Per quanto mi riguarda, le regole del baseball rappresentano il corrispettivo in ambito sportivo del quarto segreto di Fatima. Ma come tutti, grazie a film e telefilm americani, conosco quella aurea: se il battitore non riesce a colpire la palla del lanciatore per tre volte, è fuori. Strike 1, 2 e 3. Dopodiché, strikeout. L’arbitro mostra il pugno in avanti come fosse una mossa di karate. Game over. Oggi il ministro Giorgetti è l’arbitro dell’Italia. E ha appena segnalato uno strike 2. Il primo è stato lo stop drastico sul superbonus, un atto d’imperio con ben pochi precedenti a livello di decisionismo. Oltretutto, alla luce di controvalori record per un settore dell’economia ad alto tasso di moltiplicatore di Pil e di consensi. Ma i conti stavano saltando per quel 110%, da un giorno con l’altro stop. Ora il parere tecnico favorevole sul Mes rappresenta lo strike numero 2, poiché al netto di tutto contiene un paio di elementi qualificanti.



Primo, rompe il tabù: il Mes fa bene ai Btp. Tradotto: per tre anni abbiamo beneficiato di una Bce che drenava ogni emissione, garantendoci rifinanziamento a costo zero. E nonostante quello, il nostro spread incorporava una base di premio di rischio che non ha mai consentito di scendere stabilmente in doppia cifra. Oggi con oltre 400 miliardi di emissioni lorde, se non ratifichiamo il Mes salta il banco dei costi e degli interessi. Secondo elemento: il Governo non pensi di utilizzare davvero la strategia dilatoria e ricattatoria con l’Ue, mostrando la ratifica del Mes come merce di scambio per un Patto di stabilità meno rigorista. Senza l’ok del Parlamento italiano, il Mes nuova versione salta. E con esso l’assicurazione implicita di una variabile Spagna ampliata a dismisura negli ammontare a disposizione, in caso di crisi bancaria. Se questo avviene, i nostri Btp diventano target legittimi. Il 2011 dovrebbe averci insegnato le regole del gioco. Quel parere del Mef è servito da sveglia, da promemoria, da post-it sul frigorifero. Ma un post di due metri quadri. Perché il tempo stringe. E infatti, caos in Commissione e rinvio di ogni pratica alla data del 30 giugno, quando dovrebbe andare in Aula la mozione Pd favorevole alla ratifica. Il Governo in questo modo intende prendere tempo per trattare con l’Ue.



Il ministro Giorgetti ha ricordato a tutti come sia già oggi l’Ue a ricattarci, stante quella terza tranche del Pnrr in arrivo ormai da sei mesi. E attenzione: il 30 giugno è la deadline per il blocco dei riscatti di Eurovita, il tutto alla luce di un accordo sulla newco dei cinque cavalieri bianchi ancora da ratificare. Al Mef hanno altro e di più urgente a cui pensare. E questo dovrebbe bastare per capire la gravità della situazione. Due giorni prima, il 28, quasi mezzo trilione in prestiti pandemici Tltro da restituire alla Bce: nemmeno a dirlo, le nostre banche e quelle greche patiranno l’emorragia peggiore. Insomma, attenzione: lo strike 3 non è distante. Certamente non quanto le elezioni europee.



Tutt’intorno, infatti, un diluvio di rialzi. La Bank of England stupisce tutti con 50 punti base di aumento dei tassi, esattamente come la Norvegia. Mentre la Svizzera si limita a 25 punti base. Di fatto, un consolidamento del trend globale. Addirittura la neo governatrice della Banca centrale turca, ex Goldman Sachs, porta il costo del denaro al 15% con un balzo di 650 punti base in un solo colpo nella speranza di frenare un’inflazione nominalmente al 40%. Tradotto, recessione garantita. Ma non una recessione qualsiasi, una signora recessione. Perché se fosse servita un’altra conferma, ecco che gli indici PMI manifatturiero e dei servizi pubblicati ieri mattina paiono parlare una linea univoca: a giugno, l’attività economica europea ha rallentato. Molto. Il primo è sceso a 43.6 contro le attese di 44.8 trainato in basso da una Germania sempre più in crisi, il secondo ha pagato il drastico e inatteso peggioramento del dato francese e si è attestato a 52.4 contro i 54.5 delle previsioni.

E qui la questione è tutta di interpretazione. Anzi, quasi di approccio. Esattamente come in Margin call, poiché al cauto ottimismo dell’analista che parla di una musica che sta rallentando, il boss contrapponeva la certezza che la musica si è fermata e ormai si sente solo silenzio. E come nel film, la base di tutto sta nel capire non quale andamento e volume presenti il ritmo odierno. Bensì quello che balleremo (o non balleremo) fra un mese o un trimestre o un anno. E nel caso degli indicatori macro, c’è poco da stare allegri. Questo primo grafico parla chiarissimo al riguardo: il Leading Economic Index (Lei) ci dice la correlazione attuale somiglia molto a quella del 1990, 2001, 2008 e 2020. Non esattamente annate da ricordare o incorniciare. A meno di non essere stati pesantemente short.

In compenso, questo secondo grafico ci riguarda. Molto. Più che il PMI manifatturiero pubblicato oggi, dovrebbe preoccuparci quanto accaduto ieri: inversione sulla curva 2-10 anni del Bund a -94 punti base, il massimo dal 1992. Altro annus horribilis, quantomeno per la Germania.

E perché questo ci riguarda direttamente, mentre lo scontro sul Mes pare assumere toni sempre più da conto alla rovescia non solo con l’Europa, ma anche all’interno dello stesso Governo? Primo, il Nord Italia è dipendente in maniera sostanziale dal ruolo di subfornitura e fabbricazione macchinari per l’industria e la manifattura teutonica. Tradotto, il tonfo attuale arriverà come uno tsunami a fine estate sugli ordinativi. In piena contrazione del credito. E con l’Emilia-Romagna azzoppata, quindi con una voce del Pil che verrà a mancare nel suo ruolo di traino. Secondo, ce lo mostra questa immagine finale: stando a un sondaggio Insa a livello nazionale e pubblicato due giorni fa, Alternative fur Deutschland è oggi seconda forza politica del Paese alla pari con l’Spd del Cancelliere in carica. E a soli 6,5 punti percentuali dall’Unione democratico-cristiana.

Qui non si parla di ex-Ddr, qui si parla dell’intera Repubblica federale. E se appare impossibile anche solo pensare a un’ipotesi di futuro governo nero-azzurro o nero-giallo-azzurro, un simile sentimento euroscettico e anti-politiche espansive e di sostegno verso i Paesi indebitati lascia poca speranza rispetto a un approccio morbido della Bundesbank in sede di trattative sul Patto di stabilità. Non a caso, Giorgia Meloni è corsa a Parigi. Ma un eventuale passo falso sul Mes, già dall’atteso approdo in aula della settimana prossima, potrebbe davvero creare danni. Seri

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