Ieri, almeno nelle intenzioni di chi protesta ormai da settimane, doveva essere il D-Day per Berlino. Migliaia di agricoltori e autotrasportatori puntavano a paralizzare la capitale tedesca, al fine di ottenere la retromarcia del governo sullo stop agli sgravi sul carburante. E l’esecutivo Scholz, al netto delle dichiarazioni, adesso comincia davvero a temere l’onda lunga del consenso. Stando ai sondaggi, addirittura l’80% dei tedeschi solidarizza con le ragioni dei manifestanti. E stante un livello di popolarità allo sprofondo e un’economia in recessione che svela a ogni trimestre i profili di una de-industrializzazione strutturale, qualcuno ha cominciato a ipotizzare un qualche tentativo di mediazione.



Comunque sia, quell’80% di cittadini che sostiene chi protesta configura un implicito voto di sfiducia verso il combinato congiunto di sanzioni alla Russia e sostegno turbo alla transizione green che ha caratterizzato l’azione dell’Esecutivo, di fatto ostaggio” della componente Verde per sopravvivere.



Ora date un’occhiata al grafico. Ci mostra l’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto condotto da Wahlen e pubblicato il 13 gennaio.

Ciò che ci interessa è la seconda colonna dalla destra, il color borgogna. Si tratta del consenso stimato per Alleanza per Sahra Wagenknecht – Ragione e giustizia (BSW), partito che – come potete notare – è accreditato di consenso per la prima volta. Al 14%!

Ma chi è Sahra Wagenknecht? Politica di estrema sinistra di lungo corso, particolarmente apprezzata nei Land della ex Ddr, oggi in Italia verrebbe definita una rosso-bruna. Ovvero, orgogliosamente di estrema sinistra in fatto di politiche socio-economiche, filo-russa ma anche favorevole a una drastica limitazione dell’immigrazione e a una politica di espulsioni di massa. Ora, unite il risultato del suo partito a quello di Alternative fur Deutschland, ricordando come non solo a giugno si voti per le Europee, ma come in autunno vadano alle urne 3 Land proprio della ex Germania comunista. Qualcosa come il 32% degli elettori tedeschi, interpellati sulle intenzioni di voto, oggi sarebbe pronto al salto nel buio fuori dal recinto establishment, a scegliere un partito fortemente anti-sistema. Mentre l’economia a dir poco stagna. E, soprattutto, le strade di Berlino rischiano la paralisi fra trattori e Tir inferociti in uno spoiler di democrazia diretta che da quelle parti evoca sempre cattivi pensieri, tra Weimar, birrerie schiumanti rabbia e piombo della Raf.



Dopo troppi anni ad auscultare il nostro spread e quello degli altri Piigs, ritenendolo il cuore del problema, forse sarà il caso di chiedersi se non sia l’ex locomotiva d’Europa quella pronta a deragliare e far deragliare l’Ue? E se il Governo Scholz cadesse, magari prima delle Europee o subito dopo, stante un flop clamoroso di Spd o Verdi che consigliasse un addio prima delle regionali d’autunno?

Ma si sa, il Sistema ha il suo playbook di sopravvivenza. Consolidato. Il quale contempla sì brevi intervalli di apparente democrazia con lo sbarco al potere dell’underdog di turno. Ma in modo controllato. E, soprattutto, entro limiti di governabilità facilmente manipolabili. Insomma, quando la corda con l’opinione pubblica sta spezzandosi, largo al populista. Cui fare una guerra senza quartiere per la durata “necessaria” del mandato, al fine di spaventare a tal punto l’elettorato da ricondurlo all’ovile establishment. Ma in Germania si sta andando oltre al livello di malcontento accettabile. Ed ecco che, contemporaneamente al sondaggio shock del grafico precedente, casualmente il tabloid più letto – la Bild – viene in possesso di un memo riservato del ministero della Difesa. In base al quale nel 2025 la Russia attaccherà l’Europa.

Ma siccome le Europee sono a giugno, l’allarme va sostanziato e reso imminente. Quindi, ecco che entro l’estate Mosca avrà sconfitto l’esercito ucraino e potrà dar vita alla seconda fase del suo diabolico piano per far abbeverare i cavalli dei cosacchi nelle fontane di San Pietro. Pur con qualche decennio di ritardo. Spostamento di uomini e mezzi appunto nell’enclave di Kaliningrad, in attesa che il voto per le presidenziali Usa porti la paralisi nel sistema politica statunitense. A quel punto, stante Washington in stallo, l’affondo contro l’Europa.

Ma attenzione, perché i nostri eroi già oggi stanno lavorando al piano denominato “Alliance Defense 2025”, il quale guarda caso diverrà operativo a febbraio. E non del 2025. Ma fra 15 giorni. Quando, a detta del memo, la Russia amplierà l’arruolamento interno ad altri 200.000 uomini per lanciare un’offensiva che chiuda entro giugno la partita ucraina. Da luglio, poi, attacchi hacker su larga scala. Poi destabilizzazione delle minoranze russofone in Estonia, Lettonia e Lituania. Le quali, a settembre, renderanno necessarie le esercitazioni congiunte con l’esercito bielorusso denominate “Zapad 2024”. A ottobre, l’affondo su Kaliningrad con l’obiettivo di conquistare il “Corridoio di Suwalki”, la porta della Polonia, utilizzando anche in questo caso strategie di destabilizzazione per creare disordini fra le minoranze. A gennaio, blitz in stile Ucraina. Ma su suolo Nato. Solo a maggio, l’Alleanza decide per l’applicazione di misure di deterrenza credibile e trasferisce 300.000 uomini, di cui 30.000 soldati tedeschi, per contrastare l’offensiva russa su Suwalki. Nel memo si parla di “Day X”. Come il nuovo virus di Davos. E come finisce la storiella? Lo scenario termina 30 giorni dopo quella data. Ma senza epilogo!?!

Insomma, prepariamoci a un 2024 che finirà sui libri di storia. Della destabilizzazione, però. False flag in arrivo in vista delle Europee? Prima, signori. Molto prima. E se Mosca attaccasse i sistemi finanziari, divenendo responsabile di un crash che purghi tutto il leverage e salvi le terga a Fed e soci? Non sarebbe un piano perfetto?

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