Attenzione a compiere un errore imperdonabile. Ovvero, derubricare la proposta di Carlo Calenda di sospendere la campagna elettorale e dare vita a una sorta di esecutivo d’emergenza (di fatto con pieni poteri) finalizzato in ultima istanza persino a uno scostamento di bilancio per tamponare il caro-energia. Non è una boutade riconducibile alla certezza di perdere nelle urne, come sarcasticamente sottolineato da qualcuno. A pelle, infatti, quella venutasi a creare nelle ultime ore è la classica sensazione del recinto chiuso a buoi ormai scappati. E la conseguente reazione da mettere in campo potrebbe travalicare l’ordinario, gli affari correnti tramutarsi in un tanto peggio, tanto meglio che ha una sua origine e finalità ben precise. 



Vi faccio una domanda: vi pare un caso che, nel momento di maggior criticità diplomatica fra Europa e Russia – mentre il prezzo del gas esplode, attorno a una centrale nucleare si balla una danza macabra di provocazioni e si tira per la giacchetta addirittura il nunzio apostolico – a voler mostrare platealmente il sostegno a Kiev siano stati due Governi pro tempore? Prima la visita di Boris Johnson, Primo ministro dimissionario di un Paese in cerca d’autore, e poi Luigi Di Maio, emissario più draghiano di Draghi stesso del fu Governo dei Migliori. Francia e Germania si sono limitate a timide manifestazioni di solidarietà a distanza in occasione del 24 agosto, festa dell’Indipendenza dell’Ucraina. Mentre gli altri Paesi europei tacciono. 



Che succede, quindi, forti di prezzi energetici più contenuti? Forse siamo di fronte a un’accelerazione tanto voluta quanto ora obbligata del redde rationem? Da più parti, se ci avete fatto caso, si fa notare come il Governo Draghi sia tuttora in carica e con piene funzioni. E dovrebbe intervenire, quantomeno in base all’ultimo, disperato appello di una Confindustria che prima di guardare alle mancanze altrui dovrebbe chiedere conto al suo ufficio studi delle lisergiche analisi fatte nei mesi scorsi rispetto a inflazione transitoria e bufala dell’alternativa energetica a Gazprom. Insomma, il presidente del Consiglio è nella paradossale ma anche politicamente invidiabile posizione di poter direzionare la campagna elettorale quasi a suo piacimento, perché con il gas a 300 euro per MWh, nessuno si permetterebbe di dire bah. Nessuno. 



Lo farà? Metterà in campo un nuovo decreto contro il caro-energia, già la prossima settimana? O arriverà addirittura a sfidare l’Ue, ricorrendo a uno scostamento di bilancio che ora viene invocato non più solo dai Cinque Stelle ma anche e appunto dal rigorista per convenienza Carlo Calenda? Signori, l’ho scritto pochi giorni fa e oggi lo ribadisco, forte di una inquietante conferma giunta solo giovedì via Financial Times e di cui vi ho dato conto nell’articolo di ieri: il 25 settembre rischia di tramutarsi in un appuntamento meramente formale, un passaggio tanto obbligato quanto inutile. Con 39 miliardi di controvalore in posizioni short contro il nostro debito pubblico, tutto il nostro destino passa da Amsterdam, ma soprattutto dal Francoforte: la data che conta davvero è quella dell’8 settembre, secondo giorno di board Bce e della conferenza stampa di Christine Lagarde. 

Perché se quel giorno, la numero uno dovesse incappare in una delle sue proverbiali gaffes comunicative e lasciasse intendere che il reinvestimento titoli potrebbe avere una qualche scadenza temporale (o, peggio, divenire esso stesso e con il tempo oggetto di condizionalità) e dovesse entrare a regime lo scudo anti-spread unicamente per gli Stati che ne chiedessero l’accesso, il differenziale del Btp decennale sul Bund semplicemente esploderebbe a livelli da 2011. Nell’arco di giorni. E nel pieno delle ultime due settimane di campagna elettorale. A quel punto, ogni leader dovrebbe ricorrere a un blocchetto degli appunti prima di avvicinarsi al palco di un comizio: perché un solo aggettivo sbagliato, una nuance semantica fuori posto relativamente a promesse di politica economica si tradurrebbe in potenziali 50 punti base di spread in più. Immediati. 

Sarebbe una campagna elettorale eterodiretta e azzoppata dall’emergenza. Di fatto, una campagna elettorale solo formale. Ma in realtà, narcotizzata nei contenuti. Non vi pare assomigli molto, seppur senza giungere all’ufficialità dello stop, alla proposta del draghiano di ferro Carlo Calenda di sospendere del tutto le ostilità fra partiti e mettersi attorno a un tavolo convocato a palazzo Chigi? 

E attenzione, perché questa immagine ci dice plasticamente che la capitolazione potrebbe non essere distante. Perché quando l’Economist dedica la copertina a un tema, solitamente poi quello stesso argomento diventa prima mainstream e poi game-changer. E in casa Exor hanno deciso come sia giunto il momento di chiedersi se le sanzioni contro la Russia stiano o meno funzionando, a fronte dell’apocalisse energetica in atto.

Insomma, attenzione a leggere fra le righe ogni dichiarazione, da qui all‘8 settembre. Dopo, piaccia o meno, conteranno solo le direttive – più o meno esplicite – emanate dalla Bce. Perché il dato sul reinvestimento titoli e quella contemporanea mega-scommessa speculativa degli hedge funds parlano una lingua tanto chiara, quanto per ora ancora occultabile: l’Italia è già commissariata, perché senza Eurotower la traiettoria del debito è già oggi destinata all’insostenibilità strutturale. Tutto sta evolvendo molto velocemente e, apparentemente, in maniera confusa e concitata, tipica di un quadro di insieme che è – nei fatti – di regime e profilo bellico. Ma state certi che di casuale, di campato in aria, di avventato, di day by day non c’è proprio nulla. Risponde tutto a una logica precisa. La stessa che ha portato Italia e Gran Bretagna a sfidare palesemente Mosca con quel viaggio a Kiev. 

Sono tempi senza precedenti. Sono tempi pericolosi. Sono tempi in cui governano i draghi.