La crisi ha provocato sgomento e ha fatto salire lo spread. Parole e musica di Giuseppe Conte nell’aula di Montecitorio il 18 gennaio 2021, prima che la Camera accordasse la fiducia al suo governo. Balla sesquipedale. E la questione non è ascrivibile a logiche di appartenenza o mera simpatia politica, bensì all’aritmetica. Sono i numeri che smentiscono le parole del premier. E quelli ufficiali della Bce, quindi decisamente poco inclini all’interpretazione di parte. Basta guardare questo primo grafico, elaborato da Nordea e Macrobond e riconducibile alla dinamica di acquisto assets dell’Eurotower. Al netto dell’errore di trillions per quelli che in realtà sono billions, poco cambia: la scorsa settimana la Bce ha comprato bond letteralmente con il badile, dopo la sosta natalizia e di inizio anno. 



Il motivo? Evitare proprio che il ridicolo showdown italiano facesse davvero salire lo spread. Il quale, certo, qualche scossa l’ha subìta nei giorni che hanno preceduto le sedute di voto a Camera e Senato, ma guardate quest’altro grafico: ci mostra la strana dinamica vissuta dal nostro differenziale di rendimento sul Bund decennale nella giornata del 18 gennaio, quella del passaggio a Montecitorio. Al netto di valori in rialzo, ma lontani anni luce da un livello di allarme, pare anche a voi di scorgere una manina che sul finire della giornata di contrattazioni ha deciso di fare shopping? 



E andate a vedere cosa è accaduto ieri attorno alle 14.17, quando ancora una volta la curva si è piegata grazie a quello che è stato un ulteriore diluvio di acquisti (difficile pensare a una sell-off di Bund). 

Perché Giuseppe Conte ha scomodo lo spread, allora? Non è forse il Premier espressione, a livello di peso parlamentare, di quel Movimento 5 Stelle che della battaglia contro la dittatura dello spread e a favore del deficit aveva fatto una bandiera? Oltretutto, se esiste un momento storico in cui quella coperta di Linus proprio appare fuori luogo, è questo. Disperazione? O, forse, cattivi consiglieri? Chissà. Quest’altro grafico mette la questione in prospettiva: al netto degli acquisti della scorsa settimana e resi noti il 18 gennaio, lo stato patrimoniale della Bce è tornato sopra la quota record di 7 triliardi di euro, stabilendo un nuovo primato assoluto in vista del board di domani. Per capirci, a bilancio della Banca centrale europea ci sono assets per l’equivalente del 69% del Pil dell’eurozona post-Covid contro il 35% della Fed rispetto all’economia statunitense, il 130% della Bank of Japan e il 36,4% della Bank of England. 



Capite da soli che in condizioni di backstop strutturale simile, occorre davvero mettersi d’impegno per far salire lo spread. Tipo andare in tv a reti unificate con uno scolapasta in testa e dichiarare guerra alla Svizzera, per capirci. E, infatti, nemmeno l’ipotesi di ritorno in campo di residuati bellici della Prima Repubblica ha fatto sobbalzare quel numerino più di tanto. Giusto un plissé, tanto per non rendere proprio palese e sfacciato il regime di manipolazione del premio di rischio reale in cui viviamo. Il problema, però, esiste. Ed è enorme, ben più grande della pantomima andata in scena a Roma. E rappresenta la ragione per cui la Bce è tornata in campo con questa operatività, schermando preventivamente ogni possibile sussulto. 

Lo mostra plasticamente questo altro grafico, pubblicato sempre lunedì insieme ai dati degli acquisti in seno al programma Pepp. E cosa ci mostra? Una dinamica orrenda: sia la richiesta di credito che le condizioni cui le banche dell’eurozona sono disposte a concederlo a famiglie e imprese stanno peggiorando. Pesantemente. E rapidamente. E con tempismo che peggiore non potrebbe esistere, visto che se davvero il vaccino garantirà l’effetto detonatore e amplificatore alla ripresa economica, una volta raggiunta l’immunità di gregge, proprio in quel momento sarà più necessario che il meccanismo di trasmissione della liquidità nel sistema dell’economia reale sia più fluido che mai. 

