Solo una breve digressione iniziale in riferimento alla situazione politica italiana, argomento dal quale mi tengo volentieri a debita distanza, volendo evitare di essere sovrastato dalla nausea. Negli anni, almeno dal 2003 in poi, Wolfgang Munchau è stato una sorta di vate della Daunia per i media italiani: economista, direttore editoriale del Financial Times e soprattutto corrosivo autore di una rubrica settimanale su Unione europea e temi associati, ogni qualvolta metteva nel mirino un politico di casa nostra (soprattutto Silvio Berlusconi ma anche Mario Monti patì un paio di attacchi frontali), immediatamente le sue critiche divenivano argomento di dibattito nei salotti dell’intelligencija nostrana. Bene, il 15 gennaio il nostro autorevolissimo commentatore ha postato questo tweet: reazioni in Italia? Silenzio totale. Strano. Per il semplice fatto che il contenuto appare decisamente allarmante, anche e soprattutto alla luce del mercato delle vacche in atto e dei rischi connessi a queste contorsioni di potere nei nostri rapporti, sempre più finanziariamente esiziali, con l’Ue. 



Wolfgang Munchau è chiaro, riferendosi alle minute dell’ultima riunione del board Bce rese note sul finire della scorsa settimana: alla luce di commenti sempre più improntati a linguaggi da falchi, pare che l’ora del disaccordo in seno al Consiglio direttivo stia davvero per arrivare, una volta che la crisi pandemica sia superata. Di più, alcuni dei governatori stanno già discutendo riguardo a exit strategies. Tradotto, la festa del Pepp e dei suoi acquisti sistemici e in deroga sta finendo. Strano che la stampa italiana, una volta penzolante dalle labbra di Munchau come un bambino davanti a un cantastorie, non abbia sentito il bisogno di rendere noto il suo punto di vista questa volta, non vi pare? 



Mi limito a questo, a mo’ di monito per quei sapientoni che la scorsa estate derubricarono la decisione della Corte di Karlsruhe di delegare alla Bundesbank l’onere di proseguire o meno con il Pepp a sterile minaccia di un gruppo di parrucconi fuori dal tempo. Ora Angela Merkel è ormai fuori dai giochi europei, la Cdu sta scegliendo in queste ore il suo successore e Jens Weidmann ha terminato il periodo di moratoria dalle polemiche. Oltretutto, alla luce di un’Olanda da venerdì ufficialmente in campagna elettorale in vista del voto anticipato di marzo: indovinate quale sarà l’argomento principale e con quali toni sarà affrontato, anche per nascondere lo scandalo interno sui sussidi all’infanzia? Chiusa parentesi. Anche perché, paradossalmente, c’è stata un’altra presa di posizione nei giorni scorsi che avrebbe meritato maggiore attenzione dei media, troppo presi però nel ricostruire la genealogia dei costruttori. 



Quella di Carmen Reinhart, capo economista della Banca Mondiale. Insomma, qualcuno con un attimino di autorevolezza in più di Giuseppe Conte o Matteo Renzi. E cos’ha detto? La mia preoccupazione è che una natura eccessivamente protratta della pandemia e dei suoi effetti sulle economie possa sopraffare i bilanci di cittadini e imprese e tramutarsi in una crisi finanziaria. Ancorché in modalità silenziosa e quieta. E parliamo della donna che nel 2009, insieme al collega di Harvard, Kenneth Rogoff, scrisse un libro come This time is different: eight centuries of financial folly, descrivendo alla perfezione il circolo vizioso che da sempre lega in un nesso causale default sovrani, recessioni, svalutazioni monetarie e impennate inflazionistiche. Una lettura che farebbe bene ai membri del Fomc della Fed. 

Parlando con Bloomberg TV, la Reinhart è stata chiara. Chiarissima. Diciamo che ci troviamo di fronte a uno strumento e un processo di accumulazione, poiché la situazione che stiamo vivendo non è cominciata come un problema finanziario. È nata e continua a essere, prima di tutto e in maniera drammatica, un’emergenza sanitaria. All’interno della quale, però, esistono germi ed elementi che hanno già subito una mutazione e che stanno mostrando i profili tipici del problema di bilancio, le sue parole. Le quali non necessitano di traduzione in un linguaggio meno tecnico, essendo cristalline nella loro gravità. 

