Un gioco a somma zero. Totale. Viviamo in un enorme vaso comunicante di status quo, un immobilismo mortale. Prendete il discorso di fine anno del presidente della Repubblica: bilancino all’ennesima potenza, roba da alta erboristeria della politica. Un bell’affondo sulle tasse per far felice la sinistra, un appello alla fiducia nelle istituzioni in carica che spinge Giorgia Meloni a telefonare al Quirinale per i ringraziamenti. Nel mezzo e sullo sfondo, uno schizzo di attualità come l’appello ai giovani affinché siano cauti quando si mettono al volante. Insomma, anestetico puro.
D’altronde, viviamo nella somma zero. Fino a ieri ci hanno raccontato di una Finanziaria che, al netto dei vincoli di destinazione dei fondi per il caro-energia, si preoccupava comunque dei più deboli. Evito per carità di patria di dirvi in quanto si è sostanziato l’aumento dell’assegno di accompagnamento, perché rasenta l’elemosina di Stato. In compenso, posso tranquillamente dirvi che il combinato di fine dello sconto sulla benzina e aumento del 2% dei pedaggi autostradali si è già mangiato qualsiasi beneficio fiscale adottato per una larga parte dei cittadini. Somma zero, appunto.
Vogliamo parlare delle 10.000 persone che hanno fatto la fila al Pane quotidiano di Milano per mangiare a Natale? Meglio di no. Perché preparatevi, il nuovo regime in cui siamo entrati è quello dell’ottimismo a oltranza. Il quale non prevede la realtà come elemento partecipativo: solo narrativa. E il ceto medio proletarizzato che deve scegliere fra mangiare a casa e pagare le bollette, stona. Come un paio di jeans alla Prima della Scala.
Il Governo chiama tutti a raccolta, al fine di riportare l’Italia al rango che le compete. Basta piagnistei, basta vittimismo e catastrofismo: occorre ottimismo. Quello della volontà, quantomeno rifacendoci alle categorie gramsciane che dovrebbero far inorridire palazzo Chigi. Meglio opporre il pessimismo della ragione, allora. Perché la somma zero non è altro che dissimulazione dell’inevitabile. Il problema sostanziale di questo Governo non è l’impostazione ideologica, è meramente contabile. L’ultimo Esecutivo Conte o quello dei presunti e sedicenti Migliori hanno beneficiato di scostamenti di bilancio, ricorso al deficit e tesoretti più o meno garantiti da misure di doping come il superbonus: questo Governo ha le casse vuote. E non può sforare i conti, la parola d’ordine è saldi invariati. Fra poco, accompagnati da tagli lineari.
Capite perché il ministero della Salute ha emanato a tempo di record una direttiva ufficiale in cui invita il Paese a stare pronto per una nuova emergenza Covid, prospettando già il ritorno delle mascherine al chiuso e dello smart working? Non è sanità, è solo economia. Senza un’emergenza che garantisca misure draconiane e impopolari, salta il banco. Perché non c’è più un euro a disposizione e, di fronte a noi, c’è invece una recessione che richiederebbe sostegni. Gli stessi che i Governi spagnolo e greco, infatti, hanno già messo in campo per le fasce più deboli. Ma che per noi, invece, sono impossibili. Troppo grande il nostro stock di debito. Troppo insostenibile, visto che nel silenzio assoluto il nostro decennale benchmark è al 4,6% di rendimento. E preparatevi, perché la stretta creditizia non è dietro l’angolo. Bensì è già cominciata, sotto forma di circolari interne alle filiali.
