Di colpo, in contemporanea con il controesodo estivo, la realtà ha fatto il suo ingresso a palazzo. Trionfale. Certo, alla redazione di Repubblica ancora cercano spie russe nascoste nella macchinetta del caffè ma, al netto delle ossessioni di natura patologica, politica e media hanno scoperto il gas. Non male. E fanno sinceramente sorridere i toni da armageddon imminente scomodati da Confindustria, poiché i prezzi del Dutch ad Amsterdam sono passati dai 27 euro per MWh del gennaio 2021 agli oltre 300 euro attuale nell’arco di 18 mesi. Non dalla sera alla mattina di un giorno qualsiasi della scorsa settimana. Dov’era il mirabolante centro studi di viale dell’Astronomia? Troppo impegnato a valutare il grado di transitorietà dell’inflazione?
Ovviamente, ora è tardi. Soprattutto alla luce della nudità del Re europeo. E italiano in particolare. Occorre prendere atto del fatto che, mentre attendevamo il default della Russia, si è palesato quello di Uniper in Germania. Dieci miliardi di denaro pubblico, al fine di evitare l’insolvenza della principale utility energetica della locomotiva economica del Continente. Avremmo dovuto suonare il campanello d’allarme e invece nulla.
Nemmeno quando Parigi, già sufficientemente sveglia da imporre il 4% di cap all’aumento massimo delle bollette, ha ri-nazionalizzato in fretta e furia EdF abbiamo capito la natura epocale del processo in atto. Ci sono voluti tre giorni di aumenti record consecutivi al Borsino di Amsterdam sul finire di agosto per renderci conto dell’insostenibilità del trend in atto. E non fatevi ingannare dai ribassi di ieri: quando si raggiunge un ceiling come quello della scorsa settimana a 340 euro per MWh, se non si vede all’orizzonte un altro catalizzatore che possa infrangerlo ulteriormente al rialzo, si vendono i contratti. Mera questione tecnico-finanziaria. Ora è tardi. Per tutti.
Ma in particolare per l’Italia, appunto. Perché gli 8-10 miliardi che il governo intenderebbe mettere sul piatto per tamponare il fallout del caro-bollette per le imprese è nulla. Sempre Confindustria, passata dal torpore all’iperattività come se fosse stata sottoposta a elettroshock, calcola in 120.000 le imprese italiane a rischio fallimento. Quei soldi non servono. Anzi, non bastano. E il richiamo del governo al suo status di mero esecutore degli affari correnti per rinviare al mittente l’ipotesi di uno scostamento di bilancio da 30 miliardi di euro fa capire come ormai il cortocircuito sia totale.
Il famoso debito buono con cui Mario Draghi fece innamorare la platea del Meeting due anni fa in pratica non esiste. Nel senso che quando servirebbe metterlo in campo per salvare imprese (e quindi Pil), lo si nega. Offrendo come alternativa una caccia alle streghe degli extra-profitti dei colossi energetici, quasi non volessimo raccontare a noi stessi come colpire Eni equivalga a colpire lo Stato. O il fatto che una manleva dagli oneri fiscali sull’energia equivalga a un bicchiere di acqua fresca. Piacevole, certo, stante la maledetta calura che ancora opprime le nostre città. Ma capace solo di rinviare la disidratazione fatale, non di scongiurarla.
In compenso, quanto sta avvenendo ci mostra plasticamente la levatura morale e il profilo da statista della nostra classe politica, quando manca ormai meno di un mese al voto del 25 settembre. Da mani nei capelli. Poi si lamentano se il 40% degli italiani sceglierà di non scegliere. Guardate questo grafico.
Ci mostra il trend di ricerche in Rete del termine Brennholz in Germania. E sapete cosa significa? Fuoco a legna. Ma questo è il meno. Guardate questo video, piuttosto. Ci mostra le file già in atto oggi, fine agosto, nell’atlanticissima e russofoba Polonia per accaparrarsi il carbone per l’inverno. Signori, l’Europa è questa. E l’Italia appare il Paese messo peggio di tutti, poiché grazie alla scarsissima interconnessione, i nostri partner naturali come Spagna e Portogallo possono contare su prezzi del gas decisamente inferiori.
Che fare, quindi? Apparentemente, l’unica arma in mano all’Europa sarebbe quella di una resa di fronte alla realtà. Ovvero, provare a trattare con il Cremlino. Non fosse altro perché se lo scorso marzo gli Usa non avessero fatto saltare gli accordi di Istanbul (alla faccia delle ingerenze), la crisi ucraina si sarebbe risolta in una settimana, in perfetto stile Georgia. Invece, eccoci qui. Sul baratro. Con Emmanuel Macron che vola in Algeria per fregarci il gas, l’Angola nel pieno del caos politico, Lng statunitense bloccato nel terminal texano della Freeport fino a fine novembre e i rapporti del nostro Paese con Mosca ai minimi storici. Un fallimento totale. Figlio legittimo dell’adesione acritica all’oltranzismo Nato del governo, il quale dopo aver operato per l’ennesima volta da servo sciocco degli interessi Usa si ritrova con una mano davanti e una dietro.
Questa situazione non è colpa del ricatto russo, è colpa delle bugie dell’esecutivo. Perché se si avesse avuto il coraggio di dire la verità, invece di millantare alternative inesistenti e ridicole a Gazprom o transizioni verdi a tempo di record, forse la situazione non sarebbe così grave. Quantomeno, perché tutti ne avrebbero preso atto prima. Non a ridosso dell’autunno, mentre i polacchi stanno disciplinatamente in fila per il carbone come negli anni Sessanta.
E ora, cosa si fa? Chiaramente, la mia ricetta non è praticabile. Perché imporrebbe buonsenso e pragmatismo. Quindi, al netto di tagliare ogni rapporto con quella quinta colonna degli interessi Usa che risponde al nome di Volodymir Zelensky, c’è una sola cosa da tentare: mettersi in ginocchio, chiederle scusa in tutte le lingue parlate nell’eurozona e pregare Angela Merkel di tornare in servizio per risolvere la situazione. Il valore di Olaf Scholz come Cancelliere è ormai svelato e i sondaggi parlano chiaro. Il nostro governo dei Migliori, nei fatti, ha inanellato una serie di fallimenti epocali, vedi la crociata proprio sul tetto del gas a livello Ue, altro teatrino in cui Mario Draghi si è incaponito e che ci ha portato dritti dritti all’attuale stato di insolvenza da bollette.
Emmanuel Macron, dal canto suo, sta operando come se l’Ue non esistesse già più, visto che nazionalizza come nell’era Mitterrand e casualmente si è fiondato ad Algeri per cercare di boicottare anche l’unico accordo minimamente sensato ottenuto da Palazzo Chigi (ricordando sempre, però, il ruolo di Gazprom nell’azienda energetica statale algerina).
Serve qualcuno all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Serve la Mutti. E serve subito.
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