Tutto come da copione. Jerome Powell annuncia il pivot della Fed sui tassi e il giorno dopo un suo generale lo smentisce. E ciò che conta non è tanto l’effetto flip-flop, testato maravigliosamente nella sua efficacia durante i lunghi mesi della pandemia, quanto il profilo dell’uomo chiamato a instillare dubbi al mercato: John Williams, il numero uno della Fed di New York. La stessa istituzione che sovrintende alla facility di reverse repo.
La quale, come mostra il grafico, negli ultimi tre giorni della scorsa settimana ha visto drenati oltre 150 miliardi, arrivando alla chiusura di venerdì a quota 683 miliardi.
Tradotto, le riserve della Fed esplodono. E la liquidità è tornata al livello del marzo 2022. Tutto in un battito d’ali corrisposto al mese di novembre.
Ora guardate questo secondo grafico. Avvertenza: la linea azzurra che rappresenta appunto riserve Fed e reverse repo va letta come invertita.
Ora, io capisco tutto. Capisco il non voler ammettere realtà scomode. Capisco non voler porsi domande ancora più scomode, non fosse altro perché imporrebbero il conseguente interrogativo sul come uscirne. Ma stante quella correlazione, il problema oggi – a livello di comunicazione, ovvero ciò che mi compete e riguarda professionalmente – non è più quello di svelare la natura del rally in atto. Bensì mettere in guardia dalla sua ontologica pericolosità. E questo terzo grafico ci dice che quando le posizioni nette lunghe sul Nasdaq 100 di asset managers e levereged funds raggiungono picchi simili occorre operare nella medesima modalità utilizzata per la genealogia del boom. Porsi domande. E cominciare a temere le risposte.
Perché quando un trade diventa così affollato, quanto tempo ci vorrà prima che vada in reverse dei corsi? E la risposta non è ottenibile tramite le vecchie categorie di fair value o price discovery, né tantomeno dall’analisi dei fondamentali macro sottostanti. Dipende tutto dalle necessità del Sistema di tutelarsi, auto-perpetuarsi e operare l’ennesimo cambio pelle come i serpenti. Flip-flop, appunto.
D’altronde, occorre ammettere che la cornice è stata preparata davvero ad arte. Un framework emergenziale che può scegliere fra mille detonatori. L’ultimo è giunto dal Mar Rosso, dopo che l’ennesimo attacco dei ribelli Houthi ha spinto due giganti dello shipping come Hapag-Lloyd e Maersk a bloccare la rotta. Si gioca su più tavoli. Liquidità. Volatilità. Geopolitica della recessione. Mentre la Cina annuncia la scoperta di 7 casi della nuova variante Covid. E lo fa urlandolo al mondo. In contemporanea, nuovo bando sull’utilizzo di iPhone per i dipendenti governativi. Reso noto a due minuti dalla chiusura del Nasdaq. Andate a vedere cosa è accaduto in quei 120 secondi di venerdì sera (fuso italiano) sull’indice tech Usa. E dopo aver iniettato nel sistema 112 miliardi di dollari di nuovo stimolo tramite la Pboc.
Ma tranquilli, va tutto bene. O quel crollo nel reverse repo parla la lingua di un weekend che avrebbe potuto necessitare di liquidità pronta cassa? Quando i due ubriachi si reggono l’un l’altro per non cadere, c’è da preoccuparsi. E i segnali, misti e sparsi, non mancano. E d’altronde, per chi voleva ascoltare, gli uccellini di mercato hanno cinguettato che, in data 14 dicembre, un Spv con assets nell’ordine di miliardi di euro (in doppia cifra) e sponsorizzato da una sistemica banca francese avrebbe notificato alla Dtcc un avviso di Issuer failure su un pagamento di commercial paper. Tradotto, ha fatto default su un pagamento. Nulla che possa terremotare il mercato. Probabilmente, questione di 24 ore. E oggi il dovuto sarà stato versato. O forse no.
In effetti, in data 15 dicembre la Dtcc ha ricevuto una seconda missiva. La quale annunciava il pagamento. Ma in data odierna. Ovvero, 19 dicembre. Esattamente come quel committente che paga in ritardo e, invece che mettersi in regola entro la settimana, decidere per una sorta di logica del postdatato, scegliendo di rinviare ancora un po’ in là la valuta del bonifico. E si sa, quando ci si attacca anche al weekend, solitamente non tira buona aria per i conti.
Il problema? Molto probabilmente, l’Spv e la sua banca di riferimento hanno pensato che – stante la colossale scadenza di opzioni attesa per venerdì scorso – fosse più cauto tenere tutti gli scellini nel forziere. Ancora una volta, certamente nulla di troppo rassicurante. Ma il problema reale è che di queste letterine la Dtcc comincia a riceverne parecchie. E nel caso in questione, considerando le dimensioni del veicolo, magari un pensierino in più si può fare. Per scrupolo. Anche perché la Francia pare aver perso il suo magic touch finanziario, dopo la corsa a perdifiato per accaparrarsi ogni possibile ambito di legacy londinese post-Brexit.
Ad esempio, sempre venerdì ha fatto scalpore il -54% patito dal fondo di Pierre Andurand con le sue scommesse sul petrolio. Certo, ormai vive e opera a Londra. Ma è pur sempre una delle star più luminose della nouvelle vague di speculatori formatisi all’ombra della Torre Eiffel. Proprio un brutto periodo. E che dire di François Villeroy de Galhau, elegantissimo Governatore della Banque de France? Sempre venerdì e di buon mattino, ha sentenziato che l’Europa sarà risparmiata dalla recessione. E con essa, la Francia. Una bella iniezione di ottimismo. Peccato che mezz’ora dopo siano stati pubblicati i dati PMI transalpini, di cui questo ultimo grafico offre lo scorcio maggiormente prospettico. Manifatturiero 42.0 da 42.9 e contro previsioni di 43.3, servizi 44.3 da 45.4 e contro previsioni di 46.0 e composite a 43.7 da 44.6 e contro attese di 45.0.
Proprio sicuri che sia la Germania il grande malato d’Europa? A livello di de-industrializzazione, certamente sì. Senza dubbio. Ma la mina vagante francese rischia davvero di essere sottostimata. Colpi di coda del galletto ferito, compresi. Anzi, in tal senso qualcuno sta mostrando molto cautela e lungimiranza di vedute. L’amministratore delegato di TIM, Piero Labriola, a margine della presentazione di un nuovo microchip, ha infatti sentito la necessità di chiedere – urbi et orbi e a voce ben alta – che la Consob vigili sulle fluttuazioni cui il titolo TIM è soggetto unicamente sulla base di indiscrezioni. Sullo sfondo, un collocamento Mps che rischia di trasformarsi in un rodeo. Insomma, sotto il pelo dell’acqua di mercato, gli iceberg viaggiano a velocità siderale. E la scelta della Bce di impostare un taper degli acquisti Pepp solo dalla metà del 2024 e per un controvalore di circa 18 miliardi al mese, a fronte di 1,7 trilioni di detenzioni pandemiche, configura un esempio di quello che gli anglosassoni definiscono un compromesso getting away without rocking the boat. E decisamente favorevole per i Btp italiani, mentre gli Oat cominciano a perdere appeal.
Più che la Via della Seta conveniva forse mettere in cantiere una bella revisione del Patto del Quirinale?
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