Ieri mattina il mercato azionario giapponese è salito del 10% annullando quasi interamente il crollo di lunedì. Le borse americane ed europee hanno fermato la discesa. Come possano coesistere due performance diametralmente opposte nell’arco di così poco tempo è una domanda inevitabile. Ieri eravamo rimasti al dato sui servizi americani superiori alle attese anche nei prezzi. È un dato che in qualche modo ridimensiona i timori di rallentamento e che suggerisce una realtà molto meno univoca sotto la superficie dei dati economici.



Il livello di indebitamento delle famiglie americane è inferiore a quello antecedente al 2008 e questo spiega in parte la resilienza dei consumi anche di fronte ad aumenti dei prezzi ampiamente in doppia cifra. Il debito non è sparito, semplicemente si è trasferito dal privato al pubblico e il debito statale americano, da qualunque lato lo si guardi, è oggi molto superiore a quello del 2019. Pensiamo solo, tra i tanti possibili esempi, che sotto l’Amministrazione Biden sono stati cancellati debiti per lo studio per un importo di quasi 160 miliardi di dollari. Il debito privato è diventato debito pubblico. Questo è solo uno dei tanti strumenti che hanno contribuito al deficit.



Il secondo elemento è che la relazione tra consumi e borsa è vera in entrambi i sensi. Le borse salgono perché migliorano i consumi e quindi i profitti delle aziende quotate. Allo stesso modo i consumi migliorano perché le borse salgono e creano effetto ricchezza. Questo è vero in un Paese come l’America, dove le famiglie sono storicamente investite in borsa, ma anche in Italia dove i risparmiatori dopo dieci anni di tassi a zero si sono ritrovati in portafoglio titoli di stato con rendimenti che, a parte la parentesi della crisi dei debiti sovrani, non si vedevano dal 2010. Le cedole percepite dai risparmiatori diventano consumi e ancora di più le performance dei mercati azionari.



I rischi del sistema si sono trasferiti sui debiti statali che producono deficit, spesa fiscale e bonus, e quindi consumi, mentre le Banche centrali sono obbligate a considerare nei loro calcoli l’impatto che aumenti dei tassi generano sulla spesa per interessi dei Governi e in generale sull’intera impalcatura. La concentrazione del rischio produce quello a cui stiamo assistendo perché se il sistema regge “va tutto bene” se invece si ingrippa, per esempio perché i tassi salgono per contrastare l’inflazione, invece “va tutto male”. Modulare un riequilibrio dopo l’esplosione dei debiti pubblici degli ultimi quattro anni è complicato perché gli investitori non sono stupidi.

Hanno imparato che quando tutto va bene la scelta migliore è rimanere investiti, però comprendono il meccanismo e i suoi rischi. Tradurre in una conseguenza operativa questi elementi è difficilissimo. È la differenza tra mettere “1” in una partita tra la prima in classifica, in casa, e una neo promossa e azzeccare, invece, il nome del marcatore e il minuto del goal. La prima scommessa è molto facile, la seconda decisamente meno.

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