In principio fu l’uovo di Colombo. Poi arrivò l’uovo di Trump. E, ovviamente, la grande stampa decise che il prezzo record raggiunto negli Stati Uniti fosse una notizia da prima pagina. Chiaramente, associandolo al caos generato dalla campagna sanzionatoria della Casa Bianca.

In effetti, i 7,57 dollari per dozzina del 24 gennaio erano un primato (negativo) assoluto. Ma che dire dei 4,89 dollari del 13 marzo, come mostra il grafico?



Ovvero, perché un aumento sostanziatosi in settimane e settimane sotto l’Amministrazione Biden a causa di una gestione stile Covid dell’allarme aviaria, autorizzando l’eliminazione preventiva e cautelare di 166 milioni di galline, genera notizia da prima pagina, ma un calo del 40% in 4 settimane non interessa? Forse perché a generare quel calo è stato il piano da 1 miliardo di dollari con cui Washington annunciava l’importazione di 70-100 milioni di uova nei prossimi 2 mesi per calmierare i prezzi?



Chissà. Una cosa è certa, le uova Usa saranno parte della seconda fase della campagna ritorsiva dell’Ue annunciata mercoledì. Insomma, mentre l’America importa 100 milioni di uova da qui a maggio, l’Ue intenderebbe far paura alla Casa Bianca tassando l’import delle medesime. A volte non capisco se in Europa ci sono o ci fanno.

In compenso, c’è un altro asset che la grande stampa ha prima sedotto e poi abbandonato. L’oro. Il quale era sì precipitato ai minimi da febbraio non più tardi di 10 giorni fa, ma da martedì ha vissuto un vero e proprio rally, capace la scorsa notte di sfondare quota 3.000 dollari l’oncia con i futures aprile 2025 e ieri anche con il prezzo spot. Prima volta in assoluto.



E anche mentre il prezzo fletteva sul mercato, al Comex continuavano ad arrivare barre e lingotti. A oggi nelle vaults di New York sono detenuti quasi 41 milioni di once, oltre 21 milioni dei quali arrivati solo negli ultimi 3 mesi. Durante il Covid ci si fermò all’ora record di 39 milioni.

Ora, al netto del valore strategico di una simile migrazione di oro fisico, vi invito a dare un’occhiata a questo secondo grafico. Ci mostra l’andamento prospettico del prezzo dell’oro ponderato alla massa monetaria M2, ovvero a quella che possiamo brutalmente definire liquidità globale.

Piccola riflessione: la Cina ha appena annunciato deficit al 4% ed emissioni per trilioni, la Germania un bazooka fiscale senza precedenti che proprio ieri ha ottenuto il via libera ufficiale e l’Europa un piano di riarmo da 800 miliardi. Se anche gli Usa stessero fermi e attendessero che arrivasse la piena di quell’impulso creditizio, quale potrebbero essere il target price di aumento del prezzo per l’oro, al netto del Rubicone dei 3.000 varcato per la prima volta?

Quale calcolo hanno compiuto gli Usa, lasciando pensare a tutti che quel trasferimento record di barre e lingotti fosse dovuto solo alla necessità di rimpolpare Fort Knox di oro vero e non solo tungsteno verniciato? Non vi pare strano che da quella prima sortita, Elon Musk si sia zittito sull’argomento? Nessuna data, nessun nuovo annuncio.

Mentre ci vendono la chimera della riserva strategica crypto e prendono per i fondelli mezzo mondo con lo stop-and-go continuo su dazi che servono unicamente a stimolare recessione a tavolino, gli Usa preparano forse un gold standard bilaterale con la Cina partendo da posizione palesemente dominante, stante il ritardo ancora notevole di Pechino sullo stock totale, nonostante gli acquisti con il badile in seno alla diversificazione degli ultimi 5 anni?

Vuoi vedere che l’uovo di Colombo è nulla più che un backing aureo dei 36 trilioni di debito, mentre qui stiamo giocando con veicoli a leva che servono unicamente a nascondere un trasferimento di rischio sovrano da banche e assicurazioni ai privati cittadini sotto forma di invito all’investimento fruttuoso e virtuoso? Ma non ditelo alla stampa seria. Per quella l’oro è ancora materia da piazzista e da poveracci costretti a impegnarsi le fedi nuziali.

Ciò che non capiamo è che all’interno delle cosiddette élite globaliste, le stesse che prima ci hanno venduto la narrativa green e ora spingono per quella bellicista, sia in corso una sorta di selezione darwiniana. Non tutti usciranno indenni da questo frullatore di inizio era Trump, nemmeno fra i cosiddetti intoccabili. Nemmeno fra i Primary Dealers. Non a caso, Citadel ha dovuto chiudere alcuni pod shops, ovvero fondi multistrategy, a causa delle pesantissime perdite in cui sono incorsi negli ultimi giorni.

Tradotto? Citadel ha dovuto smobilitare in fretta e furia, letteralmente a un ritmo mai visto, alcuni dei suoi trades più trafficati e popolari fra i grandi speculatori. Una sorta di caduta degli Dei. Silenziosa, per ora. Capito perché lo scorso luglio Warren Buffett ha cominciato a vendere equities come non ci fosse un domani e oggi, nel pieno della volatilità, si ritrova a galleggiare sereno in un mare di cash?

E il fatto che stia per vendere le sue unità di brokeraggio immobiliare a Compass, cosa vi fa pensare riguardo a quale sarà il prossimo settore di mercato destinato a tramutarsi nella next shoe to drop? Quando il 65% dei mutuatari americani ha una ratio debito/reddito superiore al 43%, la strada per una seconda crisi subprime comincia a rendersi visibile. Qualcuno scappa prima, qualcuno aspetta che il cerino arrivi quasi alla fine. I soliti noti si scottano le dita. Ma quando fra questi ultimi si annovera anche Citadel, l’odore nell’aria è quello acre di una necessità di agnello sacrificale che punta in alto. Molto in alto.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI