Stando ai dati Istat, confermati l’altro giorno dalla Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK Italien) nella consueta conferenza stampa primaverile, la Germania rimane il principale partner economico del nostro Paese, sia in termini di export (74,6 miliardi) che di import (89,7 miliardi). Una partnership complessiva che nel 2023 ha raggiunto il valore di 164,3 miliardi. Ma in calo del 3,7% nelle esportazioni e dell’1,4% nelle importazioni, flessioni che portano a una diminuzione totale pari al 2,5% annuo.



Nonostante questo, anche per il 2023 il distacco della Germania rispetto al nostro secondo partner commerciale, la Francia, resta netto: qualcosa come 54 miliardi di differenza. A livello di dato scorporato per territori, nessun cambiamento. La Lombardia continua a svolgere un ruolo di traino: da sempre al primo posto e con un peso che è aumentato negli ultimi anni, nel 2023 la regione ha registrato un valore (53,8 miliardi) più che doppio rispetto al Veneto e all’Emilia-Romagna, a loro volta titolari rispettivamente della seconda e terza posizione con 24,6 e 18,9 miliardi di euro.



Infine, a livello settoriale si conferma il ruolo fondamentale dei comparti storici. Solo frazionalmente al primo posto ancora il chimico-farmaceutico con 25,8 miliardi, ma seguito dall’automotive con 25,76 miliardi, di fatto ex equo sul gradino più alto del podio. Al terzo posto i macchinari con 22,33 miliardi e al quarto la siderurgia con 21,27 miliardi. Cifre che devono fare riflettere. Tanto.

E chissenefrega di Nvidia e dell’IA, del Ftse Mib che vola, dello spread ai minimi da 2 anni, dei 35 miliardi di richieste per il nuovo Btp indicizzato all’inflazione. E anche della Fed che l’altra sera ha ribadito l’ovvio e, nonostante questo, innescato l’ennesimo record storico per l’S&P’s 500. Sono solo bolle. E balle. Casinò totalmente svincolati dall’economia reale, dal lavoro. Perché il rallentamento tedesco dal tardo autunno dello scorso anno è peggiorato. E non di poco. E proprio nei comparti chimico-farmaceutico e dell’automotive.



L’ultimo dato sulla produzione industriale era da incubo, ne abbiamo parlato pochi articoli fa. Certo, tutti gli indicatori mostrano una ripresa dal secondo trimestre di quest’anno. Addirittura record. Al netto delle ragioni che possano sostanziarlo, stante un rimbalzo giustificato e giustificabile solo da uno shock espansivo stile Covid (o da spesa bellica…), mi scuserete se il problema ora sta tutto da questa parte del confine. Perché se anche Berlino vivrà una primavera economica indimenticabile, l’Italia sta per scontare il ritardo da serie storica del contagio diretto di contrazione tedesca su componentistica e fornitura.

Quell’interscambio commerciale parla chiaro. Possiamo sfoderare Schadenfreude degna di miglior causa, ricordando il golpe del 2011 o le risatine di Merkel e Sarkozy. Sciorinare battute sui sandali col calzino all’infinito e gonfiare il petto di fronte al record calcistico negli scontri diretti. Possiamo sventolare il prosciutto di Parma in faccia ai wurstel. Ma qui da scherzare c’è poco. In ballo ci sono aziende e posti di lavoro. Tanti. E concentrati principalmente nelle tre regioni-locomotiva del Paese. Quale ricasco si innescherà sulle altre? Anche la vera frattura, altro che Autonomia. Mentre il Pil cresce, certo. Per il Superbonus, però. E infatti il deficit è al 7,2%. Casualmente, in casa Lega tornano a volare gli stracci fra i Governatori e il Segretario. E se volete, credete pure alla narrativa della deriva fascistoide del Movimento come motivo di scontro. Governatori e Sindaci stanno sul territorio. Non a Roma. Non nei Palazzi. E dal territorio arrivano già oggi refoli di aria gelida. Nonostante la primavera.