Certo, la vulgata ottimistica legge nel calo della domanda non finanziaria di credito il bicchiere mezzo pieno di aziende che già hanno un cuscinetto sufficiente per resistere, ma, al netto del mio ritenere questa lettura totalmente e pericolosamente errata, resta il fatto che la contrazione nelle condizioni di erogazione del credito rappresenti un proxy del timore bancario proprio verso quella stessa esposizione. Come dire, le banche vedono nero e si coprono, alla faccia del vaccino. E della Bce. Perché questa dinamica si sta innestando in un contesto che vede la stessa Eurotower aver annunciato, non più tardi dello scorso 10 dicembre, nuove aste Tltro di rifinanziamento bancario a lungo termine per il 2021 con condizioni ulteriormente favorevoli per gli istituti. Quindi, questo mood significa non solo che banche e mercati hanno già digerito quell’annuncio e quindi, implicitamente, domani si attendono finalmente della ciccia da parte di Christine Lagarde, ma anche che le criticità sottostanti le economie reali vengono percepite – e sono – talmente gravi da meritare una stretta preventiva e severa ai cordoni della borsa, nonostante il diluvio di liquidità già ottenuto e quello in arrivo. Brutto, bruttissimo segnale. 

Ecco spiegato il motivo dell’interventismo della Bce della scorsa settimana (e, come mostrano le dinamiche del nostro spread dei primi due giorni di contrattazioni, anche di quella in corso): in questo contesto, l’ultima cosa che l’eurozona può permettersi è una crisi legata alla percezione del rischio sovrano dell’Italia. Il motivo? Sempre lo stesso, il doom loop delle detenzioni di Btp fra Tesoro e banche commerciali e assicurazioni. Lo mostra plasticamente questo grafico, il quale fa parte di quelli della categoria da stampare e attaccare alla porta del frigorifero con un magnete: nonostante gli acquisti Bce dallo scorso marzo in poi, proseguiti con il badile fino a maggio inoltrato, gli istituti di credito italiani hanno fatto incetta di Btp (millantando e dissimulando con la scusa dell’affarone storico, quello che in realtà è stato il solito do ut des con il governo di turno), arrivando al livello di detenzione record assoluto di oltre 520 miliardi di euro di controvalore. 

Con una dinamica fra credito ed economia reale come quella mostrata poco fa, cosa avrebbe potuto innescare a livello sistemico un rialzo reale e incontrollato dello spread italiano a fronte di quelle esposizioni bancarie? Ingestibile. Non in questo momento della lotta alla pandemia, quantomeno. Ecco perché la Bce è intervenuta, alla faccia delle affermazioni senza senso del presidente del Consiglio alla Camera. E attenzione, quindi, a leggere nei movimenti dello spread che seguiranno la due giorni della fiducia un segnale diretto di approvazione o disapprovazione del mercato verso la linea politica dell’esecutivo italiano. I mercati temono eventi sistemici, chi finga di governare a Roma non interessa a nessuno. Salvo che non arrivi a palazzo Chigi qualche genio che faccia balenare progetti di uscita dall’euro, in quel caso sì detonatore di spread a 600 entro una settimana, visto che dipendiamo totalmente dagli acquisti della Bce a livello di finanziamento del debito e accesso a costi sostenibili al mercato di capitali. 

Siamo a uno snodo fondamentale, uno spartiacque di quelli epocali, come facevo notare nel mio articolo dell’altro giorno dedicato ai giochi sotterranei in seno al rapporto fra Cdu tedesca e Bundesbank. Attenzione, quindi, a ciò che dirà Christine Lagarde domani: a volte le battaglie sono più incentrate sull’importanza della comunicazione formale che sul reale contenuto della stessa. Meglio non sbagliare una virgola, quindi. Piuttosto, tacere o restare sul vago. Altrimenti, il Parlamento italiano potrebbe davvero dover affrontare una crisi dello spread a breve. Reale, questa volta.