Novantasei ore di trattativa serrata. E meno di 24 per dimostrare che tutte le perplessità messe in campo dai cosiddetti Paesi frugali erano sacrosante. E che l’Italia e la sua classe politica non cambieranno mai. Una Repubblica fondata sulla furbizia, il sotterfugio e il piagnisteo. Stavolta, però, il Covid ha fatto saltare il banco. E il game over, grazie al cielo, sta arrivando. Nemmeno il tempo di consumare il rito stantio delle comunicazioni alle Camere che, a detta di tutti e con la conferma unanime dei mezzi d’informazione, è partito l’assalto alla diligenza dei fondi Ue, ovviamente in base a una sorta di spoil system da orticello elettorale da coltivare e da assistenzialismo stile Lauro 2.0. Siamo al delirio: un giorno dalla firma dell’accordo del secolo, con le polemiche fra Roma e L’Aja ancora calde e già si litiga fra attribuzione diretta delle risorse a palazzo Chigi, creazione della task-force di tutte le task-forces e addirittura Bicamerale. E abbiamo il coraggio di prendercela con Mark Rutte perché non si fida di noi? Davvero?



E poi, cosa vi avevo detto riguardo al fatto che il Mes sarebbe stato comunque attivato, al netto della retorica da Capitan Fracassa del primo ministro e della sua corte dei miracoli? E qui non stiamo più parlando delle pressioni del Pd e di Italia Viva, è stato direttamente il commissario Ue ed ex primo ministro, Paolo Gentiloni, a dire chiaro e tondo ciò che è noto a tutti da tempo, al netto della malafede. Ovvero, i soldi del Recovery Fund, a livello di esigenze di cassa immediate, hanno la stessa concretezza di quelli del Monopoli. Quindi, fate il favore di prendere al volo i 37 miliardi del Fondo salva-Stati, prima che salti il banco dei conti pubblici. E in perfetta contemporanea, ecco il ministro dell’Economia italiano ammettere ciò che il sottoscritto vi dice da almeno un mese e mezzo: cioè che le casse sono vuote. E che, quindi, c’è il forte rischio implicito di dover rinviare i pagamenti di stipendi pubblici e pensioni il prossimo autunno, quando il ricasco sull’economia reale dei mesi di lockdown diventerà addirittura feroce.



Perché signori, prima o poi il blocco dei licenziamenti andrà rimosso, pena una catena senza precedenti di default aziendali schiacciati di costi insostenibili a fronte di domanda produttiva ancora insufficiente.

Rischio di tensioni sulla cassa, questa la formula usata dal titolare del Mef per giustificare la sua richiesta di immediato accesso al Mes. Peccato che il medesimo ministro abbia dichiarato poco prima che grazie all’ennesimo scostamento di bilancio appena approvato dal Consiglio dei ministri si potranno abbassare le tasse rinviate a settembre. Ovvero, il Titanic sta affondando, ma il vice-capitano rassicura tutti sul fatto che l’argenteria elettorale sarà lucidata a dovere. In un Paese civile e normale, il dottor Gualtieri sarebbe accompagnato alla porta del ministero immediatamente. E senza nemmeno i ringraziamenti di rito, una bella scatola di cartone stile Lehman Brothers per le fotografie e via. D’altronde, quando al ministero più importante metti uno storico e non un economista, probabilmente sai già quale sarà l’epilogo. E chi faceva notare come lo stesso Gualtieri potesse godere di appoggi, amicizie ed entrature importanti in sede europea, tali da giustificare il suo approdo in via XX Settembre, ha trovato risposta concreta nel paradosso appena sostanziatosi.



Cari lettori, guardiamo in faccia la realtà: talmente abbiamo spezzato le reni all’Olanda che loro si sono garantiti un rebate immediato e più robusto sui contributi e noi, com’era ovvio a chiunque capisca una virgola di economia, dovremo non solo sottostare alle condizionalità inserite ad hoc nel Recovery Fund ma anche accedere comunque – e per primi – al Mes. Un vero capolavoro, un trionfo di strategia. Rommel, Sun-Tzu e Von Clausewitz si stanno simbolicamente levando il cappello di fronte a cotanto risultato, degno per astuzia del trucco usato dal direttore d’orchestra di Fantozzi per anticipare l’arrivo della mezzanotte e andare a suonare a un altro veglione di Capodanno.

