Anche nel gennaio 2023 si gridò al record, quando le emissioni obbligazionarie di Ue e Gran Bretagna toccarono quota 240 miliardi. In quel caso, l’annuncio fu in data 24, quando venne superato il primato precedente che risaliva al 2020. Oggi quei 240 miliardi sono stati ridicolizzati da rotondi 293 miliardi di controvalore in bond addirittura il giorno prima, il 23 gennaio. Il problema? I tassi di mercato cui si stanno emettendo quei pezzi di carta. Lievemente differenti. E, soprattutto, il proxy che questa dinamica ci sembra offrire. Anzi, l’omen.



Se infatti tutti prezzano una Fed che entro maggio taglierà i tassi e una Bce che, stando alle parole della stessa Christine Lagarde a Davos, potrebbe seguirla in estate, cos’è questa fretta di finanziarsi a costi elevati rispetto a quanto si potrebbe pagare fra 6 mesi o forse meno? Forse i Governi hanno fretta di incamerare? O forse molte aziende hanno necessità di cash-flow per tirare letteralmente avanti? Ma allora significa che da qui all’estate qualcuno prezza qualcosa. E non esattamente di positivo. Sarà per questo che si spinge sulle privatizzazioni, visto che non è il caso di mettere sul mercato società quotate nel pieno di tremori borsistici?



Nessuno pare voler ammettere la realtà. Il Governo Meloni fa ciò che è obbligato a fare. Cercare 20 miliardi in 3 anni dalle partecipate, ora anche Poste è entrata ufficialmente nel novero. Giocoforza incurante del buco da mancati dividendi che questo comporterà e del fatto che quanto incassato non diverrà spesa corrente. Ovvero, Eni non finanzierà le pensioni. Solo la riduzione del debito. E quei 20 miliardi serviranno, ammesso che vengano trovati, solo per passare dal 140% al 139% di rapporto debito/Pil.

Ora tornate indietro con la mente e ricordatevi cosa stava scritto nel nuovo Patto di stabilità, quello concordato a tempo di record e accettato alla chetichella dal Governo, salvo sparire dai media. Ovvero, dopo il 2026, 15-17 miliardi ogni anno solo per questa finalità strutturale imposta dall’Europa. Capito perché si corre a emettere il più possibile, nonostante i tassi? Perché da qui a poco, il mercato incorporerà nei premi di rischio una variabile nuova. La realtà. Non ci credete? Bene, date un’occhiata a questi due grafici.



Il primo ci mostra come il Leading Economic Index (Lei) statunitense abbia segnato il 21° mese di fila di contrazione. Peggiore striscia negativa consecutiva dal 2008. E a un solo mese di distanza dal raggiungimento del filotto horribilis di inizio anni Settanta. Ma la narrativa, da trimestri, parla di soft landing. E i dati manipolati dalle revisioni di un Pil reale sempre esuberante, ancorché gonfiato di volta in volta da voci totalmente una tantum o distorsive a livello di deficit. Il secondo grafico ci mostra come l’indice manifatturiero Philly Fed oggi sia peggiore di quello raggiunto durante precedenti cicli di recessione. Ufficiali e conclamati.

La realtà sta arrivando, signori. E temo che non si pulirà le scarpe sullo zerbino. E in un caos in ebollizione simile, ecco che questo grafico ci mostra quale sia lo stato dell’arte in Europa rispetto alle scelte monetarie della Bce che scopriremo oggi.

E attenzione, qui non parliamo di sondaggi al bar. Questo patchwork impazzito è un sunto grafico delle previsioni degli economisti. Ovvero, gli esperti. Il caos totale. Non male come prospettiva, stante una Germania in recessione e una Francia che non deve stare benissimo, visto l’appello da libro Cuore di Emmanuel Macron a Davos in favore degli Eurobond. Guarda caso, ecco che dal nulla salta fuori il solito Valdis Dombrovskis, falco a targhe alterne. L’Italia non è in linea con le raccomandazioni dell’Ue, la minaccia riguardo la Manovra del Governo Meloni. Salvo poi essere smentito dalla medesima Commissione. Ma quando comincia il gioco del poliziotto buono e cattivo, solitamente è perché tira brutta aria.

