Non sono persona che necessita di approvazione esterna per capire se il proprio lavoro stia andando nella direzione giusta. Anzi, sinceramente con il passare del tempo, del giudizio altrui mi interessa sempre meno. Così come delle altrui opinioni: ho sempre ritenuto dialogo e confronto mezzi spesso sopravvalutati per il presunto miglioramento della società, oggi poi sono quasi certo del loro sempre più diffuso, sistemico e strumentale utilizzo dilatorio rispetto alle sempre più stringenti necessità di parlare poco e agire molto. Insomma, il dialogo è spesso un alibi per prendere tempo e cullarsi in un iper-uranio di nulla che garantisca il lusso di non prendere decisioni, non rischiare, non azzardare.



Detto questo e al netto del mio essere iper-critico con me stesso, il mio lavoro mi impone di leggere e ascoltare quanto dicono gli altri, quantomeno i soggetti che ritengo meritevoli di interesse: per esperienza, capacità, intuizione, brillantezza di analisi. E coraggio, soprattutto. Bene, per la prima volta da molti mesi a questa parte, ieri mi sono rinfrancato leggendo il titolo scelto dalla versione on-line del Sole24Ore per l’articolo relativo alla conferenza stampa di Christine Lagarde, al termine del board Bce di giovedì. Eh già, si è tenuta la riunione del Consiglio due giorni fa: nessuno se ne era accorto, lo so. Ma non ditelo pubblicamente, altrimenti vi danno dei maschilisti e orfani inconsolabili di Mario Draghi. Ma già questo disinteresse generale dovrebbe imporci delle indirette ma scomode domande riguardo il ruolo della Banca centrale europea in uno dei momenti più delicati a livello economico-finanziario del 2009 in poi. E, soprattutto, riguardo la sua guida e leadership. E non lo dico io, indirettamente lo conferma il quotidiano di Confindustria, notoriamente molto establishment e sobrio nei toni, soprattutto quando si ha a che fare con personaggi di una certa levatura. Insomma, diciamo che con i potenti, dalle parti di viale dell’Astronomia, si tende storicamente a utilizzare i guanti di velluto. Almeno, fino a quando non cadono in disgrazia.



Lagarde disegna una Bce “verde” ma si dimentica della politica monetaria, questo il titolo scelto per l’analisi di Riccardo Sorrentino. Come al solito, se non vi fidate del sottoscritto, fate un bel copia-incolla della frase, inseritela in un motore di ricerca qualsiasi e vedrete quali risultati otterrete. Che dire, cari lettori, se non che il Re – anzi, la Regina in questo caso – è nudo? Abbiamo una governatrice della Bce il cui unico “merito” è quello di essere donna, capace nella sua carriera di inanellare un fallimento dopo l’altro, in patria come alla guida del Fmi e che, peccato veniale per qualcuno, ora si scorda addirittura del suo compito statutario e si mette a giocare alla Licia Colò dell’economia, accarezzando simbolicamente orsi polari accaldati invece che decidere come cercare di tamponare la situazione e dare una risposta alla stagnazione in atto e in via di peggioramento nell’eurozona. Ma si sa, è una donna. E nel mondo del politicamente corretto e del gender gap, questo è sufficiente per essere ritenute dei fenomeni e, soprattutto, per garantire uno sviluppo in positivo a prescindere rispetto all’operatività dell’organismo che si è chiamati a presiedere.



Vi svelo un segreto: non basta essere donna e sfoggiare foulard di Hermes con consumata e naturale eleganza per guidare la Bce, occorrerebbe anche essere brave. O, quantomeno, così umili da delegare ad altri/e il lavoro che non si sa fare. Ma qui, signori, siamo nel grande inganno del grande inganno. Abbiamo tre donne a guidare l’Europa verso una delle fasi più delicate della sua storia, quindi tutto andrà bene di default, quantomeno per il pensiero imperante. E chi osa dire il contrario, è tacciato altrettanto automaticamente di maschilismo. Chi sono le tre donne? Semplice, Greta Thunberg a dettare la linea e Ursula von der Leyen e Christine Lagarde a metterla in pratica. L’ho scritto ieri e lo ribadisco: a questo punto, molto più onorevole e nobile suicidarsi, un epilogo alla Yukio Mishima.

Signori, parliamoci chiaro: Christine Lagarde ha lasciato il Fmi non solo in balia all’ennesima ondata di previsioni sbagliate, le mitiche hockey sticks perennemente riviste al ribasso, ma anche con l’Argentina nuovamente obbligata a ristrutturare il proprio debito, questo dopo che sei mesi prima proprio il Fondo aveva elargito a Buenos Aires un prestito record da oltre 50 miliardi di dollari. Risultato? Per evitare effetti contagio attualmente non gestibili (e non immediatamente utili, almeno geopoliticamente), l’Argentina potrà posticipare e tagliare gli interessi che deve a chi detiene il proprio debito, questo senza che alcuna agenzia di rating dichiari l’evento di credito. E che nessuno, sui mercati, attacchi valuta o titoli di quel Paese, nonostante un governo peronista e con tendenze alla bancarotta. E sapete perché? Perché non si può palesare agli occhi del mondo il fallimento epocale di Christine Lagarde, visto che il suo incarico alla Bce appare strategico e occorre silenziare le voci critiche. O tramite rimozione e dissimulazione o attraverso l’accusa di misoginia per chiunque abbia l’ardire di mettere in dubbio la sua capacità nel gestire quel ruolo.

Parliamoci davvero fuori dai denti, come si dice in gergo: perché pensate che Christine Lagarde nel 2011 sia stata nominata direttrice del Fmi, sull’onda dello scandalo a orologeria cha tolto di mezzo Dominque Strauss-Kahn, reo di aver parlato un po’ troppo di tramonto del dollaro come valuta benchmark mondiale? Forse perché era brava? O perché in vista del disastro epocale che si stava già operando in Grecia e della crisi dei debiti sovrani in ebollizione, occorreva rifarsi una verginità e garantirsi uno “scudo” gender che non portasse all’epilogo naturale di venti anni di fallimenti? Ovvero, la sacrosanta e sempre tardiva messa in discussione ontologica del Fmi stesso, il suo ruolo monopolista di creditore del mondo. D’altronde, la gestione di Christine Lagarde è stata talmente brillante da portarla alla conferma in quel ruolo nel 2016, fino all’addio del 12 settembre dell’anno scorso per succedere a Mario Draghi alla guida della Bce.

Scusate, ma il mondo pressoché nella sua interezza non ha detto e scritto peste e corna di quanto fatto dal Fmi dalle parti di Atene e non solo negli ultimi anni, evocando tassi di mortalità infantile da Terzo Mondo e pensionati costretti a elemosinare e vivere sotto i ponti? E chi lo guidava il Fmi durante quel periodo di presunta “mattanza sociale”, di grazia? Mi pare quindi giusto e improntato alla meritocrazia il fatto che la responsabile di quel disastro, in quanto numero uno dell’organismo, venga promossa alla guida di un’entità di importanza strategica come la Bce Non sembra anche a voi? Signori, quando un giornale notoriamente non guidato da capitani coraggiosi come il Sole24Ore arriva a titolare in quel modo, ovvero a criticare (in maniera sacrosanta) l’atteggiamento da militante del Wwf della numero uno della Bce, significa che siamo arrivati alla frutta. Forse, abbiamo anzi già anche bevuto il caffè e il digestivo. Non so se vi è chiaro, ma mentre la Banca centrale europea dà vita alla sua review interna degli obiettivi, ovvero mesi di chiacchiere al vento riguardo l’efficacia o meno dell’obiettivo del 2% per l’inflazione come Sacro Graal del proprio agire (discussione che terminerà con una revisione in punta di contabilità creativa degna del compianto Fausto Tonna, vedrete), la Fed sta già inondando letteralmente il mercato statunitense per mantenere in piedi lo schema Ponzi di Wall Street. Inondando. Siamo già oltre i 500 miliardi in pochi mesi di operatività.

E cosa pensate, che di fronte all’aggravamento quotidiano della situazione legata al nuovo e misterioso coronavirus, la Pboc cinese starà con le mani in mano o si limiterà all’ennesimo taglio dei requisiti di riserva per le banche? E la Bce cosa fa? Pensa al destino del fringuello o della foca monaca, invece che decidere se non sia il caso – magari – di ricalibrare gli acquisti obbligazionari, dando una fiammata a quelli corporate, nella speranza che l’impalcatura dell’economia reale non venga soffocata dalla crisi di liquidità, oltre che da quella già in atto e strutturale di domanda globale. La Bce deve sovrintendere alle dinamiche di prezzo, non deve salvare i pinguini o i ghiacciai.

Io capisco che ormai, non sapendo più come uscire dal cul-de-sac da dipendenza dalle Banche centrali in cui ci hanno ficcato, a Bruxelles come a Francoforte si trincerino dietro la formuletta magica del green new deal per qualsiasi cosa, ma una faccenda è la propaganda, un’altra la realtà. E la realtà è che quel piano è un’idiozia sesquipedale che servirà unicamente alle banche, d’affari e commerciali, a fare una valangata di soldi con la gestione del nuovo business del green, soprattutto i bond cosiddetti sostenibili. Stiamo giocando a palla avvelenata su un campo minato, non so se ve ne siete resi conto. Qui c’è poco da scherzare. Anche perché, con tutto il rispetto per le api e le marmotte, a Davos il Presidente Usa ha detto chiaro e tondo che in caso l’Europa decida di proseguire con il progetto di web tax verso i colossi tech statunitensi, Washington istituirà dazi sulle automobili Ue. Sarebbe la fine, il colpo mortale, il proverbiale chiodo nella bara. E Christine Lagarde cosa fa, a stretto giro di posto da questa minaccia? Nemmeno la calcola e si perde in disquisizioni sulla necessità di rendere ambientalmente sostenibile l’operato delle istituzioni europee, Bce in testa. Il tutto mentre Jerome Powell e il resto del board della Fed operano in modalità Totò e Peppino ne La banda degli onesti, stampando dollari in cantina come se non ci fosse un domani.

Si dice che chi ben comincia sia a metà dell’opera e che il buongiorno si veda dal mattino: beh, se queste perle di saggezza popolare sono vere, allora c’è da sperare una sola cosa. Che la Bundesbank faccia immediatamente partire un’offensiva contro Christine Lagarde, in seno al board o anche utilizzando lo strumento legale della Corte costituzionale di Karlsruhe e la costringa alla dimissioni. Il prima possibile. A meno che la presenza, eterea ed elegante, dell’ex capo del Fmi non faccia comodo a qualcuno che ha interessi in antitesi con quelli europei. Ma un peso politico decisamente difficile da controbilanciare. Per quanto mi riguarda, la priorità ora è una sola: sfiduciare la governatrice della Bce. Prima che sia davvero troppo tardi. E non vi dico dove mi attacco, preventivamente e volentieri, le eventuali accuse di maschilismo, perché sono un signore. Buon weekend.