Non ci credete? Fate questa prova: il 15 di questo mese, andate in banca. Mettetevi in fila o seduti, come se aveste un appuntamento e foste in attesa del vostro turno. E ascoltate il tono delle telefonate che staranno saturando l’aria, già dalle prime ore di apertura: è il cosiddetto sconfinamento day, il giorno in cui arrivano i saldi delle carte di credito. E questo mese, i conti correnti verranno colpiti in piena faccia, trattandosi mediamente di cifre più alte del solito che scontano le spese natalizie. Al netto delle tredicesime, per chi – beato lui – ancora ne beneficia. Fate questo esperimento e sentirete quali cifre ridicole armeranno le minacce dei front desk bancari verso i correntisti: sintomo che dalla casa madre è partito il segnale di austerity totale. Rientro immediato da rossi anche di 30 euro, pena la segnalazione in centrale rischi.
Certo, uno scenario simile cozza con l’ottimismo di palazzo Chigi e anche del Quirinale. Ma trattasi della realtà. Appunto, il pessimismo della ragione. Il quale ci conferma come i vasi comunicanti non siano altro che l’instaurazione di un equilibrio di livellamento al ribasso delle condizioni salariali e creditizie. Normale nel corso di una recessione. Ma non quando, come in Italia, già si parte da un trend degli stipendi che dal 2008 al 2020 ha perso il 10%. E di credito bancario che, al netto di miliardi a costo zero delle aste Tltro e dei vari Qe, non ha mai realmente visto esplodere gli impieghi verso famiglie e imprese, al fine di irrobustire una ripresa post-pandemica in vista delle vacche magre. Anzi. In compenso, se andate a dare un’occhiata ai bilanci di banche e assicurazioni troverete quintali di Btp. E, infatti, per mesi i governanti di turno hanno millantato tocchi magici nel mantenere lo spread sotto controllo. Tutte balle: solo Bce iperattiva e doom loop domestico onnivoro.
Preparatevi, perché in primavera partirà la grande campagna di autarchia del debito, sicuramente travestita da Operazione fiducia nei confronti del Paese. La stessa che, non a caso, Giorgia Meloni ha cominciato a invocare nel suo messaggio di fine anno. Trattasi unicamente di versione edulcorata dell’oro alla patria, sotto forma di Btp con qualche nome esotico e qualche magheggio sulla cedola per far abboccare gli allocchi di turno. Chi ha comprato il Btp Italia per schermarsi dall’inflazione, già piange guardando i prezzi della cedola fissa. Possiamo votarci all’ottimismo, se vogliamo. Ma equivale a raccontarsi una bugia.
Il 2022 è stato l’anno nero per titoli azionari e bond a livello globale, un tonfo combinato da 17 trilioni di dollari. E questo nonostante il record assoluto di buybacks autorizzati. Insomma, il sistema comincia ad arrancare anche a livello di scappatoie.
Il disequilibrio che sedici anni di manipolazione sistemica da Banche centrali hanno reso strutturale, ora ci rammenta che certi contrafforti non possono essere cambiati di colpo. Perché sono come i muri portanti degli edifici: puoi anche abbatterli. Ma, poi, viene giù tutto. Magari non oggi. Magari non domani. Ma le crepe divaricanti, alla fine, il loro lavoro lo fanno sempre. L’ottimismo non costa nulla, certo. Ma fidatevi: nella maggior parte dei casi, non porta nemmeno a nulla. Certe vocazioni motivazionali sono idiozie buone per i film di Hollywood, perché quando sei nella palude, l’auto-convincersi che si tratti di una spiaggia caraibica non ti salva dal tuo destino.
Che fare, quindi? Sperare in uno shock. Qualcosa che spazzi via ottimismo e false speranze in maniera devastante, obbligando tutti a un repentino e drammatico ritorno alla cruda realtà. Esattamente lo spirito che ieri mattina ha animato migliaia di utenti della rete autostradale, fra casello e benzinaio. Gente che non fa il pieno alla Ferrari con lo sconto statale, come sostiene qualche genio asintomatico. Ma che con l’auto o il furgone ci lavora. E rischia di non farlo ancora per molto, fra aumenti e recessione alle porte.
Datemi retta, spesso l’ottimismo inganna. E il potere, assolutamente bipartisan, ci marcia.
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