Capite da soli che l’Europa fa bene a non fidarsi di noi, vero? Poi, per carità, in pubblico potete anche continuare ad ammantare tesi patriottarde e posture da orgoglio nazionale, potete continuare a maledire l’euro e la Bundesbank, evocare l’Italexit e i bond perpetui come luminose via d’uscita dalle tenebre della schiavitù europeista. Qualcuno, forse posseduto da un impeto di umorismo involontario, addirittura comincia a rievocare il fantasma dell’austerity: ma quale austerity? Signori, abbiamo appena dato vita a un ennesimo scostamento di bilancio da 25 miliardi. Siamo già a 100 miliardi di sforamento in totale dall’inizio della crisi Covid e per quest’anno la ratio sul debito è prevista all’11,9%: i parametri europei impongono il 3%, se ce lo fossimo scordati. Senza dimenticare un rapporto debito/Pil già oggi in area 160%, ma, temo, destinato a peggiorare ulteriormente, a fronte di una crescita prevista al -11%. Quale sarebbe l’austerity in arrivo, forse quella benedetta che ci obbligherà finalmente a comportarci da Paese normale rispetto ai conti pubblici? Forse quella che eviterà distorsioni inutili e controproducenti come Quota 100? O quella che cancellerà del tutto abomini come il reddito di cittadinanza e il sussidio – quello sì a fondo perduto – a migliaia di navigator, pagati nonostante siano totalmente nullafacenti o impegnati in secondi lavoro in nero, il tutto fa ben prima del lockdown e dell’avvento dell’era godereccia dello smart working?

La finiamo di piagnucolare, per favore e guardiamo in faccia la realtà? Anche perché, cari lettori, altrimenti sarà la realtà a venire a cercarci. E in fretta. Con la progressiva riapertura del mercato dopo le restrizioni imposte per prevenire la diffusione del Covid-19, i dati previsionali Pmi diffusi ieri indicano che l’attività economica dell’eurozona è aumentata per la prima volta da febbraio, registrando il maggiore rialzo in poco più di due anni. A luglio l’indice PMI composito, elaborato dall’istituto IHS Markit nella lettura preliminare, si è attestato a 54,8 punti, segnando un nuovo scostamento rispetto ai minimi storici di aprile di 13,6 punti e aumentando dai 48,5 di giugno: inoltre, sono state battute le attese generali del consusus che vedevano la lettura in area 51,4. Sia il settore manifatturiero che terziario sono tornati in territorio di espansione, segnando rispettivamente i valori più alti in 23 e 25 mesi, con i servizi che hanno tra l’altro indicato l’impennata più forte. Nel dettaglio, l’indice Pmi manifatturiero è salito da 47,4 a 51,1 punti, mentre quello servizi è passato da 48,3 a 55,1 punti. Le aspettative future sono migliorate e allo stesso tempo si è avuto un rialzo del flusso dei nuovi ordinativi e un rallentamento dei tagli occupazionali, sebbene la perdita di posti di lavoro continui a essere ampiamente diffusa a causa dei numerosi ridimensionamenti aziendali in atto.

Analizzando i dati dei singoli Paesi, le aziende francesi hanno guidato la ripresa riportando un’espansione della produzione per il secondo mese consecutivo e segnando il più rapido tasso di crescita da gennaio 2018. Sia il manifatturiero che il terziario hanno indicato i migliori ritmi di crescita in due anni e mezzo. In Germania, la produzione è aumentata per la prima volta da febbraio, crescendo a un ritmo mai visto in quasi due anni. E noi, invece? Tutta colpa della Germania, dell’euro, del surplus commerciale, del dumping fiscale olandese? O forse di sindacati che non capiscono il momento in cui stiamo vivendo e remano per far schiantare del tutto il Paese, ad esempio? O di un Governo talmente disperato da dover imbellettare la realtà del Mes come salvagente obbligato da attivare per sopravvivere, arrivando al vergognoso paradosso populista ed elettoralistico di promettere abbassamenti delle tasse attraverso l’ennesimo scostamento di bilancio?

Altrove, come avete letto, le aziende stanno dolorosamente rioganizzandosi a livello interno e di organigramma, in modo da farsi trovare pronte al rimbalzo garantito anche dalle risorse europee. Qui no, qui per puro spirito da campagna elettorale perenne continuiamo a bloccare i licenziamenti, in modo tale che in autunno – quando gli altri Paesi membri saranno in piena accelerazione – noi vivremo un vero ingorgo da emergenza occupazionale e sociale, la via maestra verso il caos. E se i soldi dello scostamento venissero usati per rendere meno drammatico l’inevitabile processo di ristrutturazione aziendale che attende il nostro sistema produttivo, invece di dar vita al solito abbassamento una tantum del balzello di turno? Signori, è game over. Per un semplice fatto: con un dato PMI simile, ancora due mesi di trend positivo e la Bce rallenterà pesantemente tutti i programmi di acquisto. Giocoforza. A quel punto, il mega-paracadute che finora ha evitato lo schianto a terra del nostro Paese, attraverso la compressione artificiale della voce-idrovora degli interessi sul debito, rischia di tramutarsi un un ombrellino da cocktail. Ma se volete, continuate pure a prendervela con l’Olanda e con l’austerity. È la via più semplice, d’altronde. E quella che garantisce maggiore visibilità mediatica e numero di like.

Realtà e serietà in questo Paese, d’altronde, sono come il paradiso di Warren Beatty: possono attendere.