La notizia della ripresa delle trattative per la cessione di Iveco da Cnh Industrial ai cinesi di Faw sta facendo salire il titolo della galassia Elkann/Agnelli da due giorni. Per Faw si tratterebbe di mettere la mani su una quota notevole di mercato sia in Europa che in Sud America entrando in due mercati in cui non è sostanzialmente presente. Per Cnh, invece, l’obiettivo sarebbe quello di uscire da un settore dove ci sono concorrenti di dimensione maggiore monetizzando a valutazioni interessanti.
Chi compra una società come Iveco in questa fase di incertezza compra quote e prospettive di mercato facendo valutazioni “strategiche” che non sono quelle degli investitori. Per entrare in un mercato nuovo bisogna, come minimo, pagare un premio ai pochi che hanno già una quota di mercato e questo sposta le valutazioni su un piano che non è quello dei mercati finanziari. In sostanza il venditore incassa quasi sempre molto di più del valore riconosciuto “in borsa”; in questo caso per una società che è un pezzo di un gruppo quotato più grande.
Sulla stampa italiana si sono subito fatte strada le preoccupazioni per il destino occupazionale dei dipendenti italiani del gruppo; la nazionalità dell’azionista viene ritenuta una garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali in ogni Paese del mondo. Senza questa garanzia valgono valutazioni meramente economico finanziarie e nell’Europa occidentale, chi più chi meno, ci sarebbe da tempo un deserto industriale.
Assorbita la notizia è inevitabile chiedersi in quale altro Stato in cui si cerca di tutelare gli interessi del sistema Paese si potrebbe leggere una notizia del genere in questa fase: né in Francia, né in Germania, né negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Come minimo il Governo eserciterebbe tutto il proprio potere per salvaguardare gli impianti. In Italia, invece, non si registra alcuna reazione confermando l’anomalia della nostra penisola in cui si è assistito a operazioni industriali di vendita inconcepibili in qualsiasi altro Paese sviluppato. Alla “efficienza” dei mercati dicono di credere tutti, ma poi all’atto pratico tutti si comportando diversamente.
C’è un secondo aspetto da valutare. La cessione di Iveco a Faw non è un problema solo italiano o degli italiani, ma di tutto il settore europeo. Far entrare un competitor cinese sul mercato continentale significa spostare gli equilibri minacciando le posizione di tutto il settore per chiunque ne faccia parte. Ci potrebbe quindi essere una “reazione” per tenere il mercato al riparto da nuovi e potenzialmente più pericolosi entranti. In questo senso per i nostri partner europei non vale l’alibi che non si discutono le operazioni tra privati; queste tesi vanno bene quando sono vendute in Italia ma a livello “istituzionale” ovviamente non valgono. Per un tedesco non è solo Cnh che vende, Iveco a Faw, ma è l’Italia che si conferma l’anello debole o una porta troppo grande per la Cina perché la politica è assente, perché è troppo debole o perché non ha come riferimento l’Europa.
In questo caso le ipotesi sono due: o l’Italia si conferma il cavallo di troia che minaccia l’industria europea oppure l’entrata è frutto di accordi non scritti. In questo secondo caso dovremmo chiederci come mai i cinesi entrano dall’Italia e non dalla Francia sollevando la domanda scomoda se negli accordi generali a noi non sia toccata la parte di quelli che “pagano dazio” e rimangono con il cerino in mano.