Il carattere distopico raggiunto dalla situazione è ormai talmente palese da indurre automaticamente al suo rifiuto. Nessuno si accorge di quanto stia accadendo, semplicemente perché il buon senso ci spinge a non ritenerlo possibile. Siamo nel pieno del processo di bollitura della rana descritto da Noam Chomsky.

Quasi alla perfezione, materia degna di studi accademici da qui a 30 anni. Mentre il battaglione Azov si arrendeva alle truppe russe, ponendo fine a un assedio che Mosca avrebbe potuto stroncare settimane fa, se avesse davvero voluto operare in sprezzo delle vite dei civili presenti nell’acciaieria, il Presidente Zelensky si collegava in video con il festival del cinema di Cannes e auspicava per il mondo l’arrivo di un altro Charlie Chaplin, metafora dell’arte che non si taccia di fronte alle ingiustizie del mondo. Chiaro rifermento a Il grande dittatore, ovviamente. E in molti, c’è da giurarci, avranno accompagnato le parole del numero uno di Kiev con l’immagine simbolica di un Vladimir Putin che gioca con il mappamondo nel suo studio al Cremlino. Mai guerra fu più spettacolarizzata, mediatizzata, ligia a un copione e destrutturata di quella in corso. 



Nessuno si preoccupa di nulla, quando il Presidente parla. E a tutti sarà infatti sfuggita la stridente realtà giunta a bussare alla sua e alla nostra porta nell’arco di 48 ore: dopo aver lanciato l’appello per il conferimento a Mariupol dell’organizzazione dell’Eurovision 2023, oggi scopriamo che su Mariupol sventola la bandiera russa. Sotto cui sfila ciò che resta dell’orgogliosa resistenza del battaglione Azov. Meglio parlare di Charlie Chaplin, in effetti. Ma non pensiate che in Italia la situazione sia differente. Viviamo dentro uno spettro di rifrazione che opera in maniera identica lungo tutte le angolazioni. Un vecchio adagio popolare suggerisce che chi si accontenta, gode. 



In effetti, il partito della guerra nostrano da qualche giorno sta traendo picchi di libido dalla scelta di Finlandia e Svezia di aderire alla Nato. Ovvero da un qualcosa che dovrebbe lasciarci di fatto indifferenti. Ieri, la Premier finlandese era proprio a Roma, ospite di Mario Draghi. Uomo che, formalmente, nell’Ue viene ancora visto come il principale interprete dell’ortodossia atlantica nella contrapposizione verso Mosca. Il quale, però, ha dato via libera formale alla decisione dell’Eni di aprire due conti differenti presso Gazprombank, uno in euro e uno in rubli, per il pagamento del gas. Di fatto, un’ulteriore resa a Mosca. E, purtroppo, un’inquietante conferma di quanto scrissi subito dopo la visita del presidente del Consiglio a Joe Biden: a Washington, l’Italia ha incassato un due di picche senza appello alla richiesta di tetto sul prezzo delle esiziali forniture di gas LNG per gestire in maniera ordinata l’affrancamento dall’energia russa. Quindi, conscio che l’alternativa africana di Algeria e Angola è da classificarsi nella categoria delle barzellette poco riuscite, Mario Draghi ha dovuto fare di necessità virtù con il gigante energetico italiano. Il Cremlino ringrazia. 



Un po’ meno l’Unione europea, la quale ha reagito in maniera formalmente indispettita alla mossa, sottolineando come il pagamento in rubli configuri una violazione delle sanzioni e quindi comporti il rischio di multe. Peccato che l’Ue in materia abbia la stessa credibilità di un baro al tavolo da gioco. Perché trattasi della medesima istituzione che non più tardi di venerdì scorso, alla vigilia del Consiglio dei ministri degli Esteri, ha visto il suo Alto rappresentante, Josep Borrell, ammettere candidamente l’impossibilità de facto dell’inclusione del petrolio russo nel sesto pacchetto di sanzioni, stante le troppe resistenze di alcuni Stati (Ungheria) e il perdurante regime di unanimità. Di più, apparentemente l’intero sesto pacchetto di sanzioni è stato messo in stand-by, avendo di fatto perso il suo unico elemento di forza. Non a caso, Vladimir Putin ha parlato di politica suicida dell’Europa sull’energia. Lo stato dell’arte, riassunto per sommi capi, è questo. Piaccia o meno ai Majakovsky sempre più stonati della Nato. 

E attenzione alla mossa del Cavaliere. Perché al netto di una Forza Italia sul baratro dell’implosione e di un intero centrodestra che vede le fibrillazioni pre-amministrative diventare pericolosamente simili ad aritmie, appare ormai chiaro a tutti che Silvio Berlusconi abbia attivato la Farnesina di Arcore, una diplomazia parallela che si fa forte del vecchio rapporto con Vladimir Putin e che pone dei paletti di buon senso politico all’oltranzismo interessato dell’Amministrazione Biden. La quale, infatti, sa benissimo di trovarsi in una situazione win-win: comunque vada, a pagare il conto saranno o la Russia o l’Europa. Mai Washington. E le previsioni dell’Ue sulla crescita appena diffuse parlano chiaro. Non tanto in relazione alle revisioni al ribasso già compiute, quanto agli studi prospettici relativi agli impatti potenziali di uno stop drastico al gas russo. Deciso sia da una parte che dall’altra, poiché sempre più spesso si continua a compiere l’errore di valutare l’addio alle pipeline di Mosca solo in prospettiva di volontario distacco europeo. Quando invece potrebbe essere Gazprom a decidere chi conduce la danza, non a caso sono già oltre 20 le utilities europee – tutte big – che hanno diligentemente aperto conti k presso la finanziaria del gigante energetico russo. 

Al netto di tutto questo, davvero possiamo continuare a tollerare un’informazione distorta come quella che viene propinata praticamente H24 dai grandi media? Per quanto Vladimir Putin dovrà ridicolizzare articoli di prima pagina in cui viene annunciato un suo intervento chirurgico inderogabile e addirittura una decina di giorni di pericolosa supplenza al Cremlino (con tanto di messaggi video pre-registrati), mostrandosi di persona e annunciando provvedimento come fatto martedì? Per quanto, dopo aver sopportato per due anni i quotidiani bollettini del Covid, possiamo accettare che quotidiani cosiddetti autorevoli dedichino spazio e credibilità alla cura a base di sangue di cervo cui si starebbe sottoponendo lo Zar? 

È l’effetto Cannes: come il Presidente Zelensky è stato costretto a citare Charlie Chaplin per distogliere l’attenzione globale dallo smacco per la resa del battaglione Azov, così Mario Draghi millanta atlantismo ma autorizza Eni a pagare in rubli e i media si concentrano sul nulla, al limite del gossip – tramutando quotidiane affermazioni di sconosciuti generali russi in sentenze di condanna storica degna di Rommell o MacArthur – pur di non dover ammettere con i lettori non tanto le cantonate in cui sono incorsi, ma il clamoroso strabismo di parte che ha caratterizzato il loro lavoro di informazione fin dall’inizio. La narrazione sta scalzando la narrativa, la realtà da raccontare gonfia il petto di fronte allo storytelling da propagandare. 

Attenzione, però. Il passo successivo è quello del cameriere che arriva al tavolo con il conto da saldare. E un’idea di preventivo del costo che andremo a pagare potrebbero indirettamente fornircela oggi tono e contenuto dell’informativa di Mario Draghi. Forse per questo, il Cavaliere ha deciso che era giunto il momento di attivare la Farnesina di Arcore. 

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