Casualmente, le cortine fumogene aumentano. E come i cicli economici sostenuti solo da Qe, durano sempre meno. Che fine ha fatto lo scandalo del dossieraggio, ad esempio? Per tre giorni sembrava la nuova P2. Anzi, peggio. Per tre giorni hanno brandito la Commissione d’inchiesta, extrema ratio di ogni stagione politica disperata di questo Paese. Poi, tutto in cavalleria. E a pagina 20 dei quotidiani. Cosa vi dicevo: se intercetti tutti, non intercetti nessuno. Alzi solo un polverone. E distrai. E vuoi farti mancare la polemica sulle elezioni in Russia? Con tanto di fake news sui soldati in passamontagna che entrano nei seggi, mentre lo spoglio in Sardegna si è concluso praticamente l’altro giorno? E la guerra in Ucraina, lo spauracchio della meglio gioventù transalpina mandata a difendere la democrazia mondiale e destinata a tornare in bare imbandierate. Ora poi c’è il caso Bari. Poi ne seguiranno. Continuamente. A rotazione. Col ciclostile. Tutt’intorno, restando nel mio ambito, un’economia che lascia il posto alla finanza deteriore, titoli azionari soppiantati da Etf e derivati. E sullo sfondo, Bitcoin e Intelligenza artificiale. Le somme bufale. L’enorme amo cui far abboccare l’opinione pubblica.

Volete una prova? Guardate questo grafico. La linea blu rappresenta l’Etf che sobriamente traccia il Nasdaq con 3x di leva rispetto al normale QQQ. Quella arancione il prezzo di Bitcoin. La correlazione è relativa a un arco temporale di 6 anni e tre mesi, dal 1 gennaio 2015 al 15 marzo scorso.

Per carità, tutto può essere. E le coincidenze sono ormai la norma. Ma la correlazione appare decisamente significativa. La domanda, quindi, sorge spontanea. Se Bitcoin è la rivoluzione, l’oro digitale, il nuovo mondo, l’affrancamento dalla manipolazione fiat delle Banche centrali, per quale strana ragione per oltre un decennio è andato pedissequamente e fedelmente a braccetto con un Etf ultra-leveraged che traccia titoli del comparto tech, ovvero l’architrave della nuova bolla? Forse gli inflows e il trading record nello spot Etf di Bitcoin vogliono telegrafarci – anzi, sussurrarci in un orecchio – che alla base di quanto sta accadendo non c’è affatto volontà di sistema alternativo o questioni legate a permessi e custodia di beni più o meno immateriali, ma solo un bug?

Sarà per questo che la reazione del mercato alla mossa epocale della Bank of Japan sia stato un simbolico chissenefrega e il nulla dell’annuncio Fed abbia spedito lo Standard&Poor’s 500 a quota 5.200 per la prima volta in assoluto, quasi a volerci dire che ora le Banche centrali dovranno aumentare le cortine fumogene? Oltre che gli acquisti di oro fisico, come ci mostra questo grafico: se il futuro sono le valute digitali e l’Intelligenza artificiale riuscirà a risolvere qualsiasi problema, per quale ragione negli ultimi due anni le Banche centrali del mondo intero hanno sentito il bisogno di accumulare vetusti lingotti come non ci fosse un domani?

Forse per la stessa ragione per cui vi gettano allarmi, scoop e scandali come fossero ossi per un cane. E signori, se la Fed col suo giochino sui tassi ha spedito l’indice benchmark al nuovo record storico, poche ore dopo anche l’oro ha sfondato per la prima volta quota 2.200 dollari l’oncia.

Ennesima coincidenza o canarino nella miniera ormai agonizzante? La realtà è diversa. E per il nostro Paese, la realtà è lo tsunami tedesco che ci sta arrivando addosso. Senza possibilità di spesa, se non a deficit. Ulteriore. E impossibile, a meno di non volere lo spread a 400. Tutto il resto, fa volume.

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