Caro direttore,
a marzo 2023, il totale delle rate non pagate da quasi un milione di famiglie italiane si è attestato a circa 15 miliardi. Per l’esattezza, 14,9, come mostra la grafica Di più. Da un’analisi della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, emerge che – dei 14,9 miliardi di crediti deteriorati -, 6,8 miliardi sono mutui non pagati, altri 3,7 sono rate di credito al consumo non rimborsato e altri 4,3 rientrano tra arretrati di altri prestiti personali.
Scendendo ancora più nello specifico, si scopre che 5,7 miliardi sono sofferenze – cioè credito che la clientela non rimborserà più -, altri 7,1 miliardi sono inadempienze probabili, vale a dire denaro che realisticamente le banche non recupereranno e solo circa 2 miliardi sono rate scadute, quindi posizioni debitorie meno a rischio.
E come ha reagito il mondo bancario a queste evidenze, elaborate dal dossier Fabi su cifre di Bankitalia? I mutuatari con tasso variabile che affrontano l’aumento della rata devono porre il problema alla banca prima che il problema esploda, ha sentenziato con sprezzo del ridicolo il presidente Abi, Antonio Patuelli. Il quale, forse folgorato da un minimo sindacale di decenza o di istinto di sopravvivenza, ha immediatamente svelato smentito se stesso: Vi è una rigidità in materia che non dipende dalle banche ma dalle norme dell’Eba, l’autorità bancaria europea. Dunque, tutta colpa dell’Europa. La Bce che alza i tassi e l’Eba che vincola gli istituti. I quali – se dipendesse da loro – sarebbero invece pronti a un Festivalbar di rinegoziazioni e surroghe, offrendo anche il caffè al creditore.
Ora, mettiamo le cifre in fila. A marzo, già 15 miliardi di rate non pagate. Di cui circa 13 a forte rischio di incaglio o sofferenza. Cui occorre unire i 30 miliardi di crediti problematici legati al superbonus. Il tutto alla luce di un esborso per la mega-rata del Tltro pandemico dello scorso 28 giugno che ha visto le nostre banche e quelle greche costrette a mettere pesantemente mano al portafoglio. Non siamo messi bene. Perché quello all’orizzonte appare come il ritorno in grande stile del doom loop, cioè il combinato disposto fra abuso di detenzione di Btp (potenzialmente tornati non risk-free per le incertezze sull’approccio Bce) e aumento dei famigerati Npl a bilancio. E dallo scorso marzo a oggi, la situazione è sicuramente peggiorata. E di molto.
Quei 15 miliardi sono wishful thinking. Solo in Emilia-Romagna, una delle regioni più produttive e con maggiore raccolta, a che punto saremo, stante un’alluvione senza precedenti che ha spazzato via case e aziende? Il Governo aveva promesso miliardi. A oggi non è arrivato un euro. E l’Europa? I 19 miliardi della terza rata Pnrr attesi da marzo sono slittati ufficialmente all’autunno e i 16 miliardi della quarta rata a primavera 2024. Non a caso, Nadef alla mano, il Mef ha ipotizzato maggiori aste di debito per tamponare gli shortfall di bilancio.
Signori, parliamoci chiaro: quei 15 miliardi necessitavano di un immediato intervento di garanzia statale, al fine di evitare che la palla di neve divenisse valanga. Ma, già oggi, l’Italia non ha possibilità di spesa. E ora circa 35 miliardi legati al Pnrr latitano. Non servono Fitch o Moody’s, il rating creditizio sta in quelle rate non pagate. E se la Bce fa un passo indietro, lo spread lo prezzerà tutto. In pancia alle medesime banche.
Bentornato, 2011. Le somiglianze, ormai, si stanno facendo imbarazzanti. Basti pensare al parallelismo fra lettera Bce dell’accoppiata Trichet-Draghi di quel luglio di 12 anni fa e il contenzioso sul Mes attuale, un calciare in avanti il barattolo in nome del tornaconto elettorale che – come spesso accade in questo Paese – si basa sulla sovrastima delle proprie forze. Soprattutto quella di negoziazione, tenendo il coltello dalla parte del manico. Davvero pensiamo che, in caso di crisi bancaria in Europa che necessiti immediatamente dello sblocco di fondi per evitare un domino sistemico, Bruxelles e Francoforte resterebbero ancorate alla formalità della mancata ratifica italiana e non darebbero vita a un veicolo emergenziale parallelo e identico al Mes riformato? Ovvero, dotato di 144 e non solo 66 miliardi di firewall per schermare il sistema creditizio. Davvero lo crediamo? Ecco quindi che il nostro ricatto, finalizzato per ottenere rate del Pnrr più rapide e Patto di stabilità all’acqua di rose, nasce morto. O, quantomeno, pesantemente depotenziato.
Ora, ripensate un attimo ai numeri che ho messo in fila nella prima parte dell’articolo: e se fosse proprio il nostro, quel sistema bancario attraversato da tremori che necessitino l’intervento non del Fondo nazionale che tutela i conti inferiori ai 100.000 euro ma proprio al Mes o al suo corrispettivo da morphing emergenziale, l’ennesimo? Quanto ci ritroveremmo dalla parte del torto e in totale balia delle condizioni europee, a quel punto? Totalmente. E quanto verrebbe immediatamente ri-prezzato e incorporato nei valori degli assets, quel rischio-Italia finora narcotizzato dalla stessa Bce che Fabi e Abi attaccano come responsabile della Spoon river dei risparmi italiani?
Certo, un Governo che ha come uniche priorità la guerra alla magistratura, la difesa a oltranza dell’indifendibile domiciliata al ministero del Turismo, la trasformazione della Rai nel bar di Guerre stellari di amici e parenti e l’adozione dell’Ucraina come Heimat per procura, difficilmente si renderà conto di quanto sta accedendo già ora sottotraccia. E del rischio colossale che questo Paese dovrà affrontare a partire da ora. E in vista dell’autunno.
Agosto con i suoi bassi volumi ci offrirà uno spoiler da brividi, nonostante la canicola africana? Al Mef tacciono da qualche giorno. Ma si sente chiaro e nitido l’odore della paura.
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