L’ultimo Rubicone è stato varcato. Più in basso di così, adesso, è difficile poter andare. Per farlo, occorre smettere di abbassare gradualmente il livello di percezione del rischio e cominciare a scavare tout court, come tanti Indiana Jones del suicidio collettivo. Roba da setta millenaristica giapponese, corrispettivo per l’investimento della roulette russa de Il cacciatore. Signore e signori, mentre noi ci trastulliamo con l’appiccicaticcio e artefatto clima di concordia nazionale delle consultazioni-farsa, il mondo plaude l’ultimo capolavoro delle Banche centrali: come mostra questo grafico, nonostante il recente aumento nominale dei rendimenti dei Treasury innescato dai breakevens inflazionistici sul decennale, il tasso di interesse medio pagato dai junk bond ha sfondato per la prima volta in assoluto – al ribasso – la quota psicologica del 4%: per l’esattezza, 3,96% toccato a chiusura di contrattazioni del 9 febbraio.
Perché ho usato questo grafico di comparazione? Semplice, perché mette in prospettiva meglio di altri il livello di delirio cui siamo arrivati: nonostante un asset notoriamente non rischioso e anzi classificato come bene rifugio come i titoli di Stato Usa cominci a pagare un rendimento interessante, la gente continua a comprare obbligazioni ad alto rendimento. E rischio. E lo fa sempre di più. Il motivo? Semplice e confermato dall’esplosione nei controvalori di offerta di quella carta igienica, tracciati da Goldman Sachs e oggi al livello più alto da quando vengono registrate le serie storiche nell’arco temporale fra il 1 gennaio e il 3 febbraio: siamo già a 55 miliardi di dollari contro i poco più di 42 miliardi dello scorso anno. Per capirci, solo nel 2019 e in quella che possiamo definire era monetaria pre-Covid, nello stesso periodo non si arrivava a 20 miliardi. Ed è appunto tutto merito della Fed, la quale con i suoi acquisti con il badile di Etf che tracciano appunto junk bond, lo scorso anno ha creato lo stigma in positivo, tramutando l’immondizia in oro: Jerome Powell meriterebbe il Nobel per la chimica. Rimozione del concetto di rischio dall’ennesima asset class, ormai siamo alla ricerca con il lanternino di una singola security che il mercato ancora ritenga a rischio kriptonite. O, quantomeno, bruciatura.
Ma a fare davvero paura devono essere questi due grafici: il primo mostra come persino l’immondizia dell’immondizia, ovvero la tranche più rischiosa dell’alto rendimento, quella con rating CCC, non solo stia viaggiando in rally da inizio anno con il suo +1,9% ma a sua volta abbia sfondato il record al ribasso di rendimento pagato, il minimo storico del 6,7% tracciato dall’indice ad hoc di Credit Suisse.
E il secondo grafico sembra voler tranquillizzare le masse rispetto all’offerta di quella carta sul mercato: soltanto a gennaio ne è stata emessa per un controvalore di 8,2 miliardi di dollari, segnando il record dalla scorsa crisi finanziaria per il primo mese dell’anno. Insomma, tranquilli: ce n’è per tutti! E ripeto, tanto per non perdere il focus: qui non parliamo del peggio, bensì del peggio del peggio, le tranche CCC dell’alto rendimento.
Ma ecco che questo altro grafico pare voler giocare il carico da novanta: stando al trend attuale, il rally innescato nel comparto ha aperto una vera e propria finestra di opportunità per un boom di breve-medio periodo. Il perché? Semplice, una corsa disperata delle zombie firms a rifinanziarsi a condizioni mai viste sul mercato, visto che – udite udite – a oggi i coupons medi sono superiori al rendimento medio. Tradotto, più lo yield scende, più nuove emissioni CCC inonderanno il mercato.
