Quella di venerdì scorso è stata una giornataccia per l’Ivass, l’autorità di vigilanza del mercato assicurativo. Prima la patata bollente di Eurovita, disinnescata all’ultimo e ottenendo l’unico risultato che realmente interessava a tutti: ovvero bloccare i riscatti fino al 31 ottobre, al fine di evitare una prima giornata di innalzamento dei gates (quella di ieri) che – stando al mood di fine primavera – avrebbe potuto tramutarsi in una redemption-run tutt’altro che piacevole. Certo, ora i media faranno a gara a dire che i soldi degli assicurati sono al sicuro, le polizze garantite dai cinque cavaliere bianchi dell’operazione e dal loro collaterale di Btp sottostanti utilizzati per la copertura bancaria. Tutto vero. Ma i soldi di chi voleva uscire, chi voleva scendere dalla giostra, restano bloccati fino a novembre. E, a occhio e croce, l’approssimarsi di quella data coinciderà con la necessità inderogabile di un altro rinvio al 31 dicembre, stante le pastoie burocratiche richiesta dalla newco e dall’ottenimento – proprio da Ivass – della licenza operativa.



Secondo e più importante compito che la Vigilanza ha dovuto portare a termine, offrire a tempo di record un parere a quanto comunicato il 17 aprile da Delfin, la holding finanziaria della famiglia Del Vecchio. Direte voi, oltre due mesi non appare poi una tempistica così spedita. Vero, ma occorre tenere conto di due variabili. Primo, proprio la querelle Eurovita ha visto commissariamento e blocco dei riscatti in atto dallo scorso febbraio e, nonostante il primo rinvio, ecco che l’unico atto posto in essere dopo 5 mesi è quello di un secondo calcione al barattolo. Secondo, al netto di una materia da plain vanilla come Eurovita, almeno stando alle rassicurazioni cicliche del Mef in tal senso, la seconda decisione presa venerdì da Ivass toccava i fili elettrici del potere reale italiano: Generali, ovvero la più grande compagnia di assicurazioni del Paese, la vera cassaforte. Un intreccio di interessi da 500 miliardi di euro.



E cosa ha deciso il nostro Ente, apparentemente con grande disinvoltura? Che la medesima Delfin poteva salire sopra il 10% di partecipazione a Generali. Eh già, perché la holding dei Del Vecchio – detentrice del 9,8% – ha “involontariamente” superato quel livello, ma, invece di vendere qualche nocciolina e scendere, ha deciso di scrivere alla Vigilanza e chiedere di poter restare al di sopra. E, anzi, salire ancora. Detto fatto, Ivass ha detto sì. Insomma, un anno dopo gli schiaffoni presi dal mercato, l’allegra brigata composta da Del Vecchio, Caltagirone, Benetton, Fondazione CRT e pulviscolo accessorio ha deciso che l’aria politica a palazzo Chigi è cambiata. E che lo spirito anti-francese che nemmeno troppo segretamente anima le pulsioni sovraniste della politica potrebbe tramutarsi in assist per un secondo tentativo di assalto al cielo: schiantare Mediobanca, scalzarla dal ruolo di controllo su Generali e divenire essi stessi il nuovo salotto buono dell’Italia sovranista.



Insomma, si sta trattando Generali come la Rai, dove da giorni va in onda una sliding doors di conduttori, starlette e smutandate varie in base allo spoils system delle simpatie politiche. Ma qui non si sta giocando con quattro quiz e due talk-show, bensì con la cassaforte del Paese. Non fosse altro per il quantitativo di Btp che detiene. Tanti. Tantissimi. Circa 60 miliardi, a detta di qualcuno. Vendetta contro la lista del Consiglio di piazzetta Cuccia? Il fatto che Caltagirone, soltanto la scorsa settimana e subito prima della delibera di Ivass su Delfin fosse tornato a chiedere al Governo norme che penalizzino le liste presentato dal Cda e favoriscano i soci, dice molto. Dice tutto. Non a caso, Bolloré si è già chiamato fuori. Dopo 20 anni a piazzetta Cuccia. E attende l’apertura del testamento Berlusconi, puntando Mediaset. In attesa che questa partita a pallavolo con una bomba a mano senza spoletta lasci a terra i cocci di un vaso inestimabile. Perché vuoi vedere che l’attacco alla Bce del Governo abbia un po’ a che fare anche con quella norma che vieterebbe a un ipotetico 20% di Delfin di trasformarsi in quota di controllo e gestione di Mediobanca?

Certo, la nomina e il conseguente approdo di Fabio Panetta a Bankitalia potrebbe aiutare. E a ottobre si rinnovano i vertici di Mediobanca, campo d’azione perfetta per un blitz da preparare col favore dei bassi volumi estivi e con il via libera inatteso dell’Ivass. La speranza è che qualcuno di davvero autorevole, magari lato Quirinale, metta sull’avviso il Governo, invitandolo a giocare pure con le nomine di attricette e anchormen a viale Mazzini. E lasciar stare le cose da grandi. Perché Generali rappresenta un asset rischioso e strategico, pari davvero ai fili dell’alta tensione. E giocarci può costare caro. Al Paese, in primis.

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