombardamento a tappeto di quel Paese. Obiettivi civili compresi. A volte, addirittura scelti per primi. Il mondo era governato dall’Ulivo globale, all’epoca. Quindi andava tutto bene. Era tutto bello. Addirittura, la guerra era diventata umanitaria. Anche i missili sulle fabbriche chimiche che sversavano veleni nell’ambiente e nella Sava – garantendo un futuro oncologico assicurato ad almeno un paio di generazioni di civili serbi – erano benedetti e democratici.

Anche allora, si bombardò solo dall’alto, ben protetti dai radar. Nessuno ebbe il coraggio di morire per Pristina, mettendo i mitologici boots on the ground. Anche oggi, nessuno morirà per Kiev. Lo ha detto chiaro Joe Biden nella sua conferenza stampa: Le forze armate statunitensi non combatteranno in Ucraina. Altro che sostenere la resistenza, si sta soltanto aumentando la presenza militare Usa in Europa, Baltico in testa. E non certo per salvare Kiev. D’altronde, lo spoiler afghano avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. E Zelensky è andato oltre nel denunciare l’ipocrisia dei suoi presunti alleati: Le sanzioni decise non bastano. E infatti, sia Usa che Ue si sono ben guardati dall’attivare le uniche due opzioni che davvero avrebbero fatto male a Mosca: l’embargo energetico e l’estromissione dal sistema di pagamento SWIFT. In compenso, quel genio asintomatico della diplomazia che risponde al nome di Ursula von der Leyen (ora avrete capito perché i tedeschi hanno fatto di tutto per appiopparla agli europei e togliersela di torno in patria) ha annunciato trionfante come le misure di restrizione che l’Europa ha deciso colpiranno il 70% del mercato russo. Tradotto, l’economia reale, l’interscambio commerciale. Insomma, Bruxelles ha appena condannato a morte le aziende italiane cui fanno capo i quasi 11 miliardi di export annuale verso Mosca. C’è davvero da festeggiare. E da essere orgogliosi.

E vi pare un caso che nel giorno dell’invasione, dell’attacco che nessuno si aspettava, Wall Street abbia visto il Nasdaq passare da -4% di pre-market a +3% in chiusura, casualmente mettendo il turbo dopo la conferenza stampa di Joe Biden? Ovvero, dopo aver preso atto che le sanzioni contro Mosca sono acqua fresca. No, non è un caso. E lo stesso vale per lo Standard&Poor’s, capace di macinare un rialzo tale da annullare in un’ora oltre 700 punti di calo e chiudere in verde. Questo grafico mostra chiaramente cosa sia accaduto nella giornata di giovedì: i traders hanno venduto opzioni put (ribassiste) e comprato opzioni call (al rialzo), generando un delta positivo per i dealers di opzioni. E spedendo il mercato al rialzo auto-alimentante. Operazione di corto respiro, normalmente. Ma che nessuno è così pazzo nemmeno da tentare, se la convinzione reale del mercato è quella di una contrapposizione bellica che porti a un regime sanzionatorio serio e di lungo periodo.

Signori, nel giorno in cui si sono sprecate definizione come nuovo Hitler per Vladimir Putin, il mercato ha reagito con il maggiore rimbalzo intraday dal marzo 2020: ovvero, da quando la Fed salvò il mondo lanciando l’alluvionale programma di Qe anti-Covid, come mostra questo grafico relativo al Nasdaq. Tradotto, il problema non è affatto l’Ucraina, ma l’iceberg di leverage finanziario che viaggia sotto il pelo dell’acqua e che stava per andare a schiantarsi. Esattamente ciò che ho descritto nel mio articolo di ieri.

In compenso, le sanzioni si sono fatte sentire altrove. Ad esempio, spedendo a +12% il titolo azionario di Cameco alla Borsa di Toronto. La ragione? Semplice, la utility energetica a controllo statale svedese Vattenfall ha reso noto di aver sospeso ogni ordine di uranio russo per le proprie centrale come reazione alla campagna ucraina e in ossequio preventivo del regime sanzionatorio. Detto fatto, costo in aumento per i cittadini e soldi a palate per operatori del settore come appunto Cameco, il cui volume di scambio due giorni fa è stato 20 volte quello medio. Ma anche EnergyFuels, NexGen Energy e Uranium Energy.

Insomma, nel giorno che avrebbe dovuto sancire l’attacco occidentale al vero tesoro russo, quello energetico, i titoli del comparto hanno festeggiato in grande stile unicamente per la scelta politicamente corretta di una utility svedese che costerà corone in più di bolletta ai suoi utenti. Perché l’uranio che ha guadagnato implicitamente di valore resta nella disponibilità della Russia, quindi potenzialmente garantisce potere di interlocuzione ulteriore al Cremlino, quando invece si vende all’opinione pubblica la volontà di indebolirlo: perché state certi che, vista l’aria che tira in casa Nato, la Vattenfall tornerà presto ad acquistare.

È solo un’enorme, tragica farsa. L’ennesima. Cui io, da oggi, non intendo più offrire il mio contributo. Quantomeno, fin quando il contesto sarà quello di un’acritica lettura della realtà che ritiene Vladimir Putin e la Russia responsabili a prescindere anche del maltempo. Tanto vi dovevo.

Occhi aperti, però. Perché mentre vi fanno indignare e commuovere per Kiev, preparano il pacco sorpresa sul Mes. Perché da qui al 31 marzo, lo stato di emergenza permane ancora. Come in Ucraina. E a proposito, chi ha immediatamente beneficiato del caos bellico, garantendosi un evento milionario e con copertura mediatica mondiale per sancire la fine dell’emergenza Covid, festeggiare il ritorno alla normalità e aprire la caccia grossa al turismo estivo? Parigi, fresca sede della finale di Champions League scippata a San Pietroburgo.

Ricordate il mio consiglio: seguite il movimento delle troppe Legion d’Onore di casa nostra, capirete molto. Anche sul Patto del Quirinale.

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