Fossi volgare, potrei riassumere il quadro dicendo che – a livello di mercati finanziari – stiamo letteralmente annegando nella m… Fino al collo. Anzi, al mento. Ma preferisco rimanere sobrio nelle espressioni e nelle figure retoriche. Perché, purtroppo, quello a cui stiamo assistendo a uno dei numeri di trapezismo estremo più pericolosi di sempre. E non tanto per chi, accecato dall’avidità, si lancia nell’acquisto di quella carta igienica, quanto per la tenuta del sistema. Il quale, lungi dal non riuscire a sopportare una correzione del 10-15%, avanti di questo passo avrà però varcato il mitologico ingresso del labirinto di Cnosso del monetarismo e si troverà di fronte a due sole opzioni: farsi divorare dal Minotauro dell’helicopter money e attendere l’implosione oppure vagare a vuoto, fra cunicoli e gallerie, in attesa di un Dedalo in versione Godot.
E uso questa metafora per una ragione: avete notato come gli ex banchieri centrali, Mario Draghi e Janet Yellen in testa, siano sempre più protagonisti di sliding doors che li portano nei posti di comando della politica? Pensate sia in base a una coincidenza che i fautori del mondo manipolato passino dalle presse alle stanze dei bottoni politiche? Ma si sa, l’uomo è per sua natura debole di fronte alle tentazioni. Lo conferma, nella nostra fattispecie, David Norris, capo del credito alla TwentyFour Asset Management, il quale ha descritto con queste parole il fenomeno junk bonds in un’intervista con Bloomberg: “La nuova, robusta pipeline che sta fornendo al mercato credito di bassa qualità merita di essere studiata con attenzione, poiché al suo interno ci sono sicuramente alcuni spunti molto buoni per investitori con sufficiente liquidità per entrare in gioco”. Insomma, la – giusta – preoccupazione di chi per lavoro investe il proprio e l’altrui denaro è quella di essere fra i primi a rovistare fra l’immondizia, nella speranza di trovare ancora qualcosa di buono. Magari, l’occasione della vita.
Certo, può capitare che un ricco eccentrico getti nel cassonetto un cappotto di cachemire dopo averlo indossato solo una volta. Ma, parliamoci chiaro, quante probabilità ci sono? David Norris lo fa di lavoro, quindi è giusto che grufoli alla ricerca del diamante fra il letame come principale occupazione. Ma tutti gli altri che si fanno consigliare come polli in batteria, siamo proprio sicuri che vedranno i loro investimenti in materiale così a rischio di degrado terminale seguiti con la debita attenzione e non ammassati dentro salsicce obbligazionario con troppe gradazioni di rating? Tradotto, riusciranno a veder scaricata l’immondizia che detengono in portfolio nella discarica a cielo aperto gestita dalla Banca centrale di turno – anche la Bce, infatti, sta operando con il badile nel ramo corporate e senza approccio schizzinoso al rating ufficiale – prima che il valore di quella security sia già precipitato a zero? Perché quest’ultimo grafico ci mostra la realtà messa in prospettiva.
Per quanto tutti i David Norris di questo mondo possano essere prudenti e professionali nel gestire quella bomba a mano senza più spoletta, occorrerebbe che nel cielo comparisse una scritta al neon luminescente che ricordasse a tutti l’unico mantra di questi tempi impazziti, prima di apporre una firma su un contratto o un ordinativo di acquisto. Ovvero, stavolta il giochino non proseguirà finché ci saranno sufficienti gonzi a far girare la ruota, come in un banalissimo schema Ponzi. Bensì, solo fino a quando le Banche centrali lo renderanno possibile, iniettando ogni mese che Dio manda in terra miliardi di dollari o euro o yen nel sistema, di fatto a fondo perduto. Se solo rallentano, quei rendimenti volano in cielo e i prezzi precipitano dritti nelle braccia di Lucifero. E quelle security tornano a tempo di record nella loro patria originaria, l’immondizia.
Direte voi: problemi di chi si è preso il rischio di investire. Verissimo. Peccato che quei bond in default significano uno tsunami di fallimenti a catena e pressoché contemporanei di zombie firms che, fino ad allora, il mercato faceva però finta di ritenere sane o in via di risanamento. Il contagio, quindi, è assicurato. E non esiste immunità di gregge, se finisce troppo in fretta il vaccino magico del Qe perenne.
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