Caro direttore,
quale sia il giochino che sta dietro il voto del 25 settembre è chiaro a tutti. Soltanto Luigi Di Maio non lo aveva capito. E, infatti, dopo aver garantito le condizioni per lo scioglimento delle Camere, ora resterà insieme ai suoi 50 disperati con il cerino in mano e nessuna alleanza. C’è un fondo di giustizia, quantomeno.
Resta il fatto che, piaccia o meno, queste elezioni nascono truccate per far vincere Pd e centro assortito, eliminando dalla mappa i Cinque Stelle più o meno organici e soprattutto facendo esplodere il centrodestra. Le condizioni poste dalla Bce per accedere al cosiddetto scudo anti-spread, in realtà si configurano come uno scudo anti-centrodestra: non appena in campagna elettorale si parlerà di scostamento di bilancio, legge Fornero, catasto o patrimoniale in senso opposto ai desiderata di Bruxelles, ecco che da Francoforte partirà l’input per far schizzare alle stelle lo spread.
E se da un lato questo garantirà benzina a costo zero per il motore di propaganda del centrosinistra, dall’altro aprirà lo scenario più estremo ma sulla carta non impossibile: l’accesso al Tpi prima del voto del 25 settembre, in modo da blindare ex ante le politiche del prossimo Governo. Chiunque uscisse vincitore dalle urne.
D’altronde, la conferma è giunta ieri dalla prima pagina del quotidiano dell’Ingegner De Benedetti, il cui titolo era per una volta basato sulla realtà: Dopo le elezioni il programma di governo sarà quello della Bce. Più chiaro e onesto di così, si muore. E attenzione, perché nessuno vuole ammettere che il nostro debito ora viaggia davvero senza rete, in caso la Bce volesse farlo ballare. Lo scudo anti-spread non esiste. Se lo si vuole, occorre accettare il commissariamento. Altrimenti, l’unica linea di difesa è il reinvestimento titoli del Pepp che ci ha tenuti in linea di galleggiamento dal 1° luglio fino a ora. Poco, davvero poco. Per il semplice fatto che la sua efficacia era basata sull’effetto placebo garantito proprio dall’aspettativa dello scudo anti-spread: il quale, essendosi rivelato nulla più che il Mes, ora non assolverà più a quel compito sul mercato.
Ma la Bce è un’azienda e come tale, nel mese di agosto chiude almeno due settimane per ferie. E il reinvestimento titoli non è un programma emergenziale: quindi, si fermerà anch’esso. E se in Btp, garantita magari dalle improvvide promesse elettorali di qualche esponente di centrodestra in vena di grandeur da spiaggia, cosa si farà? Anzi, chi lo farà? L’uomo che, fino al 26 settembre, è incaricato per il disbrigo degli affari correnti. Ovvero, Mario Draghi. Vuoi vedere che il Governo Draghi, pur dimissionario, stia preparando un colpo di coda in grado di perpetuare la sua agenda per almeno un’intera legislatura?
Non stupirebbe. E non stupitevi. Perché la situazione è di quelle davvero senza precedenti. E non solo in Italia, dove per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale si vota in autunno. E nemmeno per la velocità siderale con cui il Quirinale ha sciolto le Camere e imposto la sua moral suasion sulla comunità ebraica, visto che il 25 settembre è il Capodanno per quella religione. Nessun problema, tanto festeggiamo solo a partire dalla sera, la risposta giunta ai desiderata del Colle più alto. Quanta fretta. La stessa, però, che sta caratterizzando il pur silenzioso abbandono del carro ucraino e il ri-direzionamento delle politiche estere europee verso il Cremlino.
E signori, c’è un motivo. Se Nord Stream non fosse ripartito, oggi staremmo per entrare in un territorio davvero inesplorato. Un report di UBS ha infatti incorporato a livello di mercato un worst case scenario di immediato stop pressoché totale dei flussi: a detta della banca svizzera, il rischio per l’Europa si sostanzierebbe in un calo di corporate earnings del 15%, una sell-off sullo Stoxx 600 destinata a superare il 20%, un euro a 90 centesimi sul dollaro e il rendimento del Bund decennale a 0%. Signori, l’Apocalisse era (quasi) servita. E ben più grave di quella climatica dell’omonima ondata di calore che sta incendiando il Vecchio continente, da Nord a Sud. La quale, però, rischiava paradossalmente di piantare il proverbiale chiodo nella bara della recessione Ue, come mostrano queste due immagini, la prima delle quali illustra e dettaglia il corso del fiume Reno e il suo fondamentale contributo all’approvvigionamento energetico del Nord Europa, partendo dall’hub cosiddetto ARA (Amsterdam-Rotterdam-Anversa) e fino in Svizzera per un corso di 1.300 chilometri, il cui nodo strategico è in Germania nel sito di Kaub.
La seconda immagine parla da sola: il livello di siccità che ha colpito il Reno è tale da permettere una capacità di carico al 30% del totale massimo, stando a dati odierni dalla società di brokeraggio marittimo Riverlake. Ovvero, al massimo 800 tonnellate da Kaub in poi verso Sud. E se quella tratta fluviale è fondamentale per un serie di commodities, appare esiziale per diesel e combustibile da riscaldamento.
Detto fatto, se Avenergy Suisse ha confermato come già oggi la Svizzera stia cominciando a fare i conti con carenze sistemiche a livello di approvvigionamento energetico dalla porta del Nord Europa, il combinato di Reno in secca e difficoltà logistiche post-pandemia delle ferrovie tedesche sta già ripercuotendosi sull’operatività stessa di molte fabbriche. Due centrali di fondamentale importanza per le industrie energivore tedesche come quelle di Mannheim e Karlsruhe, gestite rispettivamente dalla Grosskraftwerk Mannheim e della EnBW, hanno confermato la difficoltà nel reperimento di carbone per uso industriale. Di più, l’ultimo report di S&P’s Global Commodity Insights prevede che nei prossimi mesi la Germania potrà contare solo sul 65% di capacity legata al carbone.
Insomma, se Nord Stream non fosse ripartito e i flussi dalla Russia si fossero bloccati davvero del tutto, oggi saremmo dentro un incubo in grado di tramutare il 2008 in una passeggiata nel parco. Ma attenzione, perché comunque i danni inferti all’economia tedesca finora sono stati pesanti. Pesantissimi. Lo testimonia l’evaporazione del surplus commerciale. E i razionamenti proseguono lassù, stante anche il no di Spagna e Grecia al piano di emergenza della Commissione Ue per tagliare del 15% il consumo di gas fino alla primavera 2023.
Vendetta dei Pigs contro il boss dei rigoristi? Certamente, Atene e Madrid non sono ben disposti nei confronti di Berlino. Ma possono permetterselo, perché le loro industrie non sono sub-fornitrici di quelle tedesche, né a livello di macchinari, né di componentistica. Ma il Nord Italia, invece? Occorre prendere atto che, pur avendo superato il peggio, in autunno i danni enormi patiti dall’economia tedesca si riverseranno a cascata sulla nostra a livello di ordinativi. E lo faranno sulla parte più produttiva, sana e dinamica della nostra economia.
Signori, il voto del 25 settembre non conta nulla. È già stato tutto deciso. Perché altrimenti, salta il sistema. E stavolta non a causa dei debiti dei Paesi cicala, ma perché la Germania ha segato il ramo su cui stava seduta. Non abbiamo mai vissuto tempi simili. Quantomeno, un domani avremo qualcosa da raccontare. Di certo, già oggi rimpiangiamo la Merkel e Weidmann. Il sottoscritto, quantomeno.
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