Sapete perché, a mio modesto avviso, il giubilato Pasquale Tridico è ancora a capo dell’Inps, nonostante le variegate richieste del suo scalpo, i disastri nella gestione delle Cig e la farsesca scusa sull’attacco hacker che avrebbe tramutato in un flop colossale il click day? Forse perché il governo ha fiducia in lui? No. Perché lo teme, in quanto tenutario del suo segreto di Pulcinella e quindi padrone del suo destino. Se infatti qualcuno a palazzo Chigi o nei dintorni volesse tramutare “l’uomo delle pensioni” nel monsieur Malaussène di turno, quest’ultimo con ogni probabilità – e buon diritto di rivalsa, in quanto essere umano con il suo orgoglio – farebbe notare l’ovvio, svelando al mondo che il Re è nudo. Ovvero, io ho fatto quello che potevo, ma, al netto di un sistema informatico degno del Burkina Faso, non ci sono i soldi per pagare tutto quanto è stato promesso, senza che saltino i conti. Punto. E l’intera impalcatura del Governo cadrebbe sotto il colpo mortale della realtà.



Beppe Grillo, rispondendo alle richieste di Alessandro Di Battista, ha usato la metafora perfetta, quando ha citato il giorno della marmotta. Ecco, il Governo sta vivendo (e, di riflesso, facendoci vivere) proprio come Bill Murray in Ricomincio da capo: un continuo rimandare il redde rationem, l’eutanasia lenta e dolorosa di una stagione politica che non rimpiangeremo e che ormai è ai titoli di coda del suo ruolo di pontiere verso la Fase 2 del Paese. La vera Rivoluzione, la vera Seconda Repubblica. Esattamente come il Covid, questo Governo ha costretto il Paese all’uso della mascherina. Solo, a differenza del virus, ci ha imposto di utilizzarla per bendarci gli occhi e non per proteggere bocca e naso. Ora, passata la fase acuta, qualcuno comincia gradualmente ad allentarne la tenuta stagna. E tutto comincia a prendere le proprie sembianze, non la loro proiezione sul muro della propaganda.



In molti hanno criticato l’intervento di Giuseppe Conte alle Camere in vista del Vertice europeo di oggi e domani, definendo inconsistente ed evasiva la sua informativa. A me invece ha fatto pena. Umana pena. Perché non deve essere facile continuare a recitare una parte che ormai ha perso smalto interpretativo, come un Rocky all’ennesimo capitolo della saga infinita, ormai ripetitivo e ridicolo fino al parossismo. Manca la credibilità. E non personale del Premier, bensì di sistema del Paese. Cosa ancora più grave. E percepita. Continuiamo a spacciare quanto sta per accaderci come una vittoria, quando invece è soltanto il naturale epilogo di decenni di malgoverno e conti pubblici dissennati. Assolutamente con responsabilità bipartisan. Prima o poi, il conto arriva al tavolo, signori. E con un nerboruto cameriere piazzato davanti alla porta, tanto per farci capire che stavolta occorre mettere le mani al portafoglio.



Il Premier ha parlato di posizioni ancora distanti sul Recovery Fund, rivendicando comunque la genesi stessa di quel piano come frutto della pressione diplomatica italiana: un po’ come certi fidanzati lasciati dalla partner che, per non perdere la faccia con gli amici, al bar vendono la versione in base alla quale la decisione della rottura è stata loro. Il Recovery Fund non esiste, se non sulla carta e come mera espressione politica. Si sta giocando come si fa con i soldi del Monopoli, quando in realtà ogni nazione sta cercando di uscire dal lockdown con mezzi propri. La Germania può, stante i conti in ordine. Noi no. Punto. Viviamo in un Paese in cui il presidente della Consob, invece di occuparsi di regolamentazione dei mercati finanziari e di richiamare la politica a maggiore rispetto dei loro criteri di necessaria trasparenza e indipendenza (ad esempio, sarebbe stato carino veder assestare un bello schiaffone sulla questione legata alle concessioni di Autostrade e al latente, continuo aggiotaggio posto in essere dai palazzi del potere sul titolo di Atlantia), rilancia l’idea dei bond patriottici perpetui, quasi a voler rimarcare la differenza che avrebbe rappresentato averlo a capo del Mef. Per una sola ragione, sempre la stessa e facente riferimento al problema esiziale dei conti al limite della sostenibilità: patrimonializzare. Ovvero, vendere al pubblico la falsa e propagandistica alternativa popolare, patriottica e democratica alla tassa patrimoniale che ci attende inesorabile in autunno.

Quel tipo di prestito serve infatti all’emittente per rafforzare il proprio patrimonio, visto che l’ontologica mancanza di rimborso assimila questo debito proprio a patrimonio. Fumo negli occhi, come sei i mercati fossero scemi e non conoscessero la realtà. E la realtà è quella che vi racconto da settimane, anche attraverso decine di grafici: se emettiamo debito a rendimenti ancora accettabili è solo per lo schermo della Bce. Altrimenti, addio. Quindi, qualsiasi operazione “patriottica” del Tesoro sconta questo vulnus: già oggi, dipendiamo in tutto e per tutto dall’Europa, siamo già commissariati de facto. E pensiamo anche di poter andare ai tavoli dei vertici europei a battere i pugni, stante questa condizione di partenza? È inutile che ci pettiniamo l’orgoglio patrio con soluzioni autarchiche che rasentano il ridicolo, perché alla prova dei fatti potrebbe accadere che il mercato vada a soppesare pro e contro anche di un eventuale perpetual bond italiano.

E cosa scoprirebbe, attraverso una comparazione costi/benefici da primo anno di economia? Ad esempio, il fatto che il pagamento di interessi, in verità, non è perpetuo, perché le solite clausole scritte a piè di pagina stabiliscono che l’emittente possa unilateralmente decidere di rimborsarlo. Opzione che in genere si esercita, per convenienza, dopo un certo periodo di tempo. Inoltre, in caso di fallimento dell’emittente, il prestito irredimibile ha rischi superiori a quello di altri debiti, perché la legislazione lo considera un debito subordinato, stabilendo che sia rimborsato solo dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori. Insomma, occorrerebbe dirla tutta la verità, non soltanto la parte che fa comodo e scatena tempeste di like sui social network. Soprattutto, quando si spacca il capello in quattro rispetto alle condizionalità del Mes o alla natura senior dei fondi dell’ipotetico Recovery Fund.

Volete un esempio del perché continuare a millantare alternative “patriottiche” sia, oltre che suicida, anche profondamente scorretto dal punto di vista politico? Ce lo mostra questo grafico, dal quale si evince come la sola notizia in base alla quale la Fed comincerebbe ad acquistare debito corporate individuale ha compresso il costo dell’assicurazione sul rischio creditizio dei bond europei ai minimi da due mesi. Sia per l’investment grade, sia per l’alto rendimento. Di colpo, in una sola notte. E signori, parliamo di una decisione della Fed, formalmente la Banca centrale statunitense.

Perché, quindi, i bond denominati in euro hanno posto in essere questa reazione da cane di Pavlov? Per il semplice fatto che, nel meraviglioso mondo delle Banche centrali come prestatori di unica istanza che tanto piace agli stessi sponsor delle soluzioni autarchiche al finanziamento sovrano, quanto deciso a Washington viene immediatamente prezzato come esempio che a breve verrà seguito anche dalla Bce, essendo ormai in atto una corsa a ostacoli fra chi devia maggiormente e in maniera più palese e sfrontata dai propri mandati statutari. Di fatto, la Fed sta salvando aziende zombie dal fallimento e il cosiddetto mercato legge questo come uno spoiler di quanto verrà deciso a breve anche dall’Eurotower. Addio premio di rischio, addio fair value, addio price discovery: tutto ruota attorno alle Banche centrali. Punto.

E in un contesto simile, pensate che un bond perpetuo italiano diverrebbe immediatamente l’oggetto mondiale del desiderio? Siamo seri, per favore. Perché la situazione lo è. Ogni giorno di più. Piaccia o meno, il Mes verrà attivato. Perché quei 37 miliardi servono: pochi, maledetti e subito. Lo conferma l’inamovibilità di Pasquale Tridico dalla sua poltrona, nonostante una gestione dell’Inps quantomeno discutibile nel momento più delicato della storia italiana dal secondo dopoguerra in poi. Lo conferma il piano Colao nella sua generica disperazione, un’accozzaglia di ricette buone per tutte le stagioni, non a caso utilizzato a Villa Pamphili come contrappunto per fermare una gamba traballante del tavolino. Stiamo lucidando le maniglie sul Titanic, inutile spacciare quell’attività come di vitale importanza. È’ solo un disperato esercizio di stile, una cortina fumogena per passare l’estate e sperare in qualche miracolo autunnale. Che non ci sarà.

Il Vertice di oggi e domani non servirà a niente. Lo hanno detto chiaramente sia Conte che Macron, ovviamente utilizzando l’alibi della videoconferenza che non permette un negoziato reale. Occorrerà aspettare luglio. E, magari, ancor meglio settembre, quando si spera che verranno tolte le mascherine e riprese le vecchie abitudini delle riunioni in presenza. A quel punto, però, potrebbe essere tardi. Soprattutto, per fare gli schizzinosi sulle condizionalità. Perché cari lettori, voi mi siete testimoni: tutti quanti stanno snobbando in maniera irresponsabile la scadenza del 5 agosto, entro la quale la Bce sarà chiamata a fornire una risposta formale ai rilievi avanzati dalla Corte di Karlsruhe sulla proporzionalità dei cicli di Qe, l’attuale Pepp in testa. Dal Bundestag arrivano quotidiani segnali rispetto alla serietà con cui la politica tedesca ha accolto quella sentenza, tanto da veder aumentare le criticità e i rilievi rispetto alla natura stessa del Recovery Fund: oltre la metà dei deputati di Cdu e Csu lo vorrebbe nella versione originale proposta da Merkel e Macron, ovvero con soli 500 miliardi di dotazione e non i 750 rilanciati dalla Commissione Ue. E stretta vigilanza sull’utilizzo e sul parallelo percorso di riforme strutturali che i beneficiari dovranno compiere per ottenere le tranche di esborso mensile.

Ieri Giuseppe Conte ha promesso che, una volta che si sarà giunti alla versione definitiva, il Recovery Fund verrà discusso in Parlamento e sottoposto a voto delle Aule, prima di venire adottato. Pensate che quella consultazione si terrà mai, nella realtà? O, forse, da qui all’autunno la condizione macro di alcuni Stati, Italia in testa, precipiterà a tal punto da costringere tutti all’adozione di misure straordinarie? La Bce non è eterna, come i bond patriottici che qualcuno vorrebbe emettere. E se per caso la Bundesbank lascerà soltanto intuire un suo possibile disimpegno dagli acquisti in seno al Pepp, in ossequio a una risposta non soddisfacente dell’Eurotower alla Corte costituzionale tedesca, aprite gli ombrelli. Perché pioveranno guai. A catinelle.