Il downgrade di Fitch ha riempito le pagine di economia dei giornali. D’altronde, come resistere alla tentazione di un titolo che veda gli Usa perdere la tripla A di valutazione? Ma un’occhiata a questo primo grafico mostra altro: la reazione del rischio di credito calcolato attraverso i credit default swaps è stata zero. Praticamente come se nulla fosse accaduto.



Eppure il rendimento del Treasury a 10 anni in apertura di contrattazioni mercoledì è salito fino al massimo di 4,08%, circa 5 punti base più della chiusura della sera precedente. La ragione, quella vera? Sta tutta nel grafico principale di questo articolo: il diluvio di emissioni che da qui a fine anno vedrà il Tesoro Usa impegnato nel recuperare il tempo perso per la pantomima sul debt ceiling.



Soltanto nel trimestre in corso, qualcosa come 1 trilione di controvalore, quasi un record assoluto e in netto rialzo dai 733 miliardi delle previsioni. Ma non basta, nell’ultimo trimestre altri 852 miliardi di controvalore. Numeri che solitamente sono associati a una crisi economica. Acclarata. Questa invece è l’era del fiscal excess, citando Michael Hartnett di Bank of America. La Bidenomics basata su nuovo debito e spesa a deficit. D’altronde, l’anno prossimo si vota. Ma questo si sa da qualche giorno, perché il balzo solo oggi del rendimento benchmark? Perché poco fa, il Tesoro Usa ha confermato come nelle refunding auctions della prossima settimana non solo venderà titoli a 3, 10 e 30 per 103 miliardi di dollari, ma a questo si unirà un rifinanziamento di circa 84 miliardi di notes e bonds a maturazione. L’emissione netta dello scorso trimestre fu di soli 96 miliardi totali. Il tutto per racimolare circa 19 miliardi di cosiddetto new cash.



Benvenuti nel purgatorio del Qe, quel limbo di sofferenza e calcoli a tavolino per dare vita unicamente a rischi senza possibilità di errore. O sorprese. Il Qt, la liquidità drenata, la pantomima sul tetto di debito sono stati altrettanti atti. Ora, siamo a quello finale. Terminato il quale, la compagnia potrà concentrarsi sulla nuova opera da portare in tour: la drammatizzazione di una crisi macro in atto da trimestri – non fosse altro per inflazione e contemporanee dinamiche salariali – per generare il casus belli. E rimettere il mondo nelle mani della Fed. In primis, rimpinguando i conti correnti degli statunitensi con una ciclica dose di sostegni e sussidi.

La ruota del criceto, nulla di più. E il fatto che i cds non abbiano dedicato nemmeno un plissé alla mossa di Fitch fa parte della recita. In un mondo di debito e deficit strutturali, il rating non conta. E delegittimarlo sul campo appare un ottimo viatico verso una revisione totale dei criteri di valutazione. Prima sovrani, poi corporate. La ragione? Quando la Fed (e la Bce) dovranno giocoforza seguire l’esempio giapponese, ampliando la platea del Qe a bond corporate e soprattutto Etf o titoli mirati, servirà massima flessibilità per i parametri di accettazione. Addio fair value, addio price discovery. E benedetto downgrade, altro che le allarmate cronache di chi, forse, nemmeno sa come funziona il meccanismo. O finge, perché embedded con la narrativa del Qe perenne che salva il mondo.

Volete un esempio, fresco fresco di ieri? L’ultima riunione della Bank of Japan è passata in sordina. Anticipata com’era da Fed e Bce, nessuno si attendeva novità da Tokyo. Se non la conferma del ruolo di faro mondiale del Qe perenne. Ecco invece che venerdì scorso, il board ha inserito una formuletta inattesa nel suo comunicato finale: Maggiore flessibilità. Su cosa? Proprio nella gestione della politica di controllo sulla curva dello yield decennale. Se fino ad allora il target era 0.0% con una banda di oscillazione accettata di +/-0,50%, oggi implicitamente si fa capire che anche un +1% sarebbe tollerato. Di fatto, qualche trilione di debito in giro per il mondo sentiva di colpo mancare la terra sotto i piedi. Roba da poco, piccoli balzi. Però, sufficienti. Perché nell’arco di quattro giorni di trading, questa settimana la BoJ è dovuta intervenire già due volte con acquisti diretti. Non programmati. La ragione? I rendimenti salivano troppo.

Quella formuletta apparentemente innocua altro non era che uno stress test sulla reazione di un mondo – quello obbligazionario – totalmente manipolato dagli acquisti delle Banche centrali a un primo, timido sintomo di disimpegno. Da parte però dell’istituto più attivo in tal senso. L’avanguardia nipponica avvisa il mondo: dal Qe non si esce. O, comunque, nessuno pensi di farlo senza pagare un prezzo. Enorme. Contemporaneamente, ecco che Fitch taglia il rating Usa e toglie la tripla A. Nel pieno di un tour de force di vendite da parte del Tesoro statunitense dopo il Qt della Fed e la pantomima del debt ceiling. Reazione minima, come anticipato. Ma quel 4,08% del decennale parla. Sottovoce. Ma parla. Esattamente come l’improvvisa ondata di riscatti che ha colpito gli hedge funds, quasi a voler anticipare ciò che alcuni analisti tratteggiano come rischio di staggering unwind dell’azionario.

C’è da crederci? C’è da temere? Questo ultimo grafico dice no: la volatilità implicita delle opzioni put di Apple è vicina ai suoi minimi storici assoluti. Cosa può andare storto a Wall Street in un ambiente simile, dove quel titolo opera su multipli di 33x sugli utili e nessuno pare aver nulla da obiettare?

Una risposta pare giungere dalla Cina. Dove la scorsa settimana, la China Securities Regulatory Commission ha dato vita a un meeting con alcune delle principali case di brokeraggio per ottenere risposte a un’unica domanda: come far crescere i prezzi azionari? Tra le possibilità già al vaglio, l’eliminazione della stamp duty sul trading azionario e un rallentamento dell’attività di Ipo per aumentare il livello di liquidità. Insomma, i decisori finanziari del Dragone sono preoccupati per la salute del loro mercato azionario. E cercano risposte presso gli addetti ai lavori che suonano come abbozzi di scorciatoia, prima dell’apertura delle paratie di nuovo impulso creditizio tout court. E piaccia o meno ammetterlo, oggi è la Cina a dare le carte. Gli altri giocano di rimessa.

La nostra stampa di settore e autorevole non si è accorta di questi movimenti sotto il pelo dell’acqua? Forse era distratta dalla catastrofe del rating Usa.

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