Tira brutta aria. Aria da 1992. E in un contesto simile, ecco il jolly. Sempre in data 23 gennaio, quella delle emissioni di bond sulla Luna. Probabilmente, l’approdo in tribunale della sussidiaria tedesca della giubilata Signa, il conglomerato immobiliare austriaco finito a zampe all’aria, non era sufficiente. Probabilmente, nemmeno l’esposizione bancaria nei confronti della stessa, finora occultata meglio di quanto non sia riuscito alla svizzera Julius Bear. Ecco, quindi, scomodare il jolly, appunto. Perché per quanto uscita dall’Ue, la Gran Bretagna è in grado di rientrarci. E senza chiedere permesso. Anzi, abbattendo la porta.

Martedì la Court of Appeal londinese ha infatti dato ragione ai creditori del colosso tedesco del real estate, Adler Group SA, bloccando di fatto il processo di ristrutturazione del debito da 6 miliardi che vedeva contrari detentori a lungo termine come Dws Group e Strategic Value Partners. Una potenziale sentenza di morte sul futuro del gruppo. Il quale non solo ora rischia di vedere compromessa la propria abilità nel vendere assets in maniera ordinaria, al fine di tenere a galla i conti e pagare i creditori. Ma soprattutto, a fronte di questa spada di Damocle, i potenziali cavalieri bianchi rischiano di essere dissuasi dal farsi avanti. O, al contrario, incentivati a presentarsi al tavolo delle trattative con il proverbiale tozzo di pane.

Certo, il fatto che martedì il titolo a Francoforte sia precipitato del 30%, salvo poi limitare il calo al 9,34% sembra lasciare aperto qualche spiraglio di mediazione. Ma resta il segnale, chiarissimo. Senza bisogno di scomodare complotti, il timing della decisione londinese arriva in un momento decisamente delicato per la Germania. Economicamente, politicamente e socialmente. Di fatto in recessione e con un Esecutivo mai così debole e inviso all’elettorato. Ma, soprattutto, alla vigilia di una stagione di contrapposizione da anni Settanta, stante le mobilitazioni contro Alternative fur Deutschland che rischiano di avvelenare pesantemente il clima da qui alle Europee. Un salvagente ideologico per il Governo Scholz, un regalo tanto insperato quanto anch’esso sospetto nelle tempistiche. Oltretutto in grado di scalzare e oscurare del tutto le proteste di agricoltori e camionisti.

C’è un problema, però. La Germania è in piena fase di sgonfiamento della bolla immobiliare, visto che fra luglio e settembre del 2023 i prezzi degli immobili sono calati del 10,2% su base annua. E il quarto trimestre ha visto aggravare e velocizzare la dinamica. Il tutto dopo un aumento dei prezzi messo sotto steroidi della politica di tassi a zero della Bce che dal 2005 a oggi ha visto un aumento dei prezzi del 74,8%. E questi due grafici ci mostrano quale fosse il livello di sprofondo del settore nell’agosto scorso (dati Eurostat).

Fra cancellazioni di progetti, crollo delle richieste di permessi e mancanza di ordini, tutto preannunciava la tempesta perfetta. Londra ha attivato il detonatore? Stante banche tedesche sovra-esposte ma senza clamori, l’affaire Mes ci mostra il suo vero volto? Tutt’intorno, una Bce che – a detta degli esperti, degli economisti che dovrebbero offrire spunti e direzioni – non sa cosa fare. O, quantomeno, offre questa impressione ai mercati.

Incapacità? No. Furbizia. Irresponsabile furbizia. Perché è inutile negarlo: la crisi tedesca e le elezioni europee avranno bisogno di armi non convenzionali per evitare epiloghi sgraditi ai soliti noti. Quindi, una Bce che lasci aperta la porta della percezione al policy error può operare da variabile impazzita. In caso, ad esempio, la mozione di sfiducia verso l’Esecutivo Scholz ampli il suo schieramento di sostenitori dagli impresentabili agricoltori e camionisti alle grisaglie della Confindustria tedesca. A febbraio, poi, niente Consiglio. La prossima riunione Bce si terrà a inizio marzo.

Attenzione, la danza sul lago ghiacciato è cominciata. E se in trasparenza non si vede dove la lastra è più sottile, l’approssimarsi di temperature più miti aumenta i rischi.

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