In questo Paese si parla di tutto. Di Chiara Ferragni e della sua intervista strappalacrime. Delle manganellate della polizia. Dell’Abruzzo, un po’ Swing State e un po’ archetipo di una campagna elettorale permanente. Del cacciatorpediniere Duilio che gioca ai pirati dei Caraibi contro gli Houthi. Soprattutto dell’ennesimo caso di dossieraggio. Solo un argomento ha patito una conventio ad excludendum politico-mediatica, assolutamente bipartisan e decisamente in odore di sospetto: nonostante uno spread appena sceso sotto quota 140, questo Paese ha un deficit al 7,2%.



Colpa del Superbonus, si giustificano dal Mef con rapidità olimpica nello scaricare il barile. A fronte di un Pil 2023 cresciuto dello 0,9% contro le attese di gennaio (0,7%) e le stime della Nadef (0,8%), ecco che il rapporto col deficit si è attestato su un livello decisamente più alto del 5,3% su cui si basavano i conti del Ministero guidato da Giancarlo Giorgetti nella sua nota di aggiornamento alla Manovra. Facciamola breve: al netto dell’assenza di teste rotolanti dal portone di via XX Settembre per questo errore di valutazione colossale, sempre in ossequio alla meritocrazia, perché nessuno si sente in dovere di dire chiaro e tondo che il Paese a ottobre avrà bisogno di una manovra correttiva da una quindicina di miliardi?



Ovvio, nessuno sbandiera lacrime e sangue prima delle Europee. Ma c’è di più. E di peggio. Questo scherzetto dei conti si sostanzia come un pericoloso spoiler. Bipartisan, appunto. Di quanto ci attenderà dal 2026 in poi a livello di riduzione strutturale del debito come sottoscritto in sede di riforma del Patto di stabilità, altro argomento la cui durata è stata paragonabile alla vita media di una farfalla. Ogni anno, 15-17 miliardi da stanziare solo per quella finalità. Oltre poi al Def per mandare avanti il Paese. Di fatto, dal 2026 avremo la certezza matematica di una manovra correttiva fissa, ex ante e strutturale. Quasi per legge. E invece, si comincia prima. Subito. Dall’autunno prossimo.



Il quale, stante la situazione economica tedesca e l’arco temporale di fall-out sulla nostra filiera di interscambio commerciale (solitamente cadenzato in 3 mesi di ritardo), già oggi si preannuncia caldo. E soltanto 24 ore fa, il Financial Times ha reso noto come il Governo Scholz darà vita a uno strumento di investimento da 200 miliardi per sostenere il sempre più esangue sistema pensionistico teutonico. La Germania è all-in con il sostegno di Stato. Roba da Covid. Forse peggio. Qui invece parliamo del pandoro della Ferragni. O del successone del Btp Valore. Il quale, giova ricordarlo, incorpora tutto. Premio di rischio ma anche rischio sul premio, se guardiamo a queste criticità silenziate. E quando qualcuno chiederà conto della crociera pagata dai soli interessi sbandierata dal Mef in versione Mastrota, ci risponderanno come Adolfo Celi ad Alessandro Haber nel celebre sketch del vedovo in Amici miei. Prendendoci anche per i fondelli. Facendoci notare come non sia colpa dello Stato, se il cittadino non si informa. Ignorantia non excusat. A meno che uno non lavori al Mef e prenda una cantonata da due punti percentuali sul deficit previsto. In quel caso, tutto sotto silenzio. E allegramenti in cavalleria.

Attenti poi ai timing di questi scandali di dossieraggio così mediatici e roboanti, tanto da evocare precedenti illustri. E loro addentellati da serie su Netflix. Il più celebre risale al 17 marzo 1981, la scoperta degli elenchi della P2 nella villa di Licio Gelli su soffiata degli appunti di Michele Sindona. Ovviamente, retata pilotata. E destinata a mettere le mani su carte sì scottanti. Ma ovviamente incomplete. In compenso, cosa avvenne il mese prima e che andava oscurato e depotenziato, un po’ come accade oggi con quel deficit al 7,2% che si pone come spada di Damocle sul futuro del Paese? Era il 12 febbraio 1981. Il divorzio fra Tesoro e Bankitalia. Il vero Big Bang italiano, prima di Tangentopoli.

Pensate che non esistano strategie simili ma solo coincidenze, più o meno fortuite o eclatanti? Dopo 46 anni, Weiss Multi-Strategy chiude i battenti. Non è il primo hedge fund. E certamente non sarà l’ultimo. Ma, in questo caso, trattasi di addio volontario. Nel pieno della festa di un rally senza fine. E con forte connotato di corsa alle scialuppe. In un contesto simile, Weiss Multi-Strategy getta la spugna. Chiude. Liquida. Tutti a giocare a golf nel Maine o a passeggiare sulla spiaggia negli Hamptons, prima che sia tardi. Perché come mostra questa immagine se l’idiozia criminale dei CDO sintetici vi era sembrata terminale, ricredetevi.

Forse, Weiss Multi-Strategy ha pensato che un mondo in cui gli hedge funds diventano riciclatori di assets bancari, alla fine di circonvenire la regolamentazione sui requisiti di riserva e capitale (di fatto, poco più che prestanomi), potrebbe non conoscere un epilogo particolarmente edificante. Il giochino è semplice: stante l’impossibilità di fare totalmente fesse Fed e Sec, le banche si sono inventate il synthetic risk transfer. Ovvero, scaricano il rischio contenuto in portfolios a dir poco dadaisti verso fondi speculativi, cui pagano in cambio un coupon. Mantenendo l’asset a bilancio. Ovviamente, sotto la voce di unrealized loss. O nei Level 3. E la Fed non interviene. E la Sec neppure. Si limitano a osservare. Anzi, persino a fornire la guidance per farsi fare fesse! Di fatto, inviando al mercato delle varie SMCI e Nvidia un messaggio implicito: tranquilli, bail-out garantito per tutti. Giocate pure. Altrimenti, salta il Sistema.

Un sistema che, stando al suo Financial Statement per il 2023, vede il Primary Dealer di tutti i Primary Dealers, ovvero Citadel, aver operato in base a un ammontare di collaterale superiore di oltre il 28% rispetto alle securities detenute. Così fan tutti, d’altronde. Si chiamano short sales. E consentono persino la possibilità di re-ipotecare quelle securities vendute a terzi senza detenerle. Si vendono promesse. Carta. Unicorni. E lo si chiama mercato. Per questo, forse, un sistematico come Weiss Multi-Strategy ha preferito perdere l’ultimo, entusiasmante giro di giostra. E scendere. Per questo, soprattutto, il mercato continua a macinare rialzi. Incurante dei rischi. Perché ci si è spinti troppo oltre. Il bail-out di Sistema è garantito. In anno elettorale come questo, poi.

Chi si occupa di educazione finanziaria farebbe bene a segnarsi sul calendario questi mesi. Valgono come decenni. Chi invece pensa che il problema del Paese siano la Ferragni o i dossier, si prepari a un risveglio da incubo. Subito dopo l’estate. Quando già normalmente agosto lascia spazio ad Agos.

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