Un adagio popolare recita che occorre stare peggio prima di stare meglio. Antonio Gramsci scomoderebbe l’eterna lotta tra ottimismo della volontà e pessimismo della ragione. A 48 ore dal board che oggi sancirà l’ennesimo rialzo dei tassi, la Bce ha pubblicato il suo sondaggio trimestrale fra 158 grandi banche. E al netto di una contrazione record del credito – ai livelli della crisi del debito 2010-2011 – di cui parleremo nella seconda parte dell’articolo, martedì abbiamo scoperto come negli ultimi tre mesi le richieste di prestiti da parte di imprese sia crollata al ritmo più veloce da quando viene tracciata la serie storica. Ovvero, esattamente dal 2003. Brutto segno. Pessimo. Perché, appunto, mostra come a menare le danze sia la rassegnazione.
Chi fa impresa, evita preventivamente di interpellare le banche in cerca di liquidità o linee di credito. Perché conscio di quella restrizione degli standard da record già in atto. Certo, quello che si vede dal grafico rappresenta la variazione della domanda e non la domanda assoluta. Insomma, se il costo di un affidamento passa dallo 0% al 4% chiaramente ne chiedo di meno, ne chiedo solo se serve (la teoria dice: se ROI > i). Una variazione così repentina può quindi essere figlia di un eccesso di richiesta passata più che di una depressione di richiesta attuale. Sostanzialmente analogo all’effetto base sul tasso di inflazione. Ma è il contesto in cui si inserisce questa dinamica a fare la differenza. E, paradossalmente, proprio il nuovo rialzo cui assisteremo oggi. Salvo cambiamenti dell’ultim’ora.
Insomma, gli imprenditori sposano la linea del dover soffrire ancora un po’, prima di poter stare meglio. Ma quanto? Questi altri due grafici ci offrono un proxy, certamente non scientifico ma storicamente affidabile. Purtroppo, molto affidabile. Perché dopo il profondo rosso del dato PMI diffuso lunedì, la Germania martedì ha voluto aggiornare la sua discesa negli inferi macro con le aspettative delle imprese dell’indice IFO: sull’arco temporale a 3 mesi, la conferma che arriva è proprio quella di un peggioramento ineluttabile prima della risalita.
Il bicchiere mezzo pieno, il proverbiale silver lining? Il combinato di sondaggio Bce e indice IFO ha fatto precipitare le attese per un ulteriore rialzo dei tassi al board di settembre. Come dire, giovedì ultimo ritocco. Poi ci si ferma. O si comincia a creare le condizioni per tagliare? Perché al netto di ottimismo e pessimismo, solo la necessità di accelerare al massimo un incidente controllato può spiegare un ciclo rialzista dei tassi così spedito. Oltretutto, dopo mesi e mesi di inazione, in nome della “transitorietà” dell’inflazione.
Strategia? Più che probabile. Non a caso, proprio nel luglio di due anni fa, Christine Lagarde convocò il board Bce per una review della politica dei prezzi. Solo una settimana di preavviso, di fatto una dinamica emergenziale. Ma non era un’emergenza, occorreva solo tramutare il target del 2% in “2% simmetrico”. Ovvero, nessuno strepito di troppo se l’inflazione entrasse in banda di oscillazione dello 0,25% in più o in meno rispetto all’obiettivo. Occorre flessibilità. Occorreva, di fatto, solo preparare la strada a un aumento a dismisura dei prezzi che scaricasse sui salari gli eccessi del Qe che le equities non riuscivano più a smaltire a colpi di rally artificiali ed espansioni lisergiche dei multipli. Non a caso, subito dopo prende piede la narrativa della “transitorietà” che spedisce il target a 3x – quando non 4x – rispetto al 2%. Il quale, però, è divenuto “simmetrico”. Un enorme casinò di profitti e manipolazioni. Che ci obbligherà giocoforza ad attese estenuanti del bene. A colpi di recessioni light, ormai quasi annuali.
Ma non basta. C’è un’altra dinamica su cui riflettere nel giorno della Bce. Delle banche commerciali si può pensare tutto il bene o il male possibile. Un dato di fatto, però, appare inoppugnabile: salvo rari (e traumatici) casi, le banche sanno calcolare i rischi. E trasferirli. Ora, qualcosa non torna. Se infatti il mese di agosto sarà dirimente per capire quanto l’inflazione sia più o meno sotto controllo, il sintomo del vero problema già ora è individuabile da un altro punto di osservazione. L’Eurotower interverrà nuovamente sul costo del denaro in uno scenario di contrazione creditizia per le banche europee come quello del grafico. Ovvero, al picco della crisi del 2011. Quella dei Pigs. Quella del default greco, dello spread impazzito italiano e del salvataggio bancario spagnolo.
Contemporaneamente, la scorsa settimana MF-MilanoFinanza dedicava il suo titolo di apertura alle banche che pagano fino al 6% di interesse pur di accaparrarsi depositi. Quale scenario prezzano le banche commerciali che quelle centrali ancora cercano di nascondere o dissimulare? Venerdì scorso, l’inversione sulla curva dei rendimenti 1-10 anni del Treasury Usa ha toccato il livello massimo dal 1981. E per quanto ormai la macroeconomia sia ritenuta scienza esatta quanto la cartomanzia, la storia ci dice che un simile swap fra scadenze anticipa con certezza quasi ferrea l’arrivo di una recessione. Il tutto con le banche Usa che, nel frattempo, scontano nuove fughe di depositi e nuovi record di utilizzo della facility di finanziamento della Fed. Ai massimi dal 22 marzo scorso. Ovvero, subito dopo il crollo di Silicon Valley Bank.
Cosa sta arrivando? Il 27% delle banche europee ha confermato un irrigidimento negli standard di concessione creditizia corporate nel primo trimestre di quest’anno rispetto all’ultimo del 2022. All’epoca, la Bce sembrava pronta a fermarsi con l’arrivo della primavera. E la crisi bancaria Usa ancora era solo nell’aria, essendo appunto esplosa a fine marzo. A quanto sarà, oggi, il netto percentuale di banche che attivano i raggi X prima di erogare credito? E come sopravviveranno le Pmi a questo combinato di rubinetti chiusi e recessione pressoché certa?
Tutt’intorno, una politica che si occupa di altro. E media che sanno soltanto contare i decimali in calo dell’inflazione. Domenica notte, l’insonnia mi ha costretto a zapping selvaggio. Attorno alle 4, su Rai3 trasmettevano Landru di Claude Chabrol, storia del seduttore e assassino di donne benestanti, il cui processo coincise con la firma dei Trattati di pace dopo il Primo conflitto mondiale. E il Primo ministro francese chiese e ottenne che le gesta del mostro ne oscurassero la cronaca sui giornali. Ieri come oggi, cortina fumogena. Perché chiedere e chiedersi cosa si attendano davvero le banche dall’economia può danneggiare seriamente la salute di inserzionisti e cda della libera stampa. Oltre che dei Governi. Ora, parola alla Bce.
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