La prima settimana di giugno rischia di essere realmente spartiacque per l’Europa. Il 5-6 si riunisce il board della Bce, mentre nel weekend i cittadini dei Paesi membri si recheranno alle urne per il rinnovo dell’Europarlamento. Tutto in pochi giorni. Tutto in poche ore.
Ma qui si parla di economia, quindi ciò che conta si terrà a Francoforte. E partendo da questi presupposti: negli ultimi giorni, i grossi calibri del board hanno messo le ali ai mercati, di fatto ponendo la loro mano sul fuoco rispetto a un taglio dei tassi.
Insomma, la sera del 6 giugno saremo al 3,75% dal 4% attuale. Poi, ecco saltare fuori il contraltare. E non un contraltare da poco. Un pezzo da novanta. Isabel Schnabel, ex colomba tornata falco. Scuola Bundesbank. La quale non parla ai media europei. Bensì all’agenzia di stampa Nikkei. In Giappone. Molto simbolico. E se da un lato si mostra aperturista verso un primo taglio a giugno, pur sottolineando l’importanza dei prossimi dati sull’inflazione, eventuali altri interventi al ribasso per il 2024 vengono messi chiaramente in discussione. Poiché, la fase finale del processo di contrasto nella dinamica rialzista dei prezzi si sta mostrando più dura e lenta del previsto.
Come volevasi dimostrare, prima ancora che il voto politico ci consegni un’Europa in fazioni, ecco che comincia il gioco del poliziotto buono e cattivo. E la Germania getta secchiate di acqua gelata sugli entusiasmi espansivi.
Ma davvero serve un taglio dei tassi, adesso? Guardando le Borse europee, assolutamente no. Guardando allo stato di salute delle banche, potenzialmente sì. Guardando alla condizione dell’economia reale, senza dubbio. Ma con quali conseguenze? Altro denaro scadente che entra nel circolo vizioso di equities sopravvalutate e tenute in vita solamente da multipli totalmente sconnessi dai fondamentali? L’Europa macro non sta bene. Anzi. Ma da qui a richiamare la necessità di politiche espansive tout court, ce ne passa. Soprattutto in un quadro che vede ancora gli spread saldamente ancorati a livelli di totale tranquillità, proprio in virtù di almeno altri sei mesi di reinvestimento titoli garantito dalla Bce. Sarà quella la moneta di scambio? Se sì, ci andrei decisamente cauto nel richiedere a gran voce un taglio dei tassi. Oltretutto, se questo si presentasse sotto forma di una tantum, come Isabel Schnabel ha fatto chiaramente intendere. In quel caso, infatti, il danno potenziale di giocare front-run sulla Fed sarebbe decisamente più grande del minimo sindacale di liquidità che potrebbe defluire – rallentata e vincolata da condizioni creditizie ancora restrittive – verso l’economia reale.
Perché il problema è questo. Le condizioni finanziarie sono talmente ottimali da vedere il Dax continuare la sua marcia trionfale, a fronte di una produzione industriale tedesca che stenta a ripartire. Quali titoli pesano maggiormente sull’indice benchmark tedesco, forse quelli finanziari? Storicamente, gli industriali. Capite quindi che c’è dell’altro che muove le Borse: riacquisto di propri titoli, liquidità scadente ancora troppo abbondante nel circuito finanziario e al di fuori di quello dell’economia reale (credito/risparmio) e multipli che seguono soltanto logiche auto-alimentanti legate all’espansione della ratio sugli utili. Davvero un singolo, simbolico taglio dei tassi, servirebbe? O invierebbe un segnale devastante?
Chi prende ad esempio la Riksbank, la Banca centrale svedese, decisamente vive in un mondo tutto suo. Ciò che occorre fare è un punto su dove stia andando il sistema bancario europeo. Inutile forzare la mano a una Bce che già sbertuccia la Fed nell’operatività da prestatore di ultima istanza, quando è il meccanismo di trasmissione del credito a essere completamente congelato. Almeno nel nostro Paese. Provate a essere un piccolo-medio imprenditore che esce dall’inferno pluriennale della pandemia e andare in banca per ottenere un prestito o un fido. Andate da privato cittadino a chiedere un mutuo. Le condizioni precauzionali sono da piena recessione, da interbancario con i tassi a due cifre. Ma la realtà esterna è altra. L’Euribor non urla. Ufficialmente, la recessione nell’Ue è stata evitata. L’inflazione pare domabile, se non domata. Perché questo doppio binario, fra liquidità sovrabbondante verso i mercati finanziari e condizioni capestro verso l’economia reale? Forse perché il sistema bancario è sempre più dipendente dai trading desk, piuttosto che dagli sportelli. Non a caso, fioccano servizi di consulenza e investimento, si gioca di sponda strutturale con finanziarie per il credito al consumo che poi verrà cartolarizzato, si spinge per carte di credito e indebitamento. La banca è altra cosa. Chi ha almeno 40 anni, lo sa.
Il rischio, quindi, è quello che un eventuale taglio dei tassi il 6 giugno, invii un segnale devastante. Quasi un eco da last hurrah, prima che l’autunno porti con sé la sua messe di criticità legate all’economia reale e, soprattutto, ai conti pubblici costretti a rientrare negli abiti stretti e scomodi del Patto di stabilità, dopo almeno due anni di bermuda e infradito da pandemia. Attenzione al mismatch. La Bundesbank può concedere solo questo, stante la situazione. Dopodiché, si passerà all’incasso di fine anno. Quando giocoforza il bilancio della Banca centrale dovrà cominciare a scaricare sul mercato anche i titoli acquistati in seno al piano pandemico, Pepp. Ovvero, tonnellate di Btp. Con il Signor Rossi incapace (o non volonteroso) di assorbirli e le medesime banche intente a giocare agli hedge funds che, giocoforza, dovranno intervenire su spinta dei Governi per operare un bilanciamento ed evitare che gli spread saltino. A quel punto, il meccanismo sarà grippato. Se compro debito pubblico, le risorse per gli impieghi sono minori. Mica posso annunciare un aumento di capitale, dopo che non ho versato un solo euro di tassa sugli extra-profitti per ricapitalizzare, no?
La Bce deve decidere se essere Banca centrale che vigila sulla stabilità dei prezzi o semplice controllore del casinò finanziario, backstop di ogni eccesso di leverage e indebitamento, monetizzatore di debito e bancomat di deficit. Temo che l’autunno porterà con sé il redde rationem al riguardo. Piaccia o meno. E l’eventuale azzardo di giugno rischia un effetto Trichet al contrario che per Paesi a forte vocazione di finanziamento bancario dell’economia reale come il nostro potrebbe esacerbare una recessione che è già latente. E se crolla il Pil, saltano le coperture del Def. Occorre fare cassa. E il domino accelera.
Attenzione a ciò che invochiamo con tanta leggerezza. Potremmo ottenerlo. E pentircene.
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