Da la pacchia è finita a la farsa è finita, il passo è breve. Brevissimo. E, infatti, sono bastate poche settimane per capire quale sia il reale stato dell’arte: l’Italia è già oggi totalmente commissariata dall’Europa e dipendente dalla Bce, quindi chiunque vaneggi di sovranità o interesse nazionale sta spargendo narrativa a piene mani. Per coprire la realtà. Come d’altronde si è fatto con i rave e ora con gli sbarchi. Ma è bastata la prima trasferta a Bruxelles del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia per capire quale aria tiri. Casualmente, scopriamo che il Governo Draghi ha lasciato qualche spesa in ritardo di troppo rispetto al piano di attuazione del Pnrr: quindi, a fine anno i miliardi che arriveranno a Roma saranno 21 e non i 33 preventivati. Un bel buco da tamponare. Meglio mettere le mani avanti.
E che dire del pragmatismo obbligato del ministro Giorgetti, il quale oltre ad aver predicato moderatezza nei conti con i partner europei – stante un Patto di stabilità da riformare -, ha confermato il sì del Governo Meloni alla ratifica del nuovo Mes. D’altronde, manchiamo solo noi e la Germania, quest’ultima in attesa del via libera della Corte costituzionale di Karlsruhe. L’Italia invece ha rimandato la pratica del via libera parlamentare semplicemente per ragioni di opportunità politica: il Governo dei Migliori temeva di saltare in Aula per l’opposizione più o meno dichiarata di Lega e M5S sul tema. Ora i nodi vengono al pettine. E vedrete, nessuno dirà di no. Perché l’Europa è stata chiara: senza ok al nuovo Mes, lo Stato in questione non può accedere al Tpi , lo scudo anti-spread. E non si sa mai cosa può accadere. Soprattutto alla luce di quei 12 miliardi in meno in arrivo dall’Europa.
Perché chi di dovere sa benissimo che il placido differenziale dei nostri Btp di questi giorni è garantito unicamente dal perpetuarsi proprio dallo scudo gratis offerto dalla Bce, quel reinvestimento titoli la cui durata Christine Lagarde ha prolungato fino alla fine del 2023. Un clamoroso ramoscello d’ulivo verso il nuovo Governo italiano. A cui non si può rispondere brandendo una mazza da baseball. Occorre dire grazie. E andare a Bruxelles a capo chino, pronti a essere catechizzati. Così è stato. E per quanto la ratifica parlamentare del nuovo Mes sia nulla più che un atto formale, soprattutto partendo da una base di dipendenza quasi ombelicale come la nostra da Francoforte, il segnale politico è forte: chi fino a ieri tuonava contro quel meccanismo europeo visto come l’anticamera del commissariamento, ora lo guarda come un male necessario. Con pragmatismo. Quasi con benevolenza.
Tutto in silenzio, ovviamente. Come senza troppi clamori si è chiuso l’aumento di capitale di Mps, interamente sottoscritto per i 2,5 miliardi preventivati. Peccato che il giorno seguente alla chiusura dell’operazione di mercato, il titolo si sia schiantato del 20%: le banche del consorzio tirate per il collo e la giacchetta dalla moral suasion del Tesoro hanno venduto alla prima occasione. Di fatto, quell’aumento è stata una partita di giro con cui Pantalone ha finanziato – tramite 1,6 miliardi statali su 2,5 di aumento – gli oltre 4.000 esuberi volontari. Ora la banca può dare una bella ripulita a costi e bilanci, pronta a essere ceduta ai francesi. Non a caso, dopo lo Stato il secondo azionista di Mps ora è Axa. L’Europa vuole che Siena torni sul mercato e finisca l’era del Tesoro azionista, i tempi sono stati fin troppo dilatati e prorogati. E lo Stato, alla luce delle casse vuote e dei buchi che emergono quotidianamente dal disvelarsi inglorioso di ciò che è stato il Governo dei Migliori, vuole solo liberarsi il prima possibile di quel fardello. Ma i francesi mica sono scemi: io le castagne dal fuoco non te le levo, le mani te le bruci tu. Io le compro già sbucciate, pronte da mangiare a temperatura perfetta. E a prezzo di saldo. D’altronde, è Roma ad aver bisogno di Parigi. E non il contrario.
Capito ora la ratio del Patto del Quirinale? Capito ora il perché di quel bilaterale così frettoloso e pieno di concordia fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron a Roma in occasione della visita del Presidente francese per l’iniziativa di pace del Papa? Proprio così, la leader di Fratelli d’Italia, la stessa che gridava ogni giorno contro l’atteggiamento predatorio e rapace dei francesi verso interi comparti della nostra economia, ora ha capito che il tempo della recita a soggetto è finito. E che occorre sfoderare il sorriso migliore, persino se la pancia brontola e far contorcere dalla rabbia.
Vogliamo parlare poi del capitolo bollette e caro-energia? Lunedì, mentre il nostro presidente del Consiglio viveva il secondo battesimo del fuoco internazionale alla Cop 27 di Sharm-el-Sheik, l’Algeria presentava richiesta ufficiale di adesione ai Brics. La stessa Algeria che non più tardi dello scorso luglio era divenuta primo fornitore di gas naturale dell’Italia, dopo la tanto strombazzata visita-lampo di Mario Mister Wolf Draghi ad Algeri. Tradotto, l’accordo che dall’anno prossimo avrebbe dovuto garantirci una transizione sicura dalla dipendenza nei confronti di Gazprom ora è in ostaggio. Perché tutti sappiamo che Brics significa sostanzialmente Cina e Russia: sicuri che l’Algeria non ceda a malevole moral suasions di questi due soggetti, i quali potrebbero essere tentati dal mettere in difficoltà un Governo italiano dichiaratamente e aprioristicamente ostile nei loro confronti?
Io non starei troppo tranquillo. Soprattutto dopo che, già qualche settimana fa, l’ad di Eni aveva chiaramente avvisato sui rischi dell’inverno 2023-2024, più che su quelli relativi ai prossimi mesi. Gli addetti ai lavori, giustamente, certe dinamiche le conoscono (e le prezzano) prima. Ma ecco che Giorgia Meloni prosegue con la pantomima, incontrando in pompa magna questa mattina a palazzo Chigi il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, quasi sicuramente per ribadire – in favore di telecamere – l’approccio atlantista del suo esecutivo. Un bell’azzardo, mentre Mosca e Pechino hanno la mano sul rubinetto che regola la tua unica fonte futura e alternativa di gas. Ma si sa, qui si spera nel gas liquefatto dell’amico americano e nella comparsa – miracolosa e nottetempo – dei rigassificatori necessari. Il tutto con un quadro sociale ed economico del Paese spaventoso, dove 7 nuovi contratti su 10 sono precari. E dove ogni giorno 3 persone muoiono sul posto di lavoro. Dati Inail. Nonostante questo, Confindustria ha ancora il coraggio di parlare. E avanzare pretese.
In compenso, chi non ha parlato è stato quel braccio finanziario dello Stato noto come Poste Italiane, il cui ruolo è ormai quello di parafarmacia del credito e non certo quello di spedizione pacchi o raccomandante. Stop alla cessione del credito legato al SuperBonus, dalla sera alla mattina un bel blocco delle nuove pratiche. Brutto segnale, cari lettori. Ma tranquilli, i media autorevoli continueranno a evitarvi lo spiacevole impatto con il mondo reale contenuto in questo articolo. E vi racconteranno con dovizia di particolari di rave party e sbarchi di immigrati. Dormite sereni, il Governo lavora per voi. Purtroppo.
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