Ogni tanto la Rete delizia l’umana sete di conoscenza con video provenienti dalle Gotham City presenti nel cuore delle metropoli Usa. Regno di senzatetto, drogati, gangs, spacciatori e prostitute. Fino all’anno scorso, grazie anche al poco edificante record di decessi per Fentanyl, era Cleveland a farsi involontaria portabandiera dell’american nightmare.
Da qualche giorno a questa parte, invece, sono i bassifondi di Philadelphia a generare ondate di stupore misto a retorica. Paradossalmente, il problema dell’America non è quello. Non sta a Compton o West Garfield Park o Clark Fullon o Elmwood. Sta chiuso in quelle che un tempo erano linde villette unifamiliari con bandiera in bella vista sul patio. E nella buca delle lettere, dove sempre più americani ricevono missive con l’acronimo SNAP. Ovvero, Supplemental Nutrition Assistance Program. I food stamps. I buoni pasto erogati dal Department of Agriculture.
La grafica parla chiaro: nell’ultimo anno pre-pandemia, il 2019, quel programma costava al budget federale 60,3 miliardi di dollari. Oggi ne costa 119,5, dato relativo al 2022. Ma non basta. Nel medesimo arco temporale, il corrispettivo medio per percettore è passato da 129,83 dollari all’attuale 230,88 dollari. Un sobrio aumento del 78%. E ancora: sempre rispetto al 2019, il tasso di partecipazione a quel programma è passato da 35,7 milioni a 41,2 milioni di persone. Un dato che dimostra come – nonostante la fine dei lockdown, della crisi economica da Covid e l’ondata di retorica per la strabiliante ripresa dell’economia Usa basata sul libero mercato – l’esercito dei percettori cronici di sussidi federali in America non sia affatto calato nei numeri.
Sindrome da fannulloni anche Oltreoceano, esattamente come con il Reddito di cittadinanza in Italia? Nel Paese della libera impresa, del self-made man e del capitalismo come legge morale è in atto una conversione di massa verso lo Stato sociale più clientelare e parassitario? O forse occorre prendere atto che, a fronte di record di Borsa in continuo aggiornamento negli stessi tre anni presi in esame, i salari americani siano continuati a stagnare, mentre i prezzi sono esplosi come dimostrato dai dati dell’inflazione che attendiamo ogni mese come Renzo attendeva la pioggia manzoniana?
Non staremo pagando, lentamente ma mortalmente, il veleno sciolto dalla realtà nella dolce bibita del Qe strutturale? Non sarà che l’inflazione, al netto dell’energia e della guerra (acceleranti dell’incendio e non detonatori dello scoppio iniziale, sempre meglio ricordarselo), altro non sia che un effetto di naturale vaso comunicante esploso, stante l’impossibilità delle equities di contenere flussi monetari di quel genere senza che i prezzi venissero intaccati, al di fuori del magico mondo del trading desk? Non sarà che l’americano, semplicemente, abbia preso atto di un mondo manipolato e scelto di arrendersi ai multiple jobs (in nero), conscio che comunque ciclicamente beneficerà di un altro diluvio salariale da parte del Governo per evitare una guerra civile?
Ma quando si toccano certi argomenti, di solito si viene tacciati di disprezzo del modello occidentale e infantilmente invitati a trasferirsi in Russia o in Cina. E se invece, proprio in virtù della degenerazione Qe-driven di quel modello, fossero Cina e Russia pronte a trasferirsi da noi? O, forse, parzialmente già con i piedi sul tavolino del salotto di un libero mercato tossico e manipolato?
Restiamo in America. Proprio sul finire della scorsa settimana, il gigante della grande distribuzione Walmart ha annunciato l’intenzione di aumentare il salario minimo orario per i dipendenti dei suoi punti vendita a 14 dollari, un ritocco che per i lavoratori base come addetti al rifornimento degli scaffali e al servizio di assistenza ai clienti equivale a un +17%. Nel contempo, a livello di paga media oraria generale, la mossa si tradurrà in un passaggio a 17,50 dollari l’ora dagli attuali 17 dollari. Insomma, solo +3%. Ma ciò che conta sono timing e “gesto”. Walmart resta infatti il principale creatore privato di occupazione del Paese con i suoi circa 340.000 impiegati, quindi la speranza implicita è quella di un effetto contagio che spinga altre grandi catene a operare ritocchi salariali. La ragione? La mostra il grafico dedicato al canarino nella miniera per antonomasia dello stato di saluta dell’economia Usa: il ritardo nel pagamento delle rate dell’auto. Il quale, ad oggi, non solo ha quasi superato il tasso raggiunto durante la crisi Lehman-subprime, ma sta avvicinandosi al record storico. E con una Fed che fra poco scaricherà sul mercato miliardi in Mbs nel pieno di un’ovvia crisi del mercato immobiliare legata all’aumento dei costi dei mutui, ecco che il settore auto potrebbe tramutarsi nuovamente nella bandiera rossa di pericolo che spinge il bagnino a gettarsi in mare.
Perché per quanto si vogliano cartolarizzare quei crediti in rapido e drastico deterioramento, per quanto le finanziarie possano voler giocare di sponda con le grandi e medie banche del Paese, la questione appare più seria che in passato. Se un tempo erano le certificazioni FICO allegre e le scelte politiche di matrice clintoniana a garantire un’auto a rate a chiunque e con qualunque rating di solvibilità creditizia, ora il vulnus sta in quel dato horribilis relativo al tasso di risparmio. Ben al di sotto del precedente record del 3%. Oggi siamo in area 2,4% e in più che probabile deterioramento ulteriore.
L’americano medio si era abituato a dinamiche salariali drogate non dal mercato o dalla produttività, ma dai sussidi pandemici. Terminati i quali ha dovuto drenare risparmi per tamponare i morsi dell’inflazione, magari sperando di rifarsi operando su piattaforme di trading on-line, novello Gordon Gekko nell’era della riscossa della dumb money. Ma GameStop non è eterna. Mentre le rate dell’auto e quelle del mutuo rischiano di diventarle, stante un potere d’acquisto ai minimi. Basterà il beau geste di Walmart per evitare a Fed e Treasury di dover inventare una nuova emergenza, al fine di rimpinguare un po’ quei risparmi ormai esauriti? I quali, oltretutto, finora hanno goduto di una semi-moratoria sulle tasse scolastiche, altra colossale ipoteca con cui l’americano viene addirittura al mondo. Circa 35.000 dollari per cittadino, infanti nella culla compresi. Ma per quanto?
Sarà per questo che il warfare, la spesa militare, sta spingendo sull’acceleratore come non mai? Sarà per questo che, dopo le sparatorie di massa in serie, spunta il video dell’ennesimo afro-americano massacrato dalla polizia? E attenzione al particolare. La questione dirimente non sta nel fatto che, a differenza del passato, anche gli agenti-torturatori fossero di colore. Bensì nella metodologia di diffusione di quelle immagini barbare: non rilanciate dai social con il tam tam della Rete e per questo divenute virali e quindi necessitanti di una conseguente risposta politica, bensì addirittura annunciate nella loro messa in onda pubblica col coté già compreso di commento di Joe Biden. Insomma, la morte (reale) in diretta annunciata come I Bellissimi di Rete 4. Manca poco. E toccherà inventarsi qualcosa. O spingere in maniera terribilmente rischiosa sull’acceleratore del warfare. D’altronde, ragionando dalla prospettiva della Casa Bianca, meglio la guerra in Europa che quella civile in salotto. E con i food stamps come labari di battaglia.
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