Strana casualità. Strana contemporaneità. L’offensiva anti-deficit del ministro Giorgetti che ha fatto esplodere Forza Italia e costretto a un imbarazzato silenzio Fratelli d’Italia è scattata subito dopo che il Mef ha preso atto del flop dell’ultima emissione di Btp retail. Come vi dicevo, il Signor Rossi ha finito l’oro destinato alla Patria. Ora deve destinarlo al padrone di casa, alle bollette e all’Esselunga. Effetti collaterali di dinamiche salariali ferme da oltre un decennio e prezzi invece in rapido e continuo movimento. Al rialzo. E non basta l’operazione Superbonus e spalma-crediti. E a far capire che al Mef hanno suonato la campanella di fine ricreazione ci ha pensato la Sugar Tax. Ovvero, la necessità di fare cassa immediata per trovare coperture.



Ricordate quando vi parlavo di coperta che ormai non copriva più nemmeno le ginocchia? Ecco. E che il ministro Giorgetti non stia parlando per sé o per il Governo, ma per la futura Commissione Ue e il suo numero uno lo testimoniano i toni che caratterizzano lo scontro. E il rumoroso silenzio di Giorgia Meloni. Non solo ha risposto ad Antonio Tajani che dovrà farsi una ragione di quanto contenuto in quell’emendamento della discordia, ma, soprattutto, che è ora di finirla di pensare solo alla campagna elettorale.



Beghe fra partiti che lottano per imporsi come secondo pilastro della maggioranza, magari in vista di un rimpasto post-Europee? In parte, sì. Ma il Mef parla per conto di Mario Draghi. Il Mef sta cercando di limitare da subito l’offensiva tedesca post-Europee. Perché in sede di riunione europea dei ministri dell’Agricoltura di fine aprile – classica copertura per evitare clamori mediatici -, tutti i Governi europei hanno dato via al nuovo Patto di stabilità. Tutti. Addio distinguo e astensioni dell’Europarlamento. Roma ha dato via libera. E non sperate in trattative al ribasso e compromessi. Non ce ne saranno. Lo testimonia la durezza e la risolutezza dell’intervento del ministro Giorgetti sui bubboni più purulenti dell’indebitamento cronico di questo Paese.



E se da un lato Antonio Tajani può rivendicare un precedente di difesa del sistema bancario italiano come la lotta in sede Ue contro il limite di detenzione di debito pubblico domestico, dall’altro il medesimo sistema si è appena sentito rinfacciare indirettamente proprio dal ministro Giorgetti il suo apporto pari a zero attraverso la tassazione sugli extra-profitti. Come dire, avete tutti ricapitalizzato invece di versare per un po’ di sacrosanto bene comune. Adesso non lamentatevi. E, soprattutto, preparatevi magari a una stretta sui dividendi. E su certi bonus. E poi, le partite aperte sono ancora molte. In primis, Monte dei Paschi. Sparita dai radar, ma dopo i conti entrata in una sorta di asta di volatilità strutturale, inanellando +5% e -5% come fosse una meme stock. La più antica banca del mondo, di fatto ancora con un piedone statale dentro casa, può assomigliare a Gamestop, quando si tratta di contrattazioni?

La festa sta finendo, i pasti gratis pure. Inutile cercare di circoscrivere quanto sta accadendo alle tensioni pre-elettorali e alle conseguenti frizioni fra alleati litigiosi. E anche l’alibi della collegialità decisionale violata sbandierato da Forza Italia fa abbastanza ridere, stante i numerosi precedenti di decisioni uscite da palazzo Chigi e terminate sul tavolo del Consiglio dei ministri. Qui la questione è differente. Il ministro Giorgetti, forte della consapevolezza diretta sullo stato dei conti pubblici, sa che il tempo della narrativa è finito. E, magari, furbescamente mette le mani avanti, mostrando il volto responsabile dell’intransigenza. La questione è una sola: anticipare la Sugar Tax, quando l’intento del Governo era rinviarla sine die fino a farla – de facto – sparire, equivale a uno squillo di tromba per la ritirata. In tal senso, Coca Cola già annunciato 100 licenziamenti nel suo stabilimento in Sicilia.

Peccato che qui il problema sia trovare ogni singolo euro a disposizione per evitare una manovra correttiva da massacro che, a sua volta, eviti una procedura d’infrazione dai profili di commissariamento. Dall’11 giugno, tutto cambierà. Perché a campagna elettorale chiusa, resteranno i numeri. Gli stessi che oggi si negano o si ignorano. Ma il contropiede del Mef ha spiazzato tutti. Come un attaccante che, nel corso dell’ultima di campionato e in piena atmosfera da biscotto, prende la palla, vola in porta e segna. Rimettendo in discussione tutto. Ecco perché Antonio Tajani ha reagito come colpito in pieno da un taser. Inutile negare l’evidenza. Giancarlo Giorgetti è il più draghiano dei ministri italiani. E, quasi certamente, l’unico con cui Mario Draghi accetta di parlare. Perché la stima fra i due è reciproca. E soltanto la malafede o l’opportunismo possono spiegare la mancanza di volontà nel prendere atto che mettere le mani dove adesso dove i soldi ci sono – e dove, almeno nel caso delle banche, si è fatto di tutto per non contribuire – appare l’unico atto di buonafede spendibile ex ante dopo anni e anni di deregulation pandemica rispetto all’equilibrio e alle dinamiche dei conti pubblici.

Entro fine anno i Btp del Pepp usciranno dal bilancio Bce. E il Signor Rossi ci ha appena detto che non potrà assolutamente assorbirli. Nemmeno in minima parte, forse. I 30 miliardi incassati finora dal Tesoro dalle famiglie italiane sono il tetto massimo di trasferimento di rischio possibile. Chi resta? Banche e assicurazioni. A meno di non trovare investitori esteri, decisamente improbabili. Ma l’Europa accetterà ancora il doom loop? O forse al Mef sanno che, questa volta, nemmeno Antonio Tajani riuscirà a fermare un progressivo tetto alle detenzioni di debito sovrano, inteso come misura cautelare ma anche come dissuasore più o meno occulto da tentazioni di Qe perenne o emissioni comuni come scappatoie prospettiche per nuovo deficit da contabilizzare allegramente? Con me al Mef non si farà nuovo deficit, fa dichiarato non a caso il ministro Giorgetti.

Non vi pare la versione 2.0 del Che fai, mi cacci? di Gianfranco Fini? Non vi pare un alzare l’asticella del confronto interno all’Esecutivo decisamente ardito, se davvero Giancarlo Giorgetti stesse operando da solo per il bene del Paese?

Attenti a non leggere quanto sta accadendo con le lenti del provincialismo elettorale. È ben altro.

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