«Dobbiamo aspettare ancora un po’». Parole semplici quelle utilizzate da Boris Johnson per comunicare ai propri cittadini che la fine delle restrizioni, il Freedom Day fissato per il 21 giugno, dovrà slittare in avanti. E non di poco: un altro mese, fino al 19 luglio. Molto più di quanto le indiscrezioni circolanti nel fine settimana del G7 avevano lasciato intendere, visto che la prima ipotesi era di altri quindici giorni di lockdown. E lo scenario appare potenzialmente peggiore, visto che il ministro della Salute, Ed Argar, ha già dichiarato come sia ovviamente possibile che un ulteriore spostamento si renda necessario anche dopo il 19 luglio.
Posizione condivisa dal ministro degli Esteri, Dominic Raab, a detta del quale «al momento attuale non esiste un’assoluta garanzia che le restrizioni vengano eliminate fra un mese e non debbano proseguire anche in agosto». A onor del vero, Boris Johnson aveva già ampiamente messo le mani avanti in tal senso agli inizi di maggio, quando il tasso di vaccinazioni record aveva permesso al suo governo di approntare un crono-programma di riaperture che aveva fatto gridare al miracolo politico e sanitario (soprattutto fra i parossistici filo-Brexit nostrani).
Oggi, però, il worst case scenario è divenuto realtà. Come mostra questo grafico, la variante Delta o indiana sta rimettendo sotto pressione la NHS, stante un aumento dei contagi su base settimanale del 46% che in alcune aree del Paese ha sfiorato il 60%. Insomma, occorre tenere il Paese chiuso ancora per un po’, al fine di vaccinare con la seconda dose e raggiungere l’immunità di gregge. La stessa che, però, era vista come più che probabile già a fine giugno, tanto da aver spinto il primo ministro all’azzardo di un liberi tutti annunciato in pompa magna da Downing Street.
Cos’è accaduto? Sindrome statunitense? Questo grafico mostra come, in realtà, il rischio potenziale sia opposto: ovvero, la dinamica della variante Delta nel Regno Unito rischia di operare da previsione anticipatoria su quanto potrebbe accadere Oltreoceano.
In base a tre criteri, molto simili fra i due Paesi: in Gran Bretagna contagi e ospedalizzazioni sono in crescita su una popolazione con un forte tasso di immunizzazione da prima dose, praticamente identico a quello americano. Idem per il trend della seconda dose. Secondo, le percentuali relative alle precedenti ondate nei due Paesi sono sempre state molto simili. Terzo, la differenza nella gamma di vaccini usati, partendo dal presupposto di una maggiore efficacia del siero mRNA.
Ma è un altro il grafico che impressiona, questo: YouGov ha infatti compiuto un sondaggio-lampo nella giornata del 14 giugno, quella dell’annuncio di Boris Johnson al Paese. Come si nota, ben il 71% degli adulti interpellati si è detto d’accordo con la scelta di rinviare le riaperture. Di più, fra il 24% di chi si oppone, un terzo fa riferimento alla fascia di età fra i 18 e 24 anni. Più che sintomatico, quindi.
Eppure, la narrativa era quella di un Paese ormai al limite della sopportazione, insofferente per natura alle restrizioni e il cui motto era divenuto Enough is enough. Com’è possibile che quasi i tre quarti dei rispondenti accettino di buon grado un ulteriore mese di controlli, coprifuoco e divieti? Quale realtà si vive sul campo, nella vita quotidiana degli ospedali britannici che i media non raccontano ma che deve aver talmente spaventato o responsabilizzato i sudditi di Sua Maestà da tramutarli a tempo di record in paladini della prevenzione e della cautela?
Qualcosa non torna. Quantomeno, nei messaggi che filtrano. E non è un caso che, in tutto il mondo occidentale, l’approssimarsi della cosiddetta ripartenza, il rifulgere più brillante della mitologica luce in fondo al tunnel sia coinciso con l’emergenza di criticità accessorie a grappoli. In Italia, ad esempio, quer pasticciaccio brutto de AstraZeneca, tanto per nobilitare il caos sanitario con il talento di Carlo Emilio Gadda. E il fatto che sia appena stato confermato come in Lombardia siano presenti 81 casi di variante Delta fa riflettere ulteriormente. Il Governo, dal canto suo, ha già avanzato l’ipotesi di nuove quarantene per chi arriva dal Regno Unito, in caso la situazione si aggravi. Francia e Germania hanno però aumentato le restrizioni in tal senso già da tre settimane.