Attenzione, perché una delle economiste più serie e meno presenzialiste del mondo, ha appena detto chiaro e tondo che le politiche espansive messe in campo per contrastare i fall-out della pandemia sulle economie reali stanno gonfiando bolle tipiche delle crisi finanziarie. Per capirci, quella tech del 1999-2000 o quella subprime del 2008-2009. E cosa rende convincente questo allarme, a mio modo di vedere? Almeno un paio di dinamiche, emerse in maniera drammatica nei giorni scorsi, proprio in contemporanea con l’intervista della Reinhart che è datata 13 gennaio. A partire da quella rappresentata da queste tre immagini, le quali ci mostrano l’ultima follia presente sul mercato e divenuta immediatamente trend di investimento fra i daily traders: l’acquisto con il badile di penny stock, ovvero titoli azionari sconosciuti e con capitalizzazione bassissima che vengono viste come il potenziale El Dorado, il Klondike in un mondo dove ormai tutto è già stato provato e messo in campo per massimizzare e velocizzare i profitti. 

Come si nota dalla seconda immagine, nella giornata del 12 gennaio, qualcosa come 6 delle 10 azioni più attive nel trading facevano riferimento a titoli il cui valore era sotto 1 dollaro per azione e che quel giorno hanno registrato un valore combinato di scambio per 2,6 miliardi di titoli, pari al 18% dell’intero mercato. Parliamo, nella stragrande maggioranza dei casi, di aziende emittenti sconosciute anche agli addetti ai lavori, figuriamoci ai Robinhooders che fino all’altro giorno compravano solo titoli Tesla, pagandoli un occhio della testa e poi si sono lanciati come pecore su opzioni call o fondi a leva che tracciano il Nasdaq. Siamo al cherry picking da ultima spiaggia, la raschiatura finale del barile della follia e dell’avidità. E come mostra il terzo grafico, quelle stesse azioni stanno infatti andando in outperformance sul resto del mercato da inizio 2021. Una mania collettiva dopo l’altra, una discesa continua e costante negli inferi dell’azzardo morale più estremo e irresponsabile. Forse, ciò da cui ci metteva in guardia Carmen Reinhart. 

Sicuramente, ciò che sta facendo preoccupare e non poco Joe Saluzzi, vice-capo dell’equitty trading alla Rhemis Trading: Penso che quanto sta accadendo sia estremamente rischioso. Sono in questo business ormai da molto tempo, ma mai mi era capitato di vedere così tanti investitori parlare fra loro nelle chat rooms e dirsi convinti che operare su equity sia facile e rapidamente remunerativo. I loro discorsi sono improntati sempre allo stesso tono: “Si possono fare soldi, è facile”. C’è invece il forte rischio che tutto questo non vada a finire bene. E cosa c’è alla base di questa follia, a parte la mancanza di buonsenso e, appunto, l’avidità di fondo? La risposta a questa domanda è sempre la stessa, la liquidità delle Banche centrali che ultimamente è riapparsa in maniera molto intensa attraverso il flusso incanalato negli investitori retail. Siamo a un sorta di ripetizione del secondo trimestre dello scorso anno, conferma JP Morgan in una nota ai clienti. 

La seconda dinamica è rappresentata in questi altri due grafici, i quali ci mostrano il lato nascosto della follia che vi ho appena illustrato, il dark side per il dirla con i Pink Floyd. A fronte di una ratio fra call e put (rialzisti e ribassisti) totalmente squilibrata sulla prima direzione e quindi proxy di una assoluta assenza di copertura dal rischio attualmente imperante sul mercato, ecco che il timore è quello di un gammageddon, come è già stato ribattezzato. Ovvero, un feedback loop sull’abuso di opzioni call. 

Molti dei rialzi record, spesso intraday, vissuti da alcuni titoli sono infatti riconducibili a quelli che in gergo vengono definiti gamma squeezes, ovvero il circolo vizioso e auto-alimentante di opzioni rialziste che fanno salire il valore delle azioni e che, a loro volta, invogliano a comprare sempre più opzioni. E cosa stanno facendo alcuni dealers, quelli che hanno capito il germe di follia che alberga dietro questa strategia inconsapevole di analfebetismo finanziario a oltranza amplificato dall’ottimismo (e dalla liquidità) delle Banche centrali? Stanno scommettendo contro quell’abuso di call. Il problema è che il processo li costringe a inseguire quei titoli al rialzo. E il rischio, documentato dal grafico che mostra come l’esposizione a gamma sia oggi al massimo storico, dove risiede? Lo ha spiegato Chris Murphy, capo della strategia sui derivati alla Susquehanna, in una nota ai clienti: Il dipanarsi di un processo simile, giunti a un punto estremo, potrebbe potenzialmente essere molto violento, soprattutto a causa dell’eccesso di euforia presente sul mercato. E occorre essere sinceri: al punto in cui siamo arrivati, la domanda da porsi riguarda il “quando” e non il “se”. 

Cosa dite, al fine di capire quale potrebbe essere l’epilogo della situazione senza precedenti in cui siamo precipitati, era più importante che i media parlassero di questi argomenti, invece debitamente nascosti o derubricati a catastrofismi o delle magnifiche sorti e progressive che garantiranno all’universo i cosiddetti costruttori? A voi la risposta.