Calo del prezzo del gas e tenuta del potere d’acquisto delle famiglie

. Queste, a detta di Confindustria, le ragioni che dovrebbero farci ben sperare per l’anno appena iniziato. Tanto che Bankitalia tratteggia l’azzardo: niente recessione e Pil stimato al +0,6% per quest’anno rispetto al +0,3% di ottobre.



Probabilmente, viviamo in Paesi differenti. Probabilmente, le mie lenti sono oscurate dal pessimismo della ragione, mentre quelle di industriali e Banca centrale sono rosa grazie all’ottimismo della volontà. Questione di prospettive gramsciane. Sicuramente, Eba e Abi confermeranno il wishful thinking dell’associazione degli industriali rispetto al potere d’acquisto delle famiglie. E alla loro capacità di non intaccare i risparmi in questi mesi di inflazione a doppia cifra.



Sicuramente, le bollette scenderanno grazie al price cap, alla fine della manipolazione bellica in atto per mesi ad Amsterdam e all’approssimarsi della primavera (dopo un inverno finora più che mite). Sicuramente, caleranno i prezzi dei carburanti e degli alimentari, grazie alla Bce e ai suoi rialzi dei tassi. Sicuramente, le code di Natale alla Caritas erano una fake news, gente pagata da Mosca per mettersi in posa pochi minuti lungo i vialoni grigi della periferia milanese. Salvo poi correre a casa dai parenti per pasteggiare a Cristal Millesime. Sicuramente.

Perché allora i big dei profitti globali, da Amazon e Google, tagliano migliaia di dipendenti? Perché BlackRock e Goldman Sachs licenziano? Probabilmente non seguono i bollettini di Confindustria e Bankitalia. C’è un fatto, però. Se siamo così certi che la questione gas sia risolta, perché l’Ungheria ha appena piazzato un veto senza precedenti in sede Ue, parlando di ineluttabile tutela dell’interesse nazionale, poiché il gas russo resta fondamentale? Sui media, silenzio. A Bruxelles, pure. Come d’altronde è calato sul Qatargate, altra questione strettamente connessa al tema, dopo la minaccia nemmeno troppo velata di Doha di rivedere le forniture. Germania in testa, la quale infatti sta stranamente bloccando l’invio di Leopard 2 a Kiev. Come mai, se l’Italia può addirittura permettersi di migliorare l’outlook di crescita grazie al problema energetico ormai risolto, Giorgia Meloni oggi è volata in Algeria con un profilo di priorità istituzionale degno di un ricevimento alla Casa Bianca? Solo per lasciarsi alle spalle l’affaire Nordio? E come mai, in contemporanea, Antonio Tajani è al Cairo a lisciare il pelo al regime di Al-Sisi, senza che apparentemente nessuno abbia più voglia di chiedere giustizia per Giulio Regeni?



Realpolitik all’ennesima potenza, divenuta di colpo la stella polare cui affidarsi in maniera cieca e assoluta? Sicuri che sia tutto a posto? O siamo al solito balletto di cifre che anticipa l’inesorabile stretta ai cordoni della borsa, visto che mentre si alzano le stime sul Pil, qualcuno getta sul piatto l’ipotesi di nuovo scostamento (e, quindi, automatico ingresso nel radar della Troika)?

La risposta, forse, sta tutta qui: l’ultimo sondaggio condotto da Ipsos e commissionato da Ispi parla chiaro. Chiarissimo.

Confindustria e Bankitalia vivono sulla Luna. E il ministro degli Esteri, forse, farebbe meglio a rivendicare con minore orgoglio e clamore il miliardo di euro che l’Italia destinerà all’Ucraina: perché come mostra la rilevazione demoscopica, agli italiani non interessa affatto il destino di Kiev. Occorre essere molto sinceri, stante la gravità della situazione. Perché la guerra ce l’abbiamo già in casa. Quella economica. E pare essere solo alle prime battute. Siamo a un passo dal non ritorno, cari lettori. Ed evitiamo di cascare con tutte le scarpe nella retorica apocalittica di Mosca sulle conseguenze del nuovo invio di armi occidentali a Kiev. Prima di schiacciare quel tasto, da un lato come dall’altro, occorre ben altro. Lo sanno tutti. Russi in testa.

Il problema è che le guerre non sono solo quelle combattute sul campo o con l’intelligence o gli hackers o le sanzioni. Le guerre possono detonare a distanza, perché se una cosa è emersa chiaramente in questo ultimo anno è il ruolo delle materie prime nel mondo del monetarismo a ciclostile. Weaponization of commodities, gas e petrolio come missili e bombe. Bene, l’ex Ceo di Uniper, la utility tedesca finita a gambe all’aria proprio per la rottura con Gazprom e costata oltre una ventina di miliardi al Governo tedesco che ha dovuto nazionalizzarla per evitare la Lehman energetica, ha parlato. E ha detto due cose. Primo, Nord Stream 2 può tornare operativo in meno di un anno. Secondo, occorrerebbe però capire se la Germania abbia intenzione di ricevere ancora gas russo o se il rapporto sia da ritenersi chiuso. Ma Klasu-Dieter Maubach non ha parlato per sé o per hobby. Ha parlato perché Olaf Scholz non può farlo. Soprattutto dopo aver bloccato la cessione dei Leopard 2 tedeschi a Kiev, spingendo il Governo ucraino a un atto di accusa diretto e durissimo: L’indecisione tedesca costa vite umane. Cosa vuole fare, Berlino? E la Francia?

Proprio domenica, mentre Maubach lanciava il suo sasso nello stagno, il Cancelliere tedesco ha incontrato Emmanuel Macron per il 60° anniversario della Riconciliazione e i due hanno ribadito come il futuro dell’Europa dipende dalla locomotiva franco-tedesca. E il Patto del Quirinale? Passato di moda. Infatti, mentre Scholz e Macron si ribadivano amicizia eterna e l’ex Ceo di Uniper metteva di fatto le mani avanti rispetto a una pace con Mosca, gettandola sul dubitativo ipotetico, Giorgia Meloni volava con grande fretta e grande apprensione in Algeria. Ovvero, il Paese dal quale dipende il nostro affrancamento dalle forniture di gas russo. Ma si sa, Sonatrach è una dépendance di Gazprom. E per quanto l’Italia possa risultare simpatica, difficilmente Algeri volterà le spalle a Mosca. O farà qualcosa che crei imbarazzo o malcontento al Cremlino.

In uno scenario simile, davvero pensate che le diplomazie sotterranee di Germania e Francia non stiano già lavorando per riannodare i fili del rapporto con Mosca? Qualcuno ha sentito un fiato dall’Eliseo sul veto tedesco rispetto ai Leopard 2, di fatto una quasi ammissione del lavorio carsico in atto? In totale spregio del vincolo sanzionatorio Ue. Non sarà che il Qatargate sia stato fatto esplodere a orologeria da qualcuno che aveva bisogno di un’Ue a pezzi e senza più credibilità, in modo che le cancellerie forti potessero avere mano libera attraverso sherpa, ambasciatori, lobbisti e Ceo per trasformare Mosca in Canossa?

Siamo a un passo dal non ritorno. Come Italia. Sul fronte energetico e di conseguente concorrenza industriale, un qualcosa che in tempi di recessione fa molto comodo ai partner, poiché la primavera si tradurrà in un Far West di sopravvivenza. E non per il countdown atomico, ma per decidere quale economia dovrà operare da agnello sacrificale. E gli italiani interpellati per il sondaggio Ispi paiono non avere già oggi molti dubbi al riguardo.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI