Permettetemi di farvi una domanda: come definite qualcuno che, appena evitato un enorme problema, decide scientemente di gettare tutto all’aria e aggravare ulteriormente la sua situazione di partenza? Non siate timidi, né troppo diplomatici: lo so cosa state pensate, è un imbecille. Ecco, quando da qui al prossimo bimestre andrete incontro a un salasso energetico ben peggiore di quello appena scontato con la bolletta di ottobre, fermatevi. Guardate in direzione Nord e avrete trovato la risposta alle vostre domande. Perché occorre ricorrere a quel termine o alla patologia psichiatrica per tentare di capire l’uno-due autolesionista posto in essere da Germania e Ue nella giornata di martedì, quando l’Agenzia federale per l’Energia tedesca ha bloccato temporaneamente le concessioni per Nord Stream 2, a causa di non meglio precisate questioni legali. E, contemporaneamente, l’Unione europea ha deciso a favore di un’estensione delle sanzioni contro la Bielorussia, nonostante il tentativo di mediazione dietro le quinte di Angela Merkel con Mosca e Minsk (difficilmente posto in essere su decisione personale e senza un mandato almeno informale).
Già, nel momento in cui Gazprom aveva finalmente rotto gli indugi e cominciato il trasporto di extra-flussi verso gli hub europei, al fine di riempirne le riserve che languivano (e continuano a languire) ai minimi dal 2013, il vuoto di potere ancora in atto a Berlino dopo il voto di settembre garantiva campo libero alle pressioni esterne verso i cosiddetti regolatori. Eterodirezione al suo meglio. Tutto fermo: di fatto, niente extra-flussi di Nord Stream 2 sicuramente per tutto l’inverno. Poi, a primavera 2022, se ne riparlerà. Autolesionismo allo stato puro. O, in alternativa, pistola alla tempia. Ovvero, qualcuno di molto potente e a cui non si può dire di no, ha deciso che era giunto il momento di stroncare sul nascere l’ennesimo approccio diplomatico di Angela Merkel verso la Russia e far saltare del tutto il banco delle relazioni – giù tesissime e ai minimi storici di fiducia reciproca – fra Bruxelles e il Cremlino.
Detto fatto, stante anche quanto dichiarato dallo stesso Vladimir Putin nelle scorse settimane rispetto alla strategicità della nuova pipeline e delle autorizzazioni ancora in attesa, aspettiamoci una risposta con i fiocchi. Di neve, vista la stagione. Geniale. Perché oltre al meteo che ormai volge verso l’inverno pieno e nell’arco di settimane vedrà sparire il clima relativamente mite di cui ancora godiamo, quanto deciso dall’Ente tedesco avrà immediate conseguenze sulle bollette di cittadini e imprese. Nella sola giornata di martedì, non appena resa nota la decisione, il prezzo dei futures sul gas europeo trattati ad Amsterdam ha segnato un +17% intraday, tornando in area 100 euro per kilowatt/ora (per l’esattezza, ha chiuso a 91 euro). Ma non basta. Questa cartina mostra plasticamente parte del tracciato della pipeline esistente fra Russia ed Europa, la Yamal-Europe che porta il gas di Gazprom principalmente all’hub tedesco di Mallnow.
Guardate la Bielorussia dove si trova: uno snodo di transito fondamentale. E non a caso, lo stesso Aleksandr Lukashenko giorni fa aveva minacciato il blocco delle forniture. E chi lo aveva bloccato dal suo intento? Vladimir Putin, il quale stava rifornendo l’Europa con extra-flussi proprio in attesa che si determinasse il do ut des tacito su Nord Stream 2: e adesso? E per favore, evitiamo banalità e falsi moralismi sull’utilizzo strumentale dei profughi da parte di Minsk, perché quella in atto non è affatto una guerra ibrida come denunciato dalla Polonia. È un ricatto geopolitico. Identico però a quello che la Turchia di Recep Erdogan sta ponendo in atto da almeno sette anni verso l’Europa e con risultati straordinari: se infatti Aleksandr Lukashenko viene definito gangster dall’Ue, il sultano del Bosforo per la medesima attività – ma su più ampia scala – viene definito dittatore utile e ricoperto di soldi, purché tenga sigillata la rotta balcanica.
Per quale motivo Bruxelles, quindi, avrebbe deciso di spararsi sul piede proprio ora e proprio in quel contesto, quando Ankara ormai ha contabilizzato ufficialmente la voce profughi nelle entrate statali? Con l’inflazione ai massimi dal 2012 e una bolletta energetica che eroderà potere d’acquisto alle famiglie e capacità di resilienza delle aziende sul mercato post-pandemico, l’Europa decide di sfidare doppiamente la sorte. Da un lato, tirando un vero e proprio schiaffo in faccia a un personaggio dallo scarso senso dell’umorismo come l’inquilino del Cremlino e nel momento stesso in cui aveva abbassato la guardia e aperto il rubinetto. E dall’altro, quasi invitando Aleksandr Lukashenko a bloccare il transito del normali flussi sulla pipeline vecchia, sostanziando di fatto il rischio di un blocco totale dell’import in pieno inverno. E una crisi energetica sistemica, stile 1973.
Qualcuno vuole che scoppi l’incidente in grande stile fra Ue e Russia, forse? E ripeto, quelle due decisioni sono state prese mentre l’ufficialmente pensionata Angela Merkel stava operando dietro le quinte come emissario dell’Europa verso Mosca e Minsk per arrivare a una trattativa che scongiurasse proprio il muro contro muro. Chi comanda davvero a Berlino, nel vuoto di potere elettorale? E, soprattutto, chi comanda realmente a Bruxelles e e in ossequio a quale agenda di interesse economici e geopolitici opera? Forse gli Usa stanno utilizzando l’Europa come sacrificabile cavallo di Troia per colpire il proxy cinese più forte, stante le chiare parole di Xi Jinping a Joe Biden sulla questione Taiwan?
Il tutto, chiaramente, in piena emergenza da quarta ondata e con i media che parlano unicamente di Covid, lockdown, terze dosi e pandemia dei non vaccinati. Lo scenario di destabilizzazione perfetto, quasi un set cinematografico. Dove andremo a prendere il gas, se la Russia decide di alzare i toni e chiudere i rubinetti? Dagli Usa via container sulle tratte dell’Oceano? E con quali costi accessori sulla bolletta, stante i colli di bottiglia che già stanno bloccando l’intero commercio globale? Ci scalderemo bruciando le cassette della frutta e i giornali vecchi, magari.
Molto romantico nella sua tragicità, quasi una versione geopolitica e 2.0 del Canto di Natale di Charles Dickens. Il quale, però, ha scritto anche A tale of two cities. Attenzione a capire troppo tardi come l’Europa, oggi, sia in effetti due continenti in uno. Quello dei cittadini e degli Stati, nucleo secondario e di derivazione, di fatto destinato a subire le decisioni del primo e originario. Quello delle lobbies e degli interessi eterodiretti, braccio politico di un atlantismo miope e deviato che a Bruxelles non a caso ha la sua sede. Anche fisica. E, soprattutto, un esercito inesauribile di servitori. E quinte colonne.
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