In compenso, stante l’assenza di obiezioni ufficiali da parte di qualche Stato membro, da ieri l’Ue ha fatto formalmente cadere i divieti verso i viaggiatori di altri nove Paesi, fra cui proprio gli Stati Uniti. Di fatto, l’impressione è quella di un andamento in ordine sparso. O, concentrandosi sul Regno Unito, quello di un lento e costante processo di normalizzazione e condizionamento: «I britannici dovranno imparare a convivere con il Covid-19», ha dichiarato Boris Johnson. Il tutto quasi nessuno avesse utilizzato la Gran Bretagna come caso di studio ed esempio di strategia vincente (insieme a Israele) fino a non più tardi di due settimane fa. Boris Johnson, ovviamente, in testa.
Londra sta forse operando un esperimento da finestra di Overton per la gestione globale di una pandemia che è ormai, nei fatti, già mutata in endemia? L’operatività delle case farmaceutiche, già concentratasi su farmaci da convivenza e non più su vaccini emergenziali, sembra confermare. Si sta testando il grado di sopportazione da parte delle opinioni pubbliche di un costante innalzamento dell’asticella delle restrizioni, non a caso utilizzando come laboratorio la nazione ritenuta più insofferente di tutte e come protagonista il primo ministro più aperturista in assoluto? Lo stesso numero uno della Banca centrale austriaca, il falco rigorista Robert Holzmann, ha parlato di Pepp che potrebbe proseguire oltre la sua scadenza naturale del marzo 2022, «se una nuova variante dovesse colpire l’eurozona». Quasi certamente, poi, il board della Bank of England previsto il 24 giugno congelerà la fase operativa del suo annunciato tapering (da 4,44 a 3,44 miliardi di sterline), probabilmente inserendo nel comunicato finale persino un primo richiamo a eventuali, nuovi aumenti degli acquisti settimanali. A causa della variante Delta. Lo stesso potrebbe valere per la Bce. O per la Fed, se per caso gli Usa davvero seguissero un’altra volta pedissequamente il trend britannico relativo ai contagi da nuova ondata.
Il Big Bang? Dal Giappone, probabilmente. Tokyo, salvo cataclismi, non può più rinviare o cancellare i Giochi Olimpici, stante l’approssimarsi e l’esborso già messo in campo, ma soprattutto la benedizione e il supporto ufficiali giunti dal G7 in Cornovaglia. Ma con un Paese che fino a domenica prossima vivrà ancora in regime di lockdown e attende un annuncio di liberazione dal proprio Premier, un ridimensionamento delle Olimpiadi – magari con limitazioni stringenti ed eventi collaterali ridotti all’osso – potrebbe comunque rimandare un’immagine di normale emergenzialità, di convivenza obbligata, di libertà condizionata e provvisoria come new normal.
La finestra di Overton, d’altronde, serve a questo: testare il grado di sopportazione dell’opinione pubblica alle decisioni prese dalla politica, la quale dovrebbe poi operare entro i confini di tollerabilità tracciati dalle risposte al test. Lungi dal negare la pericolosità o l’esistenza stessa del Covid qualcosa comincia però a sfuggire dal recinto della logica. Ovunque. E il contemporaneo rifiorire politico-mediatico del dibattito sulla natura non naturale del virus, cadenzato da quotidiane “scoperte” di altrettanti documenti esclusivi, non fa che alimentare i dubbi. E in molti, la sfiducia. Perché unendo i puntini, la scritta che va a comporsi appare sempre più nitida: senza più pandemia, niente più Qe. E il sistema rischia di saltare.
Sarà un caso che Mario Draghi si stia battendo con tutte le forze per far digerire alla sua maggioranza la proroga dello stato di emergenza?
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