Un blitz vista mare. Dove il mare è quello della Liguria. La scelta della Premier di accelerare il pacchetto di misure contenute nella Manovra, in modo da farla giungere al Parlamento prima del 20 ottobre e soprattutto in Europa giusto in tempo rispetto alla deadline proprio del 15 ottobre, sta tutta nel timing legato al voto regionale post-Toti.
L’appuntamento del 27-28 ottobre, infatti, è dietro l’angolo. I sondaggi in bilico. Quindi, occorreva fare una scelta in nome del tanto peggio, tanto meglio. Guardate per l’ennesima volta questo grafico): pensate che il gap fra calo strutturale delle entrate e debito in continuo aumento divenuto ormai una spirale auto-alimentante si possa invertire o quantomeno rallentare con il bonus bebé, i tagli ai Ministeri tutti da trasformare da parole in fatti o la conferma dell’intervento sul cuneo fiscale? O magari con la mancetta natalizia da 100 euro?
Pensate che in Europa siano stupidi? Soprattutto, pensate che il falco lituano agli Affari economici sia stato nominato Commissario solo perché ha vinto la conta? Entro il 2026, Giorgia Meloni ha promesso all’Europa un deficit al 2,8%. Oggi siamo in area 7%. Siamo nelle medesime condizioni della Francia, più o meno. Più indebitati, però. E storicamente più vulnerabili al doom loop fra Btp e sistema bancario-assicurativo. Per quanto l’Oat sia sotto pressione, il Btp resta oggetto tutto da decifrare. Alla prova dello stop al reinvestimento titoli della Bce. Ebbene, la Francia vara una Manovra da 60 miliardi. Noi da 30 e, apparentemente, a colpi di fioretto.
Poco mi interessa la questione accise. La propaganda di basso cabotaggio la lascio volentieri a Pd e accoliti, gli ultimi a poter parlare in fatto di tagli strutturali e proclami da rendita di posizione. Qui il problema non è di serietà politica. Ma di prezzatura della reazione europea a questa vera e propria provocazione. Capiamoci. Il famoso e tanto strombazzato intervento alla Robin Hood contro appunto il comparto bancario-assicurativo, quello del pagano le banche di certi titoli di prima pagina, si dovrebbe sostanziare in un introito di 3,5 miliardi in due anni da destinare a maggiori investimenti nella sanità. E fin qui, applausi. Il problema, il nodo, sta in come si è intervenuti. Una clamorosa presa per i fondelli, di fatto generata in fretta e furia unicamente per garantirsi appunto titoli di quotidiani con ampio respiro populista in vista del voto ligure. Passato il quale, arriverà la bocciatura Ue della norma. O almeno la necessità di sua riscrittura. E l’esplosione del caso banche in seno alla maggioranza. Forza Italia lo sa benissimo. Fin da ora. E infatti, attende lungo il fiume.
Il Governo, infatti, non interviene nel capitale, non mette le mani nei bilanci e nei ricchi extra-profitti garantiti dai tassi record degli ultimi trimestri. Insomma, nessuna replica della farsa posta in essere con la Manovra del 2023. Non a caso, smontata a tempo zero dalle stesse banche e dalla loro scelta collettiva di ricapitalizzarsi, invece che pagare all’Erario. Un po’ come chiedere a un bambino se preferisce fare i compiti o andare a giocare a pallone. Il contributo del sistema finanziario arriverebbe senza prelievi fiscali o riflessi sul patrimonio. Per due anni, in base agli accordi presi con gli istituti di credito, verrebbero congelati i crediti di imposta relativi alle tasse da pagare in futuro su fusioni e svalutazioni di crediti. Certo, nel pacchetto c’è anche la stretta sulle stock options dei grandi manager, estesa a tutte le società. Ma il fatto che i rappresentanti delle banche abbiano continuato a utilizzare il condizionale anche dopo l’annuncio ufficiale della Premier relativo alla misura, parla chiaro sulla loro tranquillità rispetto a un ritorno al mittente da parte della Commissione Ue.
E attenzione, al netto di tempi strettissimi rispetto alla potenziale smentita dei fatti di questa mia ricostruzione (giunta la quale, chiederò scusa e mi cospargerò il capo di cenere), è la realtà contingente e tutta domestica a parlare. Implicitamente. E in controluce. Giorgia Meloni intervenendo sulle cosiddette DTA (imposte differite attive) sta di fatto complicando il dossier Unicredit-Commerzbank. Perché se imponi strutturalmente una norma punitiva rispetto a fusioni e acquisizioni bancarie, proprio mentre il tuo numero uno del credito sta scalando in maniera ostile una concorrente, vuol dire che sei alla frutta con i conti. E questo grafico) ci dice che oggi il livello di liquidità del Tesoro italiano sia sotto la soglia del 2%. Per la precisione all’1,47%. Come nel 2000, 2008 e 2012. Oltretutto, mentre la Germania sta attrezzandosi per resistere.
Bettina Orlopp, nuova Ceo di Commerzbank, da giorni agita lo spettro delle detenzioni monstre di Btp che Unicredit porta in dote come spauracchio per contrastare la scalata. Mossa chiaramente concordata con la Bundesbank. Non a caso, proprio l’altro giorno, Handelsblatt parlava di un piano del Governo per implementare i requisiti di trasparenza rispetto ad acquisizioni estere di assets strategici nazionali. Di più. Proprio sulla scorta delle polemiche sorte dallo swap con cui Unicredit è salita in area 20% del capitale di Commerzbank, alla faccia delle previsioni e degli auspici dell’uscente (dal capitale del gigante creditizio decaduto) Governo Scholz, Christine Lagarde parlava di necessità di implementare le fusioni bancarie nell’Eurozona, al fine di rafforzare il sistema creditizio comune. L’unione bancaria, altro totem. Di fatto, la mossa del governo, oltre che una tantum, va contro anche ai desiderata Bce. Il tutto, poi, mentre la partita Mps sembra entrata nel vicolo cieco terminale, in vista dell’uscita del Mef dal capitale. Volano cordate nazionali sui giornali. E ricordano tremendamente i capitani coraggiosi di Alitalia. Piazza De Ferrari val bene un azzardo?
Così pare. Attenzione alle conseguenze, però. E, soprattutto, al fiato corto che questa Manovra mostra prima ancora di essere sbarcata in Aula. Se Forza Italia punta al blitz, Giorgia Meloni le ha appena fornito le mappe. Più o meno volontariamente e con l’inganno, è tutto da vedere.
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