Sparito. Come certe multiproprietà a Courmayeur negli anni Novanta, rapidissime nel palesarsi come occasione del secolo. E altrettanto nel mostrare il loro vero volto. Inesistenti. Se non nella voce beffarda della segreteria telefonica di una falsa agenzia.
Dopo giorni in cui l’emissione del nuovo Btp Italia pareva l’unica notizia economica al mondo, fra quotidiani e siti trasformati in prospetti informativi, la fine della tre giorni di collocamento è terminata nell’anonimato mediatico. Ma in quanto a risultato, il Tesoro ha ottenuto ciò che perseguiva: un pieno di clientela retail. Sui 9,9 miliardi di debito collocato, 7,27 sono andati ai piccoli investitori. Più dei 9,4 della prima asta 2022, ma meno dei quasi 12 della seconda. Anni luce lontano, poi, dal record di 22 miliardi del collocamento del maggio 2020.
Insomma, il signor Rossi si è fidato. Il signor Rossi teme l’inflazione. Il signor Rossi ha imparato che il denaro non si tiene sul conto corrente. Gli investitori istituzionali, invece, no. Hanno scelto l’opzione Axa. Nella quarta giornata di asta, quella a loro dedicata, minimo sindacale. D’altronde, il patto non scritto con il Tesoro era quello: stavolta, la “carta” se la prende il signor Rossi. Noi garantiamo una campagna pubblicitaria degna dei panettoni a Natale, stante i buoni uffici con il mondo dell’informazione.
Il Tesoro ha accettato il do ut des. Terminata l’operazione, il Btp Italia è sparito dalle cronache. Nemmeno un po’ di feste per quei 9,9 miliardi. O per la cedola al 2%. Forse perché di trionfale c’è poco? In compenso, il signor Rossi è precipitato in una spirale da “signorina Silvani”: totalmente irretito da quell’offerta a cui non si poteva dire di no. E se il 56% dei sottoscrittori si è recato in filiale contro il 44% che ha operato attraverso l’internet banking, è il taglio medio dei contratti la vera notizia: il minimo storico assoluto mai registrato in un’emissione di Btp Italia, solo 26.161 euro. E i dati ufficiosi di tracciamento di dealers e co-dealers ci dicono che il piccolo investitore ha rappresentato il 74% della partecipazione nella fase di collocamento dei primi tre giorni contro il 26% del private banking.
Il Governo Meloni ha ottenuto il risultato che voleva, trasformare gli italiani in giapponesi. O, quantomeno, cominciare a farlo. Anche quelli piccoli piccoli, a livello di risparmi e reddito. Perché la modalità da tsunami che ha presentato la comunicazione mediatica di questa emissione ci dicono che la sua vera natura, oltre che emergenziale in attesa dei 16 miliardi in arrivo dal Pnrr in maggio, era di stress test. Non tanto rispetto alla credibilità dello Stato o alla bontà dell’offerta, quanto alla capacità di convincere i cittadini a investire nel debito del loro Paese. D’altronde, se lo ha fatto la Bce per un decennio, chi è il signor Rossi per sottrarsi a questo apparentemente ben remunerato atto di patriottismo? Non è stato un successo, in realtà. Ma un bell’esperimento di marketing, quello sì.
Ma non basta. Sempre nel silenzio generale e mentre gli investitori istituzionali acquistavano il minimo sindacale, il titolo di Mps raggiungeva quello che potremmo definire AXA put. Ovvero, il prezzo a cui il colosso assicurativo francese non più tardi della scorsa settimana ha liquidato la sua intera partecipazione in Rocca Salimbeni. Ovviamente, Oltralpe sono fessi e hanno preso una colossale cantonata. Acquistato a 2 euro lo scorso ottobre, svenduto a 2,33 nemmeno un semestre dopo. Nonostante i roboanti annunci di risanamento che giungono da Siena, prepensionamenti e licenziamenti di Stato in testa. Sicuramente se ne pentiranno amaramente. Forse se ne stanno già pentendo. Eppure, il fatto che un colosso di quel genere decida – nel pieno di un bailamme socio-politico senza precedenti per il blitz del Governo sulla riforma della pensioni – che sia più saggio scaricare tutto e farlo per primi, magari dovrebbe suggerire quale riflessione. Perché se da un lato banche e assicurazioni francesi prima del Covid sedevano su oltre 275 miliardi di titoli di Stato italiani, di fatto garantendo un cuscinetto a dir poco benedetto ed esiziale al Tesoro, è più che probabile che il Qe pandemico abbia garantito loro un deleverage silenzioso e senza scossoni. Né a livello di prezzo per chi vende, né a livello di percezione dello spread per chi è venduto.
Inutile prendersi in giro: Mps, stante la sua natura nazionalizzata di capitale e sclerotizzata di accountability, è un proxy azionario del reale premio di rischio sovrano del nostro Paese. Quasi la cartina di tornasole delle criticità legate al doom loop domestico in vista del potenziale Qt della Bce e di nuovi rialzi dei tassi. Gli stessi che il ministro Giorgetti ha dovuto ammettere come già oggi stiano creando seri problemi di bilancio al Mef. Mentre a Roma, qualcuno ancora crede alla possibilità di un ampliamento addirittura del reinvestimento titoli in detenzione a Francoforte. Ma tranquilli, Oltralpe sono fessi. E hanno preso la cantonata del secolo. Al Monginevro come a Ventimiglia, si sente nitidamente il rumore di masticazione delle dita.
AXA put come il Policy error di Jean-Claude Trichet, destinato ai libri di storia economica moderna? C’è da sperarlo. Ma chi visse sperando, decisamente non fa una fine gloriosa. Ora poi che la Fed ha ottenuto l’incidente controllato che cercava con epicentro una misconosciuta banca dalla Silicon Valley, si comincia davvero a ballare. I grandi players, forti di accantonamenti record che qualcuno guardava con malcelata arroganza, reggeranno l’urto. Altri, no. Da oggi in poi, la navigazione si fa davvero perigliosa. E a vista. Pochi giorni e la Bce potrebbe attivare il detonatore. Dopodiché, ognuno farà i conti con le previsioni fatte finora. Ma tranquilli, nessuno chiederà scusa. Questo è il Paese in cui contano cognomi e titoli, certamente non i contenuti.
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