Come da prassi, la Bce ha messo in campo il compitino. Un taglio dei tassi di 25 punti base totalmente inutile. Certo, il sistema bancario respirerà un pochino. Ma se davvero qualcuno crede che l’economia reale necessiti di sostegno, quanto deciso equivale a un tè caldo per curare la polmonite. Perché la Bce nasconde bene le notizie che contano. Le inzeppa dentro comunicati stampa pieni di cifre, in modo tale da mandare in confusione il lettore. Ma alla fine, occorre ammettere la realtà.



Quando tagli le stime di crescita dell’Eurozona per ogni singolo anno fino al 2026, come accaduto ieri, la tua retorica della recessione che non si pone nemmeno come lontana ipotesi, cade. Miseramente. E restano i cocci. Ad esempio, l’ammissione di un colpo di coda al rialzo dell’inflazione nell’ultimo trimestre di quest’anno. Perché allora tagliare i tassi? Se la tua bussola è la data dependency e i tuoi analisti si dicono certi di una fiammata dei prezzi, qual è il senso pratico e logico di 25 punti base di intervento al ribasso? Nessuno. Esattamente ciò che vi dicevo all’inizio dell’articolo. Si vive di propaganda e di cortine fumogene. Di giochi d’ombra. Ma, in realtà, tutto appare molto più chiaro, semplice e consequenziale di quanto non si voglia ammettere.



Il problema sta nella retorica utilizzata finora. Contraddirla del tutto, en plein air, certamente non conviene. Quindi occorre somministrare la realtà a piccole dosi. Cominciando ad esempio dalla revisione al ribasso di tre anni di Pil. Ma appunto, evitate cervellotiche letture dell’accaduto. Occorre solo avere pazienza. E comportarsi come in metropolitana: reggersi agli appositi sostegni. Sperando però che i parabordi reggano e qualcuno non abbia basato i propri calcoli nautico-finanziari sulla Bayesian.

Per capire quanto (non) deciso di Francoforte, occorre ancora una volta operare a specchio, come i soldati statunitensi e cubani dietro la rete divisoria di Guantanamo. E guardare agli Usa e alla Fed. Al padrone del vapore. Dopo il netto rallentamento del dato di giugno, ecco che il tasso di crescita del credito al consumo Usa in luglio ha segnato un aumento di oltre 25 miliardi di dollari. Il sobrio totale della voce che conta per il 70% del Pil ora è 5,093 trilioni di dollari. E cosa rende questo dato particolarmente e paradossalmente benaugurante? Tre fatti.



Primo, è giunto in contemporanea con un regime di tassi di interesse su carte di credito che negli Usa ha appena toccato il nuovo record del 22,76%. Praticamente, ogni volta che strisci garantisci la nuda proprietà di un tuo organo vitale. Ma nonostante questo, stante dinamiche salariali cresciute soltanto nelle statistiche manipolate del Bureau of Labor Statistics, l’americano medio deve obbligatoriamente spendere attraverso la carta di credito. Per guadagnare tempo. Non a caso, oggi il debito totale legato a quello strumento di dilazione della spesa è al massimo storico.

Secondo, sempre in contemporanea la percentuale di risparmio in eccesso sul reddito disponibile ha sfondato al ribasso un altro primato, fermandosi al 2,9%. Range da fallimento Lehman. E, soprattutto, in solo un anno quella voce è passata dal 5% al 2,9%. Come dire, tutta la stimmie money dei sostegni da pandemia è terminata. O, quantomeno, ora sta raschiando il fondo. Guardate questo grafico, dato che le sintesi per immagine sono molto più efficaci che le parole. O le cifre messe in fila stile comunicato Bce.

Terzo, negli Stati Uniti siamo in piena logica da last hurrah, un classicissimo del consumismo indotto. Come il cibo nella gola delle oche da foie gras. Quando Mr. Smith capisce che ormai siamo alla resa dei conti rispetto al regime finanziario, decide che si vive una volta sola. E spende. Ovviamente, rimandando il redde rationem finale al 15 del mese dopo. E il Sistema non solo lo sa. Ma lo spinge a fare così. Perché quest’altro grafico mostra come, alla luce di una precisione temporale degna del cronografo svizzero al polso di un capostazione giapponese, la messe di merci rimasta nei magazzini dei vari bazar a cielo aperto d’Occidente a causa di inflazione in aumento e potere d’acquisto schiantato, ora è in reverse. E si trasforma in liquidation. Ovvero, quando so che la gran parte della Main Street è ormai alla canna del gas, parto con le svendite e i sottocosto. A quel punto, il last hurrah diviene automatico come la salivazione del cane di Pavlov.

Direte voi, perché festeggiare? Perché tranquillizzarsi e affidarsi a pazienza e presa ben salda dei sostegni? Semplice. Che sia per mezzo di tagli record dei tassi o attivazione di facilities più o meno rispondenti a reali emergenze, una nuova ondata di sostegni e sussidi sta per arrivare. E non perché il sistema sia buono. Bensì perché altrimenti grippa. E il giochino si inceppa. Per tutti. Quindi, tavola imbandita per equities e utili bancari. E briciole che cadono dal tavolo per tutti gli altri, pronti a scannarsi. Proprio come all’apertura dei saldi di Walmart. E quando tutto questo avviene a due mesi dal voto presidenziale Usa, state certi che i fuochi d’artificio non mancheranno.

Capito perché la Bce teme un ritorno dell’inflazione verso fine anno? Semplice, perché da qui a novembre i consumi negli Usa saranno spinti dalle liquidazioni di scorte e voleranno alle stelle. Con grande gioia dei taroccatori statistici del Pil, ma anche con ovvi ricaschi sulle dinamiche reali dei prezzi che già incorporano gli aumenti da fine delle scorte in eccesso. Oltre al classico effetto doping delle festività natalizie. Unite a questo quadro la deflazione record che la Cina sta esportando con il badile, forte del suo impulso creditizio in fase rigonfiamento dello tsunami che tutti attendono come la pioggia manzoniana per inizio 2025.

La Bce non decide nulla. La Bce si limita a giocare di rimessa rispetto alle politiche altrui. Butta la palla in tribuna. Perché tagliare di 25 punti base in un contesto come quello appena delineato, equivale ad ammettere la propria residuale impotenza. Il rischio? Semplice: ognuno a livello di Stati membri comincerà a sostenere la propria economia attraverso mezzi propri. Un regime da Covid strutturale fra aiuti di Stato e sostegni più o meno diretti a famiglie e imprese. Per sopravvivere all’inverno. La Germania sta già facendolo. La Francia punta a un Governo il più esotico possibile proprio per poterlo fare, almeno fino a quando a Bruxelles non si saranno prese le misure al nuovo Esecutivo. E si saranno scongiurate proteste di massa. E l’Italia? L’Italia non può. I conti non lo consentono. La Premier è stata chiara: la stagione degli aiuti e dei bonus è finita. Ma non per scelta. Per imposizione eterodiretta. Il Mef lo sa. Non a caso, Giancarlo Giorgetti opera ormai in versione mietitrice. Falce in mano e cappuccio calato sul capo.

Ma se volete festeggiare il taglio dei tassi, fate pure. Tanto la vostra banca vi caricherà lo spread sotto altra voce, state certi.

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