Non so voi, ma ieri mattina, quando i tram hanno cominciato a diradare i passaggi (fino a sparire) in ossequio allo sciopero nazionale, la gente comune che stava attorno a me non malediva il fascismo. Bensì, l’Atm. I soliti qualunquisti. Forse anche un po’ pavidi collaborazionisti dell’onda nera pronta a sommergere le nostre città. Come non percepire l’emergenza democratica in atto, d’altronde? Come permettersi di avere come principale preoccupazione quella di dover raggiungere il posto di lavoro o la scuola dei figli o l’ospedale dove finalmente poter fare quell’esame diagnostico rimandato per mesi, quando all’orizzonte si stagliano l’ombra delle nuove SA pronte a marciare per le strade?
Signore e signori, siamo alla frutta. Non c’è Commissione europea che tenga, non c’è Bce che possa salvarci: questo Paese è semplicemente incapace di affrontare la realtà, Pirandello e Kafka messi insieme rappresentano comunque due dilettanti. Fra 3 giorni, qualcosa come circa 3 milioni di lavoratori dovrà scegliere forzatamente tra vaccinarsi o pagarsi il tampone ogni 48 ore per poter continuare a percepire uno stipendio. Altrimenti, sospensione dalla paga e, a lungo andare, licenziamento. Sono uomini e donne che, per una ragione o per l’altra, non sono in possesso di green pass. E il 15 ottobre si avvicina a grandi passi.
Ora, partiamo da un presupposto. Sacro, quasi come l’antifascismo che straborda in queste ore: se non esiste obbligo vaccinale, nessuno può permettersi di impormi il vaccino per poter lavorare. Nessuno, nemmeno Mr. Whatever it takes. E mettere 3 milioni di persone nella condizione di dover scegliere fra inoculazione forzata o pagare 15 euro (quando va bene) ogni due giorni unicamente per poter andare al lavoro, si chiama ricatto. Non ha altro nome. Se si vuole ragionare così, a colpi di costrizioni degne della tanto vituperata Cina ma molto più ipocrite perché surrettizie, allora si impone l’obbligo. Con l’onere altrettanto sacrosanto di dover risarcire chi dovesse patire conseguenze fisiche dall’immunizzazione. Ma si sa, qui abbiamo Mario Draghi, l’uomo che può fare e chiedere tutto, stante la platea di adoranti giullari che compone la sua variopinta maggioranza di governo e le platea delle quantomai collaborative parti sociali. E chi osa dire bah, finisce nel tritacarne. Inchieste a orologeria, character assassination e chi più ne ha, più ne metta.
E attenzione, perché l’aria che tira è quella di una normalizzazione spietata in tutta Europa: che dire dell’inchiesta che ha condotto alle dimissioni lo scomodo Sebastian Kurz in Austria? E il rientro nel mirino di Bruxelles per Polonia e Ungheria, vi dice nulla? Non prendiamoci per i fondelli, per favore. Perché mentre attendiamo con ansia che Enrico Letta e soci entrino in clandestinità e salgano in montagna, desiderosi di preparare l’offensiva di liberazione, qui ci ritroviamo con ministri che millantano Pil oltre il 6% grazie al ritorno in presenza della Pubblica amministrazione: praticamente, un ragionamento macro che sembra arrivare dalla DDR. L’impresa privata si arrangi a risolvere la questione dei circa 3 milioni di addetti che potrebbero venire a mancare da venerdì prossimo, tanto noi abbiamo un esercito di statali pronto a gonfiare i dati Istat. E ci voleva Mario Draghi per arrivare a questo delirio statalista e liberticida a livello di mercato? Non a caso, Confindustria è d’accordo con l’esecutivo. Plaude pavlovianamente a ogni decisione. Non stupisce: se esiste un soggetto antitetico a merito, mercato e concorrenza in Italia, quello è proprio l’associazione con sede in viale dell’Astronomia. E spiace che Carlo Bonomi si stia nemmeno troppo lentamente conformando alla prassi consolidata.
Statalismo e sussidi, ecco cosa si chiede. E questo grafico spiega in maniera plastica il perché il Governo Draghi stia pedissequamente seguendo il cronoprogramma impostogli dall’Europa (com’era la barzelletta del Mes che avrebbe imposto il commissariamento del Paese, se attivato?): guardate l’ultima casella a destra relativa ai controvalori di acquisto obbligazionario pro quota in seno al Pepp, il programma di contrasto alla pandemia della Bce. Il debito italiano è overbought per 19 miliardi di euro rispetto alla capital key statutaria, quindi Roma è la principale beneficiare delle deroghe alle regole della Banca centrale garantite dal virus: capito perché il Governo sembra un caterpillar nel mettere sul tavolo i vari provvedimenti che Bruxelles desidera, ora concentrati sul contesto fiscale e della tassazione relativa agli immobili?
Forse vogliono agitare lo spettro fascista per non farci rendere conto che, in realtà, questo Paese è già sotto dittatura? Anzi, sotto dettatura. E una di quelle che non si abbatte con le staffette partigiane o i bombardamenti degli alleati, perché al primo rigurgito di orgoglio lo spread decide di emulare lo spot della Red Bull. E mette le ali. D’altronde, perché preoccuparsi dell’inflazione galoppante, quando occorre fare i conti con Forza Nuova? Guardate questi due grafici, i quali ci mostrano due simpatiche dinamiche in atto. La prima è relativa all’indice di Citigroup che traccia il sentiment dei prezzi: a settembre, ha toccato il suo massimo storico da quando vengono registrate le serie. Ma l’inflazione non era temporanea?
Il secondo è ancora peggiore, perché ci dice come l’indice FAO dei prezzi del cibo abbia appena toccato il massimo da un decennio. Cibo, signori. E se questo già significa problemi seri per società relativamente benestanti come la nostra, cosa comporterà – ad esempio – nel vicino Maghreb? Quante primavere arabe dobbiamo mettere in conto, questa volta davvero per il pane, con conseguenti sbarchi di massa? E l’Afghanistan ormai con le casse vuote, dopo le razzie di cassa operate dai galantuomini che erano al potere prima dei Talebani, cosa rischia di diventare, se non una polveriera? E il Libano in pieno blackout? Capito perché 12 Stati europei hanno chiesto la costruzione di muri difensivi, scatenando indignazioni tanto popolari quanto pelose nelle loro ipocrisia?
Forse non avete bene in mente cosa stia per accadere, in cosa si sostanzierà il prossimo inverno e la prima metà del 2022. Lo capiremo, tranquilli. E capiremo anche perché, per ammansirci, hanno messo in atto la strategia della rana bollita con il ciclico allarme fascista. Sabato la Cgil chiamerà tutti a raccolta, sventolando bandiere rosse e cantando Bella ciao. Il giorno prima, qualche milione di lavoratori – che anche la Cgil dovrebbe in parte rappresentare – sarà rimasto a fuori dalla fabbrica oppure avrà pagato il tampone o si sarà dovuto vaccinare contro la sua volontà, pur di lavorare e portare a casa il pane. Questo è l’allarme. Lasciamo il fascismo nell’armadio della Storia, dov’è stato rinchiuso parecchi anni fa. È arrivata l’ora di sbugiardare gli alibi di questa classe politica e sindacale, prima che sia davvero troppo tardi. Perché con 3 milioni di famiglie a rischio povertà, le strade del nostro Paese rischiano qualcosa di ben peggiore e decisamente più concreto delle mitomanie paranoico-ossessive di Repubblica.
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