Ho il massimo rispetto per il presidente della Repubblica. Ma la sua intemerata contro l’influenza della disinformazione russa nel dibattito politico europeo e italiano in particolare, sinceramente mi è parsa irrituale. Fuori luogo. E, soprattutto, sintomatica di un’urgenza che viaggia in parallelo con le trattative in atto a Bruxelles sulla nuova Commissione. E la sua agenda.
Anzitutto, cosa si intende per disinformazione russa? Tutto ciò che non è in linea con la narrativa Nato sul conflitto in Ucraina. Ora, siamo proprio certi che paradossalmente non sia proprio quest’ultima a contenere in sé una dose letale di realtà parallela e di comodo?
Date un’occhiata a questi due grafici, i quali ci mostrano come il rublo sia arrivato a 82 sul dollaro e, addirittura, sia per un breve periodo sceso per la prima volta in assoluto sotto quota 11 sullo yuan. Il tutto dopo le nuove sanzioni e la decisione del G7 di utilizzare i profitti dei beni congelati russi per finanziare un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina da 50 miliardi. Come mai la divisa russa si rafforza?
Occorre raccontare tutto. Per bene e non solo ciò che fa comodo. Non ci hanno forse detto che le sanzioni avrebbero ridotto il rublo al livello della moneta del Monopoli? Quando il cambio sul dollaro era in area 100, quanti scenari di rivolte dei correntisti per i conti congelati e i bancomat fuori servizio e le bank-run abbiamo letto sui quotidiani autorevoli? Quanti retroscena relativi a tintinnar di sciabole in quel di Mosca, tanto da prospettare per Vladimir Putin una fine degna di Ceausescu, prima delle elezioni? Nulla di questo è accaduto. Anzi, Vladimir Putin è quanto mai in sella. L’economia russa cresce di oltre il 3%. E il rublo si rafforza.
Ricordate poi il famoso default, quando le sanzioni avrebbero decretato l’impossibilità di pagare il dovuto su bond sovrani in scadenza denominati in dollari? Come mai nessuno ha attivato la clausola dei credit default swaps e dato inizio all’effetto domino? E il sistema finanziario russo nel suo complesso, forse non doveva tornare all’età della pietra, una volta che le sue istituzioni fossero state estromesse dal sistema di pagamento Swift?
In compenso, Mosca ha reagito. Nazionalizzando di fatto sussidiarie russe di aziende estere, congelando beni di filiali russe di banche come Unicredit, Deutsche Bank e Commerzbank. Ma, soprattutto, vietando gli scambi denominati in dollari ed euro alla Borsa di Mosca. E, soprattutto, lasciando che il fixing del rublo fosse denominato over-the-counter, mentre aumentava a dismisura il peso dello yuan nei rapporti bilaterali sul mercato della Csi. Infine, l’accelerazione dei Brics verso una de-dollarizzazione de facto, amplificata dalla decisione dell’Arabia Saudita di porre fine all’egemonia del petrodollaro sul mercato energetico.
Come mai, poi, nessuno ha sentito il bisogno di riportare quanto certificato dal Financial Times, ovvero che il gas russo ha superato quello liquefatto statunitense nelle esportazioni verso l’Europa a maggio? Forse perché questo avrebbe decretato la fine dell’ennesima narrazione, quella del completo affrancamento dell’Europa dal ricatto energetico di Gazprom? Detto fatto, ieri l’Europa ha dato via libera al 14mo pacchetto di sanzioni contro la Russia e per la prima volta è contemplato anche il gas, guarda caso. Nella fattispecie, il trasbordo del metano nei porti europei e le disposizioni sulle cosiddette flotte ombra che trasportano sotto altra bandiera o triangolando. Di fatto, il chiodo nella bara della produzione industriale Ue. E ciò che gli Usa necessitano.
Evitare come la peste che queste evidenze, note a chiunque sul mercato e riscontrabili in base a dati ufficiali e pubblici, vengano messe a disposizione dell’opinione pubblica come la medesima eco della narrazione Nato, non è allora forse disinformazione atlantica? Certo, immediatamente vi faranno notare che noi siamo membri Nato e che la Russia è il male. Quindi ciò che può apparire disinformazione atlantica è soltanto la realtà. La verità.
Ora guardate questi altri due grafici, i quali vogliono portarsi avanti rispetto all’ormai annunciato attacco israeliano in Libano. Anche in questo caso, la narrativa è pronta. Occorre eliminare il pericolo di Hezbollah, esattamente come fatto a Gaza con Hamas. Per la nostra sicurezza. La democrazia. La libertà.
Parliamo della stessa Hezbollah contro cui nessuno aveva alcunché da ridire, quando i suoi uomini combattevano i tagliagole dell’Isis in Siria? Temo di sì. Ma la memoria è materia pericolosa. Ora, vi pare un caso che dal Libano passi il gas che dall’Iran arriva al Mediterraneo e quindi all’Europa, mentre il progetto alternativo veda proprio le acque contese di fronte a Gaza come El Dorado dell’export energetico verso il Vecchio continente, tagliando fuori il Libano filo-iraniano? Cosa dite, un regime change a Beirut con la scusa di Hezbollah potrebbe far comodo a chi ha elaborato a tavolino ed ex ante l’intero scenario ucraino, dal golpe colorato in poi, al fine scippare la quota di mercato energetico russo verso l’Europa? Sarebbe la quadratura del cerchio. Sarebbe il colpo geopolitico del secolo. Soprattutto mentre, casualmente, tornano le tensioni fra Benin (membro Ecowas) e il filo-russo Niger, di fatto la guerra proxy contro lo sbocco al mare del petrolio nigerino gestito dalla Cina.
Se il conflitto dovesse passare dalle schermaglie ai boicottaggi e da questi ai blocchi infrastrutturali, poi sarebbe guerra guerreggiata. E si sa, quando scoppiano conflitti in Africa, si muovono le grandi masse migratorie verso l’Europa.
Ora guardate quest’ultimo grafico elaborato da Arrows e non dal Cremlino.
Ci mostra come i conflitti post-11 settembre generati dalla politica estera Usa abbiano creato qualcosa come 38 milioni di migranti in movimento, ovviamente con destinazione Europa. Sia via mare, sia via terra.
Io ho il massimo rispetto per il presidente della Repubblica. Ma anche omettere volontariamente parte della realtà dal dibattito pubblico si sostanzia come disinformazione. Non a caso, in totale spregio del risultato elettorale, l’Europa sta nominando il suo Governo a tempo di record e con riunioni a porte chiuse, dove gli Ambasciatori decidono per il suicidio finale del nuovo pacchetto sanzionatorio. Tanto c’è lo spauracchio della nuova Vichy che tiene tutti occupati. E se non basta, la disinformazione russa. Attenti all’effetto Hillary, però. Perché chi troppo omette, poi rischia di restare schiacciato dai